venerdì 10 marzo 2017

CAMPAGNA DEL “NO” A SONDRIO: UN PRIMO BILANCIO. di Massimo Libera.

I numeri di Sondrio: votanti oltre il 71 %.; I SI bloccati al 39 % ;i NO volati  ad uno straordinario 60,3 %.(la percentuale più alta nella nostra Regione)
Ma nel rendicontare, a tre mesi di distanza, l’esperienza maturata in provincia, siamo chiamati ad andare oltre il legittimo entusiasmo per il risultato conseguito il 4 dicembre e a produrre elementi informativi e  di valutazione capaci di aiutarci a capitalizzare questa vicenda,
E’ del tutto evidente che la grandiosa percentuale dei NO non sia stata semplicemente frutto del generoso lavoro fatto dal coordinamento. La disaggregazione dei dati consente di cogliere due elementi decisivi: 1) che in provincia il NO ha certamente usufruito di un voto antirenzista riconducibile alle destre ; 2)  ma anche che vi è stato un quantitativamente significativo “NO sociale”  urlato dagli strati su cui grava il peso della crisi.
I Si erano pesantemente  mobilitati, in modo particolare  il PD che ha dispiegato  parlamentari, ministri e  sottosegretari; che,  dopo anni, si è reiventato la festa dell’unità costruita in funzione  dell’appuntamento referendario; che  ha accettato contradditori solo con esponenti leghisti nel subdolo tentativo di far passar il messaggio che il PD era l’unico interprete del pensiero di sinistra  e che si batteva contro il NO delle destre e della Lega. Segnalo che in provincia è in atto un processo di democristianizzazione di quella poca cosa che qui è il  PD, processo  ispirato dal locale senatore renziano  che forte del proprio ruolo inventa convegni politico culturali finalizzati alla valorizzazione di vecchi personaggi politici democristiani valtellinesi e che ha usato la campagna referendaria anche  per autopromuovere se stesso e i quattro giovani arrampicatori di partito al suo servizio. Dal 4 dicembre spetta  principalmente a lui, al senatore renziano,  la palma di grande bastonato.
Oltre al PD , per il SI compiti propagandistici significativi li hanno svolti anche  diverse  associazioni di categoria a partire dalla Coldiretti per finire all’Unioni Industriali.
Noi pero ci eravamo mossi per tempo: abbiamo mantenuta viva la struttura organizzativa provinciale unitaria che era nata per gestire la raccolta firme trasformandola in un unico Coordinamento provinciale per la difesa della democrazia e della Costituzione promosso da Rifondazione-Altra Europa, Sel-Sinistra Italiana, Possibile, singoli compagni di ANPI.
Avevamo di fronte, a sinistra, un quadro “particolare”: una CGIL provinciale posizionata su un stanco e manco sussurrato NO e che quindi al dunque ha brillato per la totale latitanza, un’ARCI non pervenuta, Sinistra PD non presente, e – tanto per non farci mancare niente-  un’ ANPI di Sondrio che, in opposizione a quanto deciso nel congresso nazionale, aveva votato un documento favorevole al  SI e di totale disimpegno in questo referendum.
Il lavoro del Coordinamento è stato decisamente  rivolto a evidenziare come l’assalto alla Costituzione fosse voluto e funzionale esattamente a quei poteri responsabili della crisi, della perdita di diritti, della demolizione del Welfare. Ovviamente, en passant, abbiamo anche testardamente agito per restituire all’ANPI il diritto di propagandare  il proprio NO e, non a caso , abbiamo indicato come portavoce del coordinamento una compagna dell’ANPI e la più importante iniziativa promossa da noi ha avuto come protagonisti il compagno    Cenati  dell’ ANPI Milano e Antonio Pizzinato presidente onorario ANPI Lombardia.
Al netto di alcune piccinerie di chi ha cercato di valorizzare “propri” relatori, il Coordinamento ha saputo lavorare unitariamente e soprattutto produrre un lavoro eccezionale  sia in termini quantitativi che qualitativi, guadagnandosi pian piano prestigio e visibilità, in una campagna referendaria dove abbiamo reincontrato tante compagne e tanti compagni per lungo tempo silenti e con loro ricostruito un orgoglio di sinistra.
Credo si possa dire senza ombra di dubbio che le iniziative, dibattiti, volantinaggi, assemblee, attacchinaggi, attivate dal Coordinamento e con una capacità di copertura di tutto il territorio provinciale siano state decisamente superiori a quella degli altri attori del NO – Lega e Movimento 5 Stelle.
Era dal alcuni anni che in Valtellina non si “sentiva” una presenza della Sinistra come prodotta in questa occasione.
Ed è stato proprio grazie all’efficace lavoro del coordinamento che anche la narrazione della vittoria del NO non è stata consegnata al populismo leghista.
Uno dei lasciti di questa esperienza è la consapevolezza che anche in una triste realtà come quella della Provincia di Sondrio, la Sinistra pur mantenendo le proprie singole strutture organizzate, se è capace di pratiche unitarie può mettere  in moto quella massa critica necessaria per  costruire campagne politiche, per dare battaglia, per incidere, per vincere.
Appunto perché questa consapevolezza è di tanti, il coordinamento non si è sciolto anche se non ha ancora compiutamente risposto al quesito aperto sul che fare ora.
Forse troppo distratti dalle telecronache nazionali di quel che avviene a sinistra in questa fase concitata, accusiamo dei ritardi nel rimodulare i  compiti e gli obbiettivi futuri , ma questo ritardo non impedisce di far sentire la propria presenza tant’è che nell’ultimo direttivo ANPI i compagni componenti del coordinamento hanno presentato un documento (vissuto dai sostenitori del Si come “provocazione”)  di rivendicazione delle ragioni NO.

