giovedì 29 dicembre 2011

Landini: l'11 Febbraio in piazza per difendere i diritti


Secondo Landini, capo della Fiom, «bisogna rimettere al centro la questione del lavoro e chiedere un nuovo modello di sviluppo da attuare attraverso un piano straordinario di investimenti pubblici e privati». La battaglia per i diritti, la libertà sindacale, le questioni della crisi economica e sociale, sono alcuni degli argomenti sui quali il leader della Fiom, Maurizio Landini, ha colloquiato col Riformista.

Si prepara un inizio del 2012 decisamente caldo?

Sicuramente la situazione è molto difficile, in una fase di crisi epocale in Italia si assiste ad un vero e proprio attacco ai diritti dei lavoratori. Il paradosso è che invece di parlare della crisi economica e sociale, alcuni mettono sotto tiro il contratto nazionale del lavoro. Quello che sta accadendo alla Fiat, gli accordi separati alla Fincantieri, sono il segnale di un grave arretramento sul piano dei diritti e della libertà di scelta nelle fabbriche. Lo dico chiaro, è una questione autentica di democrazia.
La crisi sta toccando tutti i settori, l’industriale dei torroncini Giuseppe Condorelli ha messo in evidenza il fatto che persino il settore dei dolci nel periodo natalizio risente di un leggero calo. Cosa che non avviene all’estero. Cosa sta accadendo?
Credo che stiano emergendo i nodi cruciali che da tempo denunciamo. La redistribuzione della ricchezza è a danno dei lavoratori. Ed è sempre più evidente che oggi si è poveri lavorando, è questo uno degli amari paradossi della condizione italiana. Inoltre assistiamo a livelli di precarietà ed incertezza che non hanno precedenti dal dopoguerra a oggi. Tutto questo porta inevitabilmente al calo dei consumi, alla recessione. Noi abbiamo indetto per l’11 di febbraio una grande manifestazione a Piazza San Giovanni per difendere i diritti, per rimettere al centro la questione del lavoro, e chiedere un nuovo modello di sviluppo da attuare attraverso un piano straordinario di investimenti pubblici e privati.

Emanuele Macaluso ha parlato di una questione sociale, inedita e spietata. Cosa ne pensa?

È la grande emergenza per eccellenza. Penso che bisogna tornare ad assumere la piena occupazione come obiettivo di un nuovo modello di sviluppo. Le risorse vanno ricercate attraverso l’introduzione di una vera patrimoniale, una dura lotta all’evasione fiscale, ed una più efficace battaglia contro la corruzione. Progettualmente serve un piano per la mobilità sostenibile ed un piano straordinario per nuove forme di energia rinnovabile. Questo richiede un rapporto di dialogo fra governo, istituzioni locali, università, lavoro ed imprese, che sperimenti nuovi modelli organizzativi e nuova qualità delle produzioni.

Qual è la sua opinione sulla cosiddetta fase 2 del governo Monti?

Credo che la fase 1 sia stata non positiva, perché si è continuato a fare pagare i soliti noti, il sacrificio delle pensioni d’anzianità è stato l’emblema di queste scelte sbagliate. Serve una crescita equa e sostenibile, fino ad ora non si visto nulla di tutto questo.

Qual è la sua idea sulla riforma del lavoro?

Penso che esiste un problema vero, milioni di persone con contratti precari, debolissimi. Vi è l’esigenza di un sistema di tutela universale. Bisogna ridurre le forme di lavoro precario, e questo lo si fa anche rendendo molto più costosa per le aziende questa tipologia di contratti. Occorre estendere gli ammortizzatori sociali e la cassa integrazione. Occorrono nuove tutele, non nuovi attacchi ai diritti.

Il caso Fiat. Andrete dai magistrati?

Noi riteniamo non accettabile che la Cgil non possa non avere gli stessi diritti di tutti gli altri sindacati italiani. Per questo consideriamo che la scelta della Fiat di uscire dal contratto nazionale ed imporre un proprio regolamento aziendale, violi i principi della nostra Costituzione. Faremo eleggere i rappresentanti sindacali della Fiom, li nomineremo e se la Fiat non li riconoscerà, agiremo per via legale.

