venerdì 10 marzo 2017

CAMPAGNA DEL “NO” A SONDRIO: UN PRIMO BILANCIO. di Massimo Libera.

I numeri di Sondrio: votanti oltre il 71 %.; I SI bloccati al 39 % ;i NO volati  ad uno straordinario 60,3 %.(la percentuale più alta nella nostra Regione)
Ma nel rendicontare, a tre mesi di distanza, l’esperienza maturata in provincia, siamo chiamati ad andare oltre il legittimo entusiasmo per il risultato conseguito il 4 dicembre e a produrre elementi informativi e  di valutazione capaci di aiutarci a capitalizzare questa vicenda,
E’ del tutto evidente che la grandiosa percentuale dei NO non sia stata semplicemente frutto del generoso lavoro fatto dal coordinamento. La disaggregazione dei dati consente di cogliere due elementi decisivi: 1) che in provincia il NO ha certamente usufruito di un voto antirenzista riconducibile alle destre ; 2)  ma anche che vi è stato un quantitativamente significativo “NO sociale”  urlato dagli strati su cui grava il peso della crisi.
I Si erano pesantemente  mobilitati, in modo particolare  il PD che ha dispiegato  parlamentari, ministri e  sottosegretari; che,  dopo anni, si è reiventato la festa dell’unità costruita in funzione  dell’appuntamento referendario; che  ha accettato contradditori solo con esponenti leghisti nel subdolo tentativo di far passar il messaggio che il PD era l’unico interprete del pensiero di sinistra  e che si batteva contro il NO delle destre e della Lega. Segnalo che in provincia è in atto un processo di democristianizzazione di quella poca cosa che qui è il  PD, processo  ispirato dal locale senatore renziano  che forte del proprio ruolo inventa convegni politico culturali finalizzati alla valorizzazione di vecchi personaggi politici democristiani valtellinesi e che ha usato la campagna referendaria anche  per autopromuovere se stesso e i quattro giovani arrampicatori di partito al suo servizio. Dal 4 dicembre spetta  principalmente a lui, al senatore renziano,  la palma di grande bastonato.
Oltre al PD , per il SI compiti propagandistici significativi li hanno svolti anche  diverse  associazioni di categoria a partire dalla Coldiretti per finire all’Unioni Industriali.
Noi pero ci eravamo mossi per tempo: abbiamo mantenuta viva la struttura organizzativa provinciale unitaria che era nata per gestire la raccolta firme trasformandola in un unico Coordinamento provinciale per la difesa della democrazia e della Costituzione promosso da Rifondazione-Altra Europa, Sel-Sinistra Italiana, Possibile, singoli compagni di ANPI.
Avevamo di fronte, a sinistra, un quadro “particolare”: una CGIL provinciale posizionata su un stanco e manco sussurrato NO e che quindi al dunque ha brillato per la totale latitanza, un’ARCI non pervenuta, Sinistra PD non presente, e – tanto per non farci mancare niente-  un’ ANPI di Sondrio che, in opposizione a quanto deciso nel congresso nazionale, aveva votato un documento favorevole al  SI e di totale disimpegno in questo referendum.
Il lavoro del Coordinamento è stato decisamente  rivolto a evidenziare come l’assalto alla Costituzione fosse voluto e funzionale esattamente a quei poteri responsabili della crisi, della perdita di diritti, della demolizione del Welfare. Ovviamente, en passant, abbiamo anche testardamente agito per restituire all’ANPI il diritto di propagandare  il proprio NO e, non a caso , abbiamo indicato come portavoce del coordinamento una compagna dell’ANPI e la più importante iniziativa promossa da noi ha avuto come protagonisti il compagno    Cenati  dell’ ANPI Milano e Antonio Pizzinato presidente onorario ANPI Lombardia.
Al netto di alcune piccinerie di chi ha cercato di valorizzare “propri” relatori, il Coordinamento ha saputo lavorare unitariamente e soprattutto produrre un lavoro eccezionale  sia in termini quantitativi che qualitativi, guadagnandosi pian piano prestigio e visibilità, in una campagna referendaria dove abbiamo reincontrato tante compagne e tanti compagni per lungo tempo silenti e con loro ricostruito un orgoglio di sinistra.
Credo si possa dire senza ombra di dubbio che le iniziative, dibattiti, volantinaggi, assemblee, attacchinaggi, attivate dal Coordinamento e con una capacità di copertura di tutto il territorio provinciale siano state decisamente superiori a quella degli altri attori del NO – Lega e Movimento 5 Stelle.
Era dal alcuni anni che in Valtellina non si “sentiva” una presenza della Sinistra come prodotta in questa occasione.
Ed è stato proprio grazie all’efficace lavoro del coordinamento che anche la narrazione della vittoria del NO non è stata consegnata al populismo leghista.
Uno dei lasciti di questa esperienza è la consapevolezza che anche in una triste realtà come quella della Provincia di Sondrio, la Sinistra pur mantenendo le proprie singole strutture organizzate, se è capace di pratiche unitarie può mettere  in moto quella massa critica necessaria per  costruire campagne politiche, per dare battaglia, per incidere, per vincere.
Appunto perché questa consapevolezza è di tanti, il coordinamento non si è sciolto anche se non ha ancora compiutamente risposto al quesito aperto sul che fare ora.
Forse troppo distratti dalle telecronache nazionali di quel che avviene a sinistra in questa fase concitata, accusiamo dei ritardi nel rimodulare i  compiti e gli obbiettivi futuri , ma questo ritardo non impedisce di far sentire la propria presenza tant’è che nell’ultimo direttivo ANPI i compagni componenti del coordinamento hanno presentato un documento (vissuto dai sostenitori del Si come “provocazione”)  di rivendicazione delle ragioni NO.