LOMBARDIA: LA 31/2014 SI CONFERMA COME "LEGGE CONSUMA-SUOLO"

Il TAR della Lombardia ha bocciato una variante urbanistica che rendeva “non edificabili” alcune aree della città. Secondo il giudice amministrativo, la legge regionale lombarda contro il “consumo di suolo” limiterebbe, nei fatti, il diritto degli enti locali di pianificare il territorio. Anche quando gli interventi vanno a ridurre le superficie urbanizzabili. Ecco perché il caso potrebbe arrivare di fronte alla Corte Costituzionale
La legge lombarda “per la riduzione del consumo di suolo” (la numero 31 del 2014) non è efficace, perché -secondo la lettura che ne ha dato Paolo Pileri dalle pagine di Altreconomia- non  “tutela” ma “trasforma” i terreni liberi. E lo ha dimostrato, alla prima prova dei fatti, un ricorso al TAR contro una variante urbanistica che avrebbe limitato il consumo di suolo approvata dal Comune di Brescia, ed è stata bocciata.
L’amministrazione del diciassettesimo Comune più abitato del Paese (quasi 200mila abitanti, con una densità abitativa simile a quella di Roma), infatti, aveva “osato” ridurre -con una delibera del luglio del 2015- l’edificabilità nell’area del Parco di San Polo, ri-classificando alcuni lotti, di proprietà di Francesco Passerini Glazel e di Maria Annunciata Passerini Glazel Pagano, che per questo avevano fatto ricorso al Tribunale amministrativo regionale.
In particolare, sarebbero venuti a mancare quei terreni edificabili necessari a far ricadere un diritto a costruire immobili per una superficie pari a 40.168,99 metri quadrati -palazzine per un numero complessivo di 400 appartamenti da 100 metri quadrati l’uno-. Con la variante di riduzione, il Comune in particolare è andato a trasformare quattro “lotti”: due sono stati classificati come “aree agricole di cintura”; uno inserito tra le “aree di salvaguardia e mitigazione ambientale”; l’ultimo, invece, è destinato ad ospitare infrastrutture pubbliche (il parcheggio al servizio della metropolitana).
Per il TAR, che a metà gennaio 2017 ha diffuso la propria sentenza, il Comune di Brescia non poteva approvare quella variante. Non può -secondo la legge regionale- esercitare il proprio “diritto a pianificare”, come sottolinea ad Altreconomia il sindaco di Brescia, Emilio Del Bono.
Il motivo? In attesa che la Regione completi le direttive regionali in merito all’applicazione della legge del 2014, si è di fronte a una moratoria, un periodo transitorio che di fatto congela la potestà pianificatoria dei Comuni. Per dirla con i giudici, “da un lato, non è possibile programmare nuovo consumo di suolo, dall’altro non è possibile cancellare i piani attuativi previsti dal PGT (Piano di governo del territorio, ndr) per la sola ragione che comportano consumo di aree agricole o di aree libere”. La moratoria dura 30 mesi, e ha l’effetto -spiega Del Bono- di “annullare di fatto l’azione urbanistica di un ente per un intero mandato amministrativo, che dura 5 anni”.
A questo proposito, Legambiente Lombardia, in una nota a commento della sentenza, specifica come “il piano territoriale regionale attuativo della legge, che nell’intenzione del legislatore avrebbe dovuto stabilire l’obiettivo regionale di riduzione del consumo di suolo, è al palo: ad oltre due anni dall’approvazione della legge, infatti, non è ancora all’ordine del giorno delle Commissioni del Consiglio Regionale. Eppure avrebbe dovuto essere lo strumento da approntare rapidamente per dar modo a tutte le province e, a cascata, ai comuni della Lombardia, di adeguare i rispettivi strumenti urbanistici agli obiettivi, peraltro molto poco ambiziosi, di limatura delle previsioni di nuovo consumo di suolo”.