In un libro-intervista, a Giancarlo Feliziani dice: «Cambiare la fabbrica per cambiare il mondo». Cosa intende?

Un nuovo modello democratico più avanzato parte dal fatto che nelle fabbriche non prevalga l’autoritarismo, ma la possibilità delle persone di realizzarsi nel lavoro che fanno, nel rispetto delle libertà civili.

mercoledì 14 dicembre 2011

Noi, Giovani Comunisti, risponderemo a Casa Pound


Firenze ha tristemente conquistato le prime pagine di tutti i giornali. Samb Modou e Diop Mor sono stati uccisi a sangue freddo nel bel mezzo del mercato di piazza Dalmazia. Motivo? Erano senegalesi. La mano che ha premuto il grilletto era quella di Gianluca Casseri, pistoiese di 51 anni residente a Firenze, che, dopo aver ucciso i due uomini ed averne feriti altri tre tra Piazza Dalmazia e il mercato di San Lorenzo, si è tolto la vita. E’ del tutto fuori strada chi parla di follia: Casseri ha agito coscientemente e spinto da una chiara volontà di eliminare chi riteneva diverso ed inferiore per il solo colore della pelle. L’uomo era infatti conosciuto per le posizioni neofasciste, razziste e negazioniste: frequentatore di CasaPound e direttore editoriale di una rivista, La Sponda, in cui esponeva le sue teorie sulla superiorità della razza ariana e su come in realtà l’Olocausto sia stato solo una grande invenzione. Quando oggi le notizie sono cominciate a girare, i camerati di CasaPound si sono sentiti in dovere di uscire con un proprio comunicato: hanno dovuto ammettere di conoscere Casseri (ha partecipato innumerevoli volte a manifestazioni ed iniziative organizzate dall’associazione ed ha pubblicato molti interventi su blog e siti a questa collegati) ma hanno preso immediatamente le distanze dicendo che “era un simpatizzante di CasaPound Italia, come altre centinaia di persone in Toscana, e altre migliaia in tutta Italia, alle quali, come del resto avviene in tutti i movimenti e le associazioni e non solo in Cpi, non siamo soliti chiedere la patente di sanità mentale”.
Hanno anche subito provveduto a cancellare dai loro siti gli interventi del killer. Atteggiamento tipico dei fascisti: tirare il sasso e nascondere la mano. Andare in giro a predicare la superiorità di chi ha la pelle bianca e poi disconoscere, vigliaccamente, episodi di furia omicida come quelli di oggi.?Nell’esprimere tutta la nostra vicinanza e il nostro sostegno alla comunità senegalese e ai familiari delle vittime, ci teniamo a sottolineare che, nonostante il dolore che ci unisce, non possiamo cadere dalle nuvole di fronte ad una gesto come quello di Casseri. Oramai da tempo diciamo, assieme all’Anpi ed altre associazioni di militanti antifascisti, che gruppi neofascisti come Casapound, Casaggì e Forza Nuova (solo per nominare i più conosciuti) non sono un fenomeno da prendere sottogamba. In nome della libertà di espressione del proprio pensiero, conquistata col sangue dei partigiani sui monti, si giustifica qualunque presa di posizione. Dobbiamo invece avere il coraggio e la forza di ribadire che i neofascisti in Italia non hanno diritto di parola in quanto disconosciuti dalla Costituzione. Viviamo nel paese in cui il sindaco Alemanno, nel bel mezzo dei tagli effettuati dal Ministro Tremonti, si permette il lusso di acquistare la sede di Casapound a Roma, in cui parlamentari di destra propongono l’equiparazione tra partigiani e repubblichini e in cui si tenta di eliminare il reato di apologia di fascismo.