LOMBARDIA: LA 31/2014 SI CONFERMA COME "LEGGE CONSUMA-SUOLO"

Il TAR della Lombardia ha bocciato una variante urbanistica che rendeva “non edificabili” alcune aree della città. Secondo il giudice amministrativo, la legge regionale lombarda contro il “consumo di suolo” limiterebbe, nei fatti, il diritto degli enti locali di pianificare il territorio. Anche quando gli interventi vanno a ridurre le superficie urbanizzabili. Ecco perché il caso potrebbe arrivare di fronte alla Corte Costituzionale
La legge lombarda “per la riduzione del consumo di suolo” (la numero 31 del 2014) non è efficace, perché -secondo la lettura che ne ha dato Paolo Pileri dalle pagine di Altreconomia- non  “tutela” ma “trasforma” i terreni liberi. E lo ha dimostrato, alla prima prova dei fatti, un ricorso al TAR contro una variante urbanistica che avrebbe limitato il consumo di suolo approvata dal Comune di Brescia, ed è stata bocciata.
L’amministrazione del diciassettesimo Comune più abitato del Paese (quasi 200mila abitanti, con una densità abitativa simile a quella di Roma), infatti, aveva “osato” ridurre -con una delibera del luglio del 2015- l’edificabilità nell’area del Parco di San Polo, ri-classificando alcuni lotti, di proprietà di Francesco Passerini Glazel e di Maria Annunciata Passerini Glazel Pagano, che per questo avevano fatto ricorso al Tribunale amministrativo regionale.
In particolare, sarebbero venuti a mancare quei terreni edificabili necessari a far ricadere un diritto a costruire immobili per una superficie pari a 40.168,99 metri quadrati -palazzine per un numero complessivo di 400 appartamenti da 100 metri quadrati l’uno-. Con la variante di riduzione, il Comune in particolare è andato a trasformare quattro “lotti”: due sono stati classificati come “aree agricole di cintura”; uno inserito tra le “aree di salvaguardia e mitigazione ambientale”; l’ultimo, invece, è destinato ad ospitare infrastrutture pubbliche (il parcheggio al servizio della metropolitana).
Per il TAR, che a metà gennaio 2017 ha diffuso la propria sentenza, il Comune di Brescia non poteva approvare quella variante. Non può -secondo la legge regionale- esercitare il proprio “diritto a pianificare”, come sottolinea ad Altreconomia il sindaco di Brescia, Emilio Del Bono.
Il motivo? In attesa che la Regione completi le direttive regionali in merito all’applicazione della legge del 2014, si è di fronte a una moratoria, un periodo transitorio che di fatto congela la potestà pianificatoria dei Comuni. Per dirla con i giudici, “da un lato, non è possibile programmare nuovo consumo di suolo, dall’altro non è possibile cancellare i piani attuativi previsti dal PGT (Piano di governo del territorio, ndr) per la sola ragione che comportano consumo di aree agricole o di aree libere”. La moratoria dura 30 mesi, e ha l’effetto -spiega Del Bono- di “annullare di fatto l’azione urbanistica di un ente per un intero mandato amministrativo, che dura 5 anni”.
A questo proposito, Legambiente Lombardia, in una nota a commento della sentenza, specifica come “il piano territoriale regionale attuativo della legge, che nell’intenzione del legislatore avrebbe dovuto stabilire l’obiettivo regionale di riduzione del consumo di suolo, è al palo: ad oltre due anni dall’approvazione della legge, infatti, non è ancora all’ordine del giorno delle Commissioni del Consiglio Regionale. Eppure avrebbe dovuto essere lo strumento da approntare rapidamente per dar modo a tutte le province e, a cascata, ai comuni della Lombardia, di adeguare i rispettivi strumenti urbanistici agli obiettivi, peraltro molto poco ambiziosi, di limatura delle previsioni di nuovo consumo di suolo”.