Il percorso che ha portato il Comune di Brescia ad adottare la variante del Parco di San Polo era stato avviato nel 2014, prima dell’approvazione della legge regionale -racconta ad Ae Emilio Del Bono-: quando abbiamo iniziato il nostro percorso amministrativo ci siamo resi conto che dal Dopoguerra tutti gli strumenti urbanistici approvati a Brescia inserivano nuove superfici lorde di pavimento, ed abbiamo voluto agire in contrapposizione, anche perché le dinamiche demografiche della città e quelle del mercato immobiliare ci portavano a fare considerazioni di questo tipo”.
Spiega Del Bono che grazie una serie di varianti -una delle quali è quella oggetto del ricorso dei Passerini Glazel- il Comune di Brescia ha ridotto del 42% la superficie lorda di pavimento realizzabile secondo il PGT del 2012, da 1.122.740 metri quadrati a 650.000 mq, e contemporaneamente è andato ad incentivare gli interventi di riqualificazione e rigenerazione del patrimonio esistente abbattendo gli oneri di urbanizzazione per questo tipo di interventi, fino a un massimo dell’80% in alcuni quartieri della città.
Oltre al ricorso già deciso a metà gennaio, sulle varianti urbanistiche del Comune di Brescia ne pendono altri: complessivamente, sono 38. Contro la prima sentenza, però, l’ente ha deciso di presentare appello di fronte al Consiglio di Stato, “considerando che la legge regionale presenti anche profili di incostituzionalità -sottolinea Del Bono, che è avvocato ed è stato parlamentare per tre legislature-. La domanda che poniamo è questa: una Regione può limitare i diritti di un Comune al punto da annullare la facoltà di intervenire sulla pianificazione? Ciò non rappresenta un’invasione di campo?”.
Secondo Paolo Pileri, professore associato di pianificazione e progettazione urbanistica al Politecnico di Milano, editorialista di Altreconomia a autore del libro “Che cosa c’è sotto”, “è possibile immaginare che i giudici del TAR abbiamo tuttavia voluto offrire ai colleghi del Consiglio di Stato un assist, scegliendo in modo accurato le parole da usare, e richiamando nelle quindici pagine della sentenza alcune delle definizioni contrarie al buon senso e alla natura che discendono dall’applicazione della legge regionale sul consumo di suolo. Se una legge è fuorviante o ambigua, il suolo non lo salva”.
Pileri cita alcuni esempi: “È scritto che ‘la definizione normativa di consumo di suolo […] ha carattere formale, ossia prende in considerazione il territorio non sulla base dello stato dei luoghi ma per la qualifica che ne è stata data dalla zonizzazione’, ma non è vero che un campo coltivato è una palazzina solo perché così lo designa il PGT. O, ancora, che ‘…alle aree urbanizzate sono assimilate le aree urbanizzabili (ossia quelle che, seppure di fatto ancora libere, sono idonee, secondo la disciplina urbanistica, a ospitare diritti edificatori)’, anche perché i diritti edificatori non esistono senza un piano attuativo approvato o una concessione rilasciata”. C’è, infine, un ultima nota: “Il consumo di suolo non è un concetto naturalistico ma giuridico” si legge nella sentenza. Come aveva scritto nell’aprile dello scorso anno Paolo Pileri sulle pagine di Altreconomia, “la superficie urbanizzata e quella urbanizzabile diventano invece nella legge, di fatto, dei sinonimi”, e le motivazioni della sentenza lo confermano: consumo di suolo è definito dalla trasformazione, per la prima volta, di una superficie agricola da parte di uno strumento di governo del territorio. Non servono cantieri, né ruspe.