Se sono i vertici della politica e delle istituzioni ad assumere pubblicamente queste posizioni ed a farsi promotori di queste iniziative, come ci si può meravigliare di fatti come quelli di oggi? Se accettiamo che personaggi come Borghezio o altri pezzi del folklore leghista aprano bocca dando fiato a qualsiasi pensiero intriso di razzismo, violenza ed intolleranza che frulla nella loro testa, come ci si può meravigliare se una maestra casertana abbassa il voto ad un’alunna perché di colore? Dobbiamo cominciare a dire no, ma in modo serio e deciso. No a Casapound che commemora i franchi tiratori il giorno della Liberazione di Firenze. No a Forza Nuova che organizza iniziative razziste con la scusa di un dibattito sulla costruzione di una moschea. No a Casaggì che si impadronisce della storia della sinistra facendo manifesti e volantini usando la storia e la faccia Bobby Sands. Dobbiamo promuovere la conoscenza della nostra storia e di che cosa è stata la Lotta di Liberazione in Italia. Dobbiamo fare di “cultura” ed “integrazione” le nostre parole d’ordine. Solo così riusciremo a mettere un freno a quest’allucinante deriva culturale che, con la complicità dell’ignoranza e dell’indifferenza comuni, rischia di contagiare irrimediabilmente parte delle giovani generazioni: ricordiamo, ed insegniamo a chi non lo sa ancora, che la nostra democrazia è nata direttamente dall’antifascismo e che i legami con queste radici non possono essere recisi. Da questo passa la richiesta ferma di chiudere le sedi e le organizzazioni neofasciste, come stabiliscono le nostre leggi, nati dal sangue della Resistenza.
In conclusione teniamo a precisare una cosa: i non conformi di Casapound sono sovente legati al Popolo della Libertà e godono di chiara agibilità politica. Non è accettabile dare agibilità ad un’operazione chiaramente di facciata, utile a sollevare dallo scontento sociale strumenti di repressione e funzionali al sistema. Nelle scuole e fra le nuove generazioni continueremo a porci realmente al di fuori del bipolarismo senza cadere in proposte autoritarie, continueremo a guardare alla storia senza falsificazioni e strumentalizzazioni, continueremo a parlare di sociale senza proporre omologazione e identità imposte. Riporteremo il tema dell’immigrazione all’interno del suo reale contesto: da una parte elemento sfruttato dal sistema economico-mafioso italiano, dall’altro pericoloso e strumentale mezzo di consenso per le destre.
Continueremo a rispondere alla crisi costruendo spazi di confronto e costruendo l’alternativa con la partecipazione, non imponendo modelli ridicoli e che fortunatamente i comunisti hanno già sconfitto nel corso della loro storia.