Il percorso che ha portato il Comune di Brescia ad adottare la variante del Parco di San Polo era stato avviato nel 2014, prima dell’approvazione della legge regionale -racconta ad Ae Emilio Del Bono-: quando abbiamo iniziato il nostro percorso amministrativo ci siamo resi conto che dal Dopoguerra tutti gli strumenti urbanistici approvati a Brescia inserivano nuove superfici lorde di pavimento, ed abbiamo voluto agire in contrapposizione, anche perché le dinamiche demografiche della città e quelle del mercato immobiliare ci portavano a fare considerazioni di questo tipo”.
Spiega Del Bono che grazie una serie di varianti -una delle quali è quella oggetto del ricorso dei Passerini Glazel- il Comune di Brescia ha ridotto del 42% la superficie lorda di pavimento realizzabile secondo il PGT del 2012, da 1.122.740 metri quadrati a 650.000 mq, e contemporaneamente è andato ad incentivare gli interventi di riqualificazione e rigenerazione del patrimonio esistente abbattendo gli oneri di urbanizzazione per questo tipo di interventi, fino a un massimo dell’80% in alcuni quartieri della città.
Oltre al ricorso già deciso a metà gennaio, sulle varianti urbanistiche del Comune di Brescia ne pendono altri: complessivamente, sono 38. Contro la prima sentenza, però, l’ente ha deciso di presentare appello di fronte al Consiglio di Stato, “considerando che la legge regionale presenti anche profili di incostituzionalità -sottolinea Del Bono, che è avvocato ed è stato parlamentare per tre legislature-. La domanda che poniamo è questa: una Regione può limitare i diritti di un Comune al punto da annullare la facoltà di intervenire sulla pianificazione? Ciò non rappresenta un’invasione di campo?”.
Secondo Paolo Pileri, professore associato di pianificazione e progettazione urbanistica al Politecnico di Milano, editorialista di Altreconomia a autore del libro “Che cosa c’è sotto”, “è possibile immaginare che i giudici del TAR abbiamo tuttavia voluto offrire ai colleghi del Consiglio di Stato un assist, scegliendo in modo accurato le parole da usare, e richiamando nelle quindici pagine della sentenza alcune delle definizioni contrarie al buon senso e alla natura che discendono dall’applicazione della legge regionale sul consumo di suolo. Se una legge è fuorviante o ambigua, il suolo non lo salva”.
Pileri cita alcuni esempi: “È scritto che ‘la definizione normativa di consumo di suolo […] ha carattere formale, ossia prende in considerazione il territorio non sulla base dello stato dei luoghi ma per la qualifica che ne è stata data dalla zonizzazione’, ma non è vero che un campo coltivato è una palazzina solo perché così lo designa il PGT. O, ancora, che ‘…alle aree urbanizzate sono assimilate le aree urbanizzabili (ossia quelle che, seppure di fatto ancora libere, sono idonee, secondo la disciplina urbanistica, a ospitare diritti edificatori)’, anche perché i diritti edificatori non esistono senza un piano attuativo approvato o una concessione rilasciata”. C’è, infine, un ultima nota: “Il consumo di suolo non è un concetto naturalistico ma giuridico” si legge nella sentenza. Come aveva scritto nell’aprile dello scorso anno Paolo Pileri sulle pagine di Altreconomia, “la superficie urbanizzata e quella urbanizzabile diventano invece nella legge, di fatto, dei sinonimi”, e le motivazioni della sentenza lo confermano: consumo di suolo è definito dalla trasformazione, per la prima volta, di una superficie agricola da parte di uno strumento di governo del territorio. Non servono cantieri, né ruspe.

PARTECIPATE LOMBARDE: «MARONI E SALA RESTITUISCANO IL MALTOLTO». di Massimo Gatti.

Puntualmente quando arriva gennaio nell’area milanese e in Lombardia si scopre che viviamo in una delle aree più inquinate del mondo con pesanti ricadute sulla salute della popolazione. Governo nazionale e Giunta regionale lombarda sono responsabili oggi e ieri di politiche scellerate che hanno puntato tutto su autostrade molto costose e sulla cementificazione del territorio sacrificando il trasporto pubblico,la mobilità alternativa, l’agricoltura,i parchi e la buona occupazione. Inoltre l’azione di contrasto contro mafie, corruzione e sperperi è stata debole.
La città di Milano a prescindere dalle maggioranze che si susseguono pensa solo a se stessa e la Città metropolitana e le province nominate dai consiglieri comunali e non elette dai cittadini, molto deboli nell’azione amministrativa e di rappresentanza, dovrebbero decadere automaticamente dopo l’esito del referendum costituzionale del 4 dicembre 2016,con il ripristino immediato del voto popolare per eleggere organi istituzionali legittimati.
Si sentono roboanti annunci per completare opere come la Paullese senza il pudore di assumersi la responsabilità dei tagli al trasporto pubblico su ferro e gomma e alla spesa per la viabilità ordinaria.
Si programmano addirittura nuove infrastrutture nella zona di expo con le conseguenti speculazioni immobiliari e commerciali,in cui cordate politiche più o meno filogovernative fissano le priorità senza attenzione all’effettivo bisogno dei territori.
L’Italia di fronte ai terremoti, al dissesto idrogeologico e ai cambiamenti climatici ha bisogno di un governo che abbia il coraggio di non annunciare e perseguire alcuna grande opera (ad eccezione del trasporto pubblico su ferro per i pendolari) e di non illudere con i poteri speciali. Bisogna impegnare almeno 5/10 anni nella cura, manutenzione e razionalizzazione dell’esistente con ricadute positive su tante piccole e medie imprese.
Nel dibattito pubblico vi è la ripetizione continua della mancanza di risorse economiche. La crisi è innegabile,ma si possono fare scelte diverse da quelle attuali.
La ex Provincia di Milano,oggi Città metropolitana è stata “derubata” per legge della sua società principale ASAM che contiene Serravalle. Questa ultima è una società che si occupa di grande viabilità dal 1954 ed è oggi valutata per difetto almeno 500 milioni di euro.
Doveva stare in prestito in Regione Lombardia e poi restituita a Città metropolitana. Non se ne parla più almeno nel medio periodo.
La Giunta di Regione Lombardia con l’aiuto del governo nazionale se ne è impossessata e il Presidente Maroni pensa in questo modo di togliere dal pantano la Pedemontana e di proseguire con i cantieri dell’autostrada anche nella zona di Seveso sventrando i terreni che da 40 anni contengono la diossina dell’ICMESA e di quel disastro ambientale.
Il Sindaco di Milano Sala che si è dimenticato di essere automaticamente anche Sindaco metropolitano grazie alla nociva legge Delrio, ha ottenuto di poter alienare in fretta il quasi 20% di Serravalle proprietà di Milano città, raccattando nelle previsioni circa 100 milioni di euro.
A questo punto se non si riesce a sventare la sconsiderata svendita di un patrimonio pubblico strategico, ai comuni e ai cittadini fuori Milano vanno attribuiti 400 milioni di euro con un apposito stanziamento di Regione Lombardia e del governo nazionale per le rispettive competenze.
È necessario verificare anche se non vi sono dei conguagli in quota parte per il lodigiano fino al 1995 e per la Brianza fino al 2004.
Altro che i 25 milioni di euro di bonus/mancia che il governo nazionale ha assicurato all’ultimo bilancio metropolitano per non fallire.
Non basta qualche appendice nei pomposi e vuoti patti per Milano città o per la Lombardia; mancano all’appello almeno 375 milioni di euro.
Sono quattrini in prevalenza dei 133 comuni dell’ex Provincia di Milano e soprattutto di oltre 2 milioni di cittadine e cittadini che hanno urgenza di avere investimenti e servizi pubblici locali.
Si rifletta su quante politiche concrete si potrebbero avviare contro l’inquinamento e per la salute pubblica con le risorse sopra richiamate.
I vertici delle istituzioni locali, regionali e nazionali rispondano nel merito, anziché chiacchierare su tutto e su niente.

Massimo Gatti, già consigliere Provincia di Milano Lista civica Un’Altra Provincia-PRC-PdCI

“Clandestino” è discriminatorio e intimidatorio. Condannata la Lega Nord di Duccio Facchini — 23 febbraio 2017

Il Tribunale di Milano ha riconosciuto la “valenza denigratoria” dei manifesti affissi dal partito di Matteo Salvini contro alcuni richiedenti asilo a Saronno (VA) nella primavera 2016. Un punto fermo importante che giunge a quasi tre anni dalla legge delega al Governo che avrebbe dovuto depenalizzare il “reato di clandestinità”. Cosa che non è ancora avvenuta.
Definire “clandestino” un richiedente asilo non è soltanto “gravemente offensivo e umiliante”, non ha solo “l’effetto di violare la dignità degli stranieri”, ma “favorisce un clima intimidatorio e ostile nei loro confronti”. A riconoscere, ancora una volta, la “chiara e univoca valenza negativa” di una parola utilizzata come un manganello, è stata la prima sezione civile del Tribunale ordinario di Milano che, con un’ordinanza datata 22 febbraio 2017, ha condannato il partito della Lega Nord (“in persona del suo segretario nazionale pro-tempore”, Matteo Salvini) per 70 manifesti affissi per un mese a Saronno (VA) nella primavera 2016.
Le espressioni trascritte sui cartelli incriminati erano tristemente familiari: “Saronno non vuole i clandestini”“Renzi e Alfano vogliono mandare a Saronno 32 clandestini: vitto, alloggio e vizi pagati da noi”,“Nel frattempo ai saronnesi tagliano le pensioni ed aumentano le tasse”, “Renzi e Alfano complici dell’invasione”. A scatenare la protesta discriminatoria dei leghisti locali era stata l’intesa raggiunta tra una cooperativa e la Prefettura di Varese per l’accoglienza di 32 richiedenti asilo in una struttura di Saronno.
Grazie all’ASGI (Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione, www.asgi.it) e al NAGA (Associazione volontaria di assistenza socio-sanitaria e per i diritti dei cittadini stranieri, rom e sinti, www.naga.it), i responsabili politici dell’iniziativa sono stati chiamati a risponderne in tribunale. E l’ordinanza è una pietra miliare. “Il termine ‘clandestino’ -ha scritto il giudice Martina Flamini- ha una valenza denigratoria e viene utilizzato come emblema di negatività”. Una truffa lessicale che non merita la tutela dell’articolo 21 della Costituzione perché “veicola l’idea fortemente negativa che i richiedenti asilo costituiscano un pericolo per i cittadini”, e che non può nemmeno essere spacciata per “mera imprecisione terminologica”. Sostenere poi, come hanno fatto i leghisti saronnesi, che l’etichetta discriminatoria sia figlia di una prassi diffusa, scrive il Tribunale, non è una giustificazione “idonea”.

Lettori fissi