PARTECIPATE LOMBARDE: «MARONI E SALA RESTITUISCANO IL MALTOLTO». di Massimo Gatti.

Puntualmente quando arriva gennaio nell’area milanese e in Lombardia si scopre che viviamo in una delle aree più inquinate del mondo con pesanti ricadute sulla salute della popolazione. Governo nazionale e Giunta regionale lombarda sono responsabili oggi e ieri di politiche scellerate che hanno puntato tutto su autostrade molto costose e sulla cementificazione del territorio sacrificando il trasporto pubblico,la mobilità alternativa, l’agricoltura,i parchi e la buona occupazione. Inoltre l’azione di contrasto contro mafie, corruzione e sperperi è stata debole.
La città di Milano a prescindere dalle maggioranze che si susseguono pensa solo a se stessa e la Città metropolitana e le province nominate dai consiglieri comunali e non elette dai cittadini, molto deboli nell’azione amministrativa e di rappresentanza, dovrebbero decadere automaticamente dopo l’esito del referendum costituzionale del 4 dicembre 2016,con il ripristino immediato del voto popolare per eleggere organi istituzionali legittimati.
Si sentono roboanti annunci per completare opere come la Paullese senza il pudore di assumersi la responsabilità dei tagli al trasporto pubblico su ferro e gomma e alla spesa per la viabilità ordinaria.
Si programmano addirittura nuove infrastrutture nella zona di expo con le conseguenti speculazioni immobiliari e commerciali,in cui cordate politiche più o meno filogovernative fissano le priorità senza attenzione all’effettivo bisogno dei territori.
L’Italia di fronte ai terremoti, al dissesto idrogeologico e ai cambiamenti climatici ha bisogno di un governo che abbia il coraggio di non annunciare e perseguire alcuna grande opera (ad eccezione del trasporto pubblico su ferro per i pendolari) e di non illudere con i poteri speciali. Bisogna impegnare almeno 5/10 anni nella cura, manutenzione e razionalizzazione dell’esistente con ricadute positive su tante piccole e medie imprese.
Nel dibattito pubblico vi è la ripetizione continua della mancanza di risorse economiche. La crisi è innegabile,ma si possono fare scelte diverse da quelle attuali.
La ex Provincia di Milano,oggi Città metropolitana è stata “derubata” per legge della sua società principale ASAM che contiene Serravalle. Questa ultima è una società che si occupa di grande viabilità dal 1954 ed è oggi valutata per difetto almeno 500 milioni di euro.
Doveva stare in prestito in Regione Lombardia e poi restituita a Città metropolitana. Non se ne parla più almeno nel medio periodo.
La Giunta di Regione Lombardia con l’aiuto del governo nazionale se ne è impossessata e il Presidente Maroni pensa in questo modo di togliere dal pantano la Pedemontana e di proseguire con i cantieri dell’autostrada anche nella zona di Seveso sventrando i terreni che da 40 anni contengono la diossina dell’ICMESA e di quel disastro ambientale.
Il Sindaco di Milano Sala che si è dimenticato di essere automaticamente anche Sindaco metropolitano grazie alla nociva legge Delrio, ha ottenuto di poter alienare in fretta il quasi 20% di Serravalle proprietà di Milano città, raccattando nelle previsioni circa 100 milioni di euro.
A questo punto se non si riesce a sventare la sconsiderata svendita di un patrimonio pubblico strategico, ai comuni e ai cittadini fuori Milano vanno attribuiti 400 milioni di euro con un apposito stanziamento di Regione Lombardia e del governo nazionale per le rispettive competenze.
È necessario verificare anche se non vi sono dei conguagli in quota parte per il lodigiano fino al 1995 e per la Brianza fino al 2004.
Altro che i 25 milioni di euro di bonus/mancia che il governo nazionale ha assicurato all’ultimo bilancio metropolitano per non fallire.
Non basta qualche appendice nei pomposi e vuoti patti per Milano città o per la Lombardia; mancano all’appello almeno 375 milioni di euro.
Sono quattrini in prevalenza dei 133 comuni dell’ex Provincia di Milano e soprattutto di oltre 2 milioni di cittadine e cittadini che hanno urgenza di avere investimenti e servizi pubblici locali.
Si rifletta su quante politiche concrete si potrebbero avviare contro l’inquinamento e per la salute pubblica con le risorse sopra richiamate.
I vertici delle istituzioni locali, regionali e nazionali rispondano nel merito, anziché chiacchierare su tutto e su niente.

Massimo Gatti, già consigliere Provincia di Milano Lista civica Un’Altra Provincia-PRC-PdCI

“Clandestino” è discriminatorio e intimidatorio. Condannata la Lega Nord di Duccio Facchini — 23 febbraio 2017

Il Tribunale di Milano ha riconosciuto la “valenza denigratoria” dei manifesti affissi dal partito di Matteo Salvini contro alcuni richiedenti asilo a Saronno (VA) nella primavera 2016. Un punto fermo importante che giunge a quasi tre anni dalla legge delega al Governo che avrebbe dovuto depenalizzare il “reato di clandestinità”. Cosa che non è ancora avvenuta.
Definire “clandestino” un richiedente asilo non è soltanto “gravemente offensivo e umiliante”, non ha solo “l’effetto di violare la dignità degli stranieri”, ma “favorisce un clima intimidatorio e ostile nei loro confronti”. A riconoscere, ancora una volta, la “chiara e univoca valenza negativa” di una parola utilizzata come un manganello, è stata la prima sezione civile del Tribunale ordinario di Milano che, con un’ordinanza datata 22 febbraio 2017, ha condannato il partito della Lega Nord (“in persona del suo segretario nazionale pro-tempore”, Matteo Salvini) per 70 manifesti affissi per un mese a Saronno (VA) nella primavera 2016.
Le espressioni trascritte sui cartelli incriminati erano tristemente familiari: “Saronno non vuole i clandestini”“Renzi e Alfano vogliono mandare a Saronno 32 clandestini: vitto, alloggio e vizi pagati da noi”,“Nel frattempo ai saronnesi tagliano le pensioni ed aumentano le tasse”, “Renzi e Alfano complici dell’invasione”. A scatenare la protesta discriminatoria dei leghisti locali era stata l’intesa raggiunta tra una cooperativa e la Prefettura di Varese per l’accoglienza di 32 richiedenti asilo in una struttura di Saronno.
Grazie all’ASGI (Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione, www.asgi.it) e al NAGA (Associazione volontaria di assistenza socio-sanitaria e per i diritti dei cittadini stranieri, rom e sinti, www.naga.it), i responsabili politici dell’iniziativa sono stati chiamati a risponderne in tribunale. E l’ordinanza è una pietra miliare. “Il termine ‘clandestino’ -ha scritto il giudice Martina Flamini- ha una valenza denigratoria e viene utilizzato come emblema di negatività”. Una truffa lessicale che non merita la tutela dell’articolo 21 della Costituzione perché “veicola l’idea fortemente negativa che i richiedenti asilo costituiscano un pericolo per i cittadini”, e che non può nemmeno essere spacciata per “mera imprecisione terminologica”. Sostenere poi, come hanno fatto i leghisti saronnesi, che l’etichetta discriminatoria sia figlia di una prassi diffusa, scrive il Tribunale, non è una giustificazione “idonea”.

martedì 10 dicembre 2013

DOCUMENTO FINALE APPROVATO DAL IX CONGRESSO NAZIONALE DI RIFONDAZIONE COMUNISTA - PERUGIA 8/12/2013

Il 9° Congresso Nazionale del Partito della Rifondazione Comunista-Sinistra Europea, riunitosi a Perugia il 6/7/8 Dicembre 2013, sentita la relazione del segretario uscente Paolo Ferrero e sentito il dibattito, impegna il Partito tutto a lavorare già dalle prossime settimane secondo quanto deliberato dai congressi di circolo del Partito, attraverso il voto degli iscritti e delle iscritte. Iscritti ed iscritte che ringraziamo per aver partecipato ai congressi di circolo e per essere, con la loro generosa militanza, il vero patrimonio del nostro Partito.

Occorre da subito continuare nel lavoro di costruzione del più ampio movimento di massa di opposizione al governo Letta, alle politiche di austerità imposte dall’Unione Europea e nella difesa della costituzione nata dalla Resistenza. La Costituzione è oggetto di un vero e proprio attacco da parte della maggioranza del Parlamento. Una maggioranza che è delegittimata ad operare qualsiasi modifica alla nostra carta fondamentale , anche alla luce della recente decisione della Corte Costituzionale di dichiarare anticostituzionale l’abnorme premio di maggioranza della legge elettorale Calderoli, grazie al quale già si era operato nella precedente legislatura lo strappo dell’introduzione del pareggio di bilancio in Costituzione, attraverso la riforma dell’art. 81.
A tale proposito, il PRC ritiene istituzionalmente inopportuno e gravissimo politicamente l’intervento del Presidente della Repubblica Napolitano, teso a prefigurare un nuovo impianto istituzionale ed elettorale della Repubblica in senso maggioritario, attraverso una prassi presidenzialista. Contro questo disegno, il PRC si è sempre battuto e si batterà, facendo appello a tutte le forze democratiche e antifasciste, a partire dal comitato per il 12 Ottobre, a far sentire il proprio dissenso e manifestare la loro contrarietà alla manomissione della nostra carta costituzionale e a rilanciare la battaglia per un sistema elettorale proporzionale. Il tentativo in corso di disinnescare gli effetti della sentenza della Corte Costituzionale sulla legge elettorale va contrastato sul piano politico e culturale. Il fallimento di venti anni di maggioritario e bipolarismo rende possibile riprendere a livello di massa la battaglia per la proporzionale. La crisi democratica che viviamo è conseguenza di quella sociale ed economica.
La crisi economica che viviamo in Italia è figlia del neoliberismo bipartizan, applicato su scala continentale dalla troika e dalla commissione europea, attraverso memorandum, Mes e Fiscal compact, e nel nostro paese aggravata delle grandi coalizioni e dai governi Monti e Letta. In nome dell’osservanza cieca dei trattati europei e del rientro dal debito, si sta portando avanti un attacco senza precedenti alle condizioni di vita di milione di donne e uomini, dei lavoratori, delle classi sociali più deboli. Si sta operando una nuova offensiva, che vede questo governo protagonista di una ennesima ondata di privatizzazioni, di vera e propria svendita del tessuto produttivo del paese, già segnato dagli effetti recessivi delle politiche di rigore fin qui applicate. Una