mercoledì 7 dicembre 2011

Manovra: aumenterà solo la miseria.

Manovra: aumenterà solo la miseria.
di Dino Greco (direttore di Liberazione)



Tiriamo le somme. Quelle economiche e quelle politiche che fatalmente ne deriveranno. Enormi le une e le altre. La manovra, per la parte attribuibile alla volontà del governo Monti, è cosa fatta. Vedremo fra breve, ma ne dubito alquanto, se il parlamento sarà in grado di spostarne anche solo una virgola.  Cominciamo con le pensioni, in primo luogo quelle di anzianità, ormai avviate sui binari dell'estinzione. Per fruirne, d'ora in poi occorreranno 42 anni di contributi, mentre la facoltà di accedervi con il doppio requisito (anagrafico + contributivo, attraverso il meccanismo delle quote) è del tutto abrogata. Cosa significa? Semplicemente che quanti alla data odierna avevano raggiunto "quota 95" (per esempio: 36 anni di contributi versati e 59 anni di età) e fra poco, con la normativa in vigore, avrebbero potuto maturare il diritto alla pensione, ora dovranno lavorare altri sei anni, fino a raggiungere la soglia contributiva minima. Né finisce qui, perché coloro che, avendo cominciato a lavorare molto giovani (e tali sono, molto spesso, proprio i dannati dei lavori manuali, alla catena di montaggio, nell'edilizia et similari), ove raggiungessero i fatidici 42 anni di contribuzione, poniamo all'età di 60, se non vorrano subire penalizzazioni economiche ne dovranno lavorare altri due. Anche la pensione di vecchiaia viene elevata a 66 anni (62 per le donne, che la vedranno progressivamente crescere fino a raggiungere la parità nel 2018). Dunque, si lavorerà molto di più per ricevere sensibilmente di meno, anche grazie all'introduzione, per tutti, del contributivo "pro-rata". Come si vede, una solenne mazzata. Di più. Con i nuovi requisiti, in ragione della labile copertura garantita dagli ammortizzatori sociali, oggi sopravvissuti, i lavoratori più anziani, anello debolissimo del mercato del lavoro, che incapperanno nel licenziamento, rischiano di non sapere più come campare. A tutto ciò si aggiunge l'infame balzello imposto alle pensioni già in essere che, al di sopra della franchigia di 980 euro lordi (due volte la minima) non saranno più indicizzate al costo della vita. Misura questa ancor più insopportabile se si pensa che essa è stata introdotta non per assicurare al sistema un equilibrio contabile che già c'è, ma soltanto ed unicamente per fare cassa. Invece, verso il basso, l'accanimento rincrudisce, perché l'Iva, la più indecente delle imposte indirette, crescerà in modo indiscriminato, di due punti.
Della patrimoniale, persino nella blanda versione evocata da Confindustria, si sono perse le tracce. L'enorme ricchezza privata, concentrata nel decimo più ricco della popolazione, resta intonsa. Il governo non ha saputo andare oltre un prelievo, in extremis, dell'1,5% sui capitali "scudati", quelli cioè fraudolentemente accumulati, esportati all'estero e poi ripuliti attraverso un risibile prelievo del 5%: un autentico riciclaggio di Stato a cui ora si aggiunge un tenero buffetto. Le banche, invece (cosa di cui si parla pochissimo), sono state gratificate di un regalo: i debiti da esse accumulati saranno ripianati dallo Stato.
L'ineffabile Presidente del Consiglio ha presentato questa manovra con toni da ultima spiaggia, come un primo passo «per evitare la fine della Grecia». Ma ha mentito. Perché le risorse per una manovra antidepressiva guidata alla mano pubblica nella manovra non ci sono e l'Italia si sta avvitando in una recessione pesantissima destinata a vanificare i durissimi sacrifici imposti al Paese. Monti - avendo eletto a mantra incontestabile il pareggio di bilancio - è prigioniero del diabolico teorema monetarista che combatte il male riproducendolo. Quando fra breve si vedrà che il rapporto debito/pil non migliora e che l'Italia non sarà in grado di onorare il proprio debito, la speculazione, libera di agire senza contrasto, si abbatterà di nuovo sull'Italia, con contraccolpi non più governabili. Merkel e Sarkozy lo hanno già messo a preventivo, ipotizzando per la prima volta, in modo esplicito, che l'euro potrebbe sopravvivere solo per un'élite di paesi europei.

Malgrado tutto ciò sia di una chiarezza lampante, il Pd, come avevamo previsto, si appresta a far sua la manovra. «Va aggiustata un pochino», ha detto Bersani, mostrando tutta la patetica impotenza di quella che fu l'opposizione parlamentare. Chissà se in cuor loro i Democrats non si stiano chiedendo se non sarebbe stato meglio andare alle urne per chiedere ai cittadini il consenso ad un'altra manovra, dentro un'altra strategia, per un altro progetto di Paese e di Europa. Forse una porzione di quel partito è assalita da questo dubbio. Ma soccomberà perché, come abbiamo già detto, vi sono atti "costituenti", che nei momenti "topici" ti fanno precipitare da una parte o dall'altra del crinale, dove le mezze misure, le aree grige non sono più praticabili. Con conseguenze irreversibili. Almeno per un tempo lungo. 
Vedremo oggi se i sindacati che hanno giudicato iniqua la manovra e annunciato uno sciopero per lunedì prossimo, sapranno andare oltre un atto di mera testimonianza.

martedì 6 dicembre 2011

VIII Congresso del Partito della Rifondazione Comunista.

L'VII Congresso del PRC si è svolto a Napoli dal 2 al 4 Novembre. Le registrazioni di tutti i tre giorni di lavori sono disponibili sul sito di Radio Radicale. Qua pubblichiamo le conclusioni del Segretario Nazionale Paolo Ferrero, il documento politico approvato dal congresso e i due documenti di minoranza respinti.


Documento approvato (votato anche dalla delegazione di Sondrio)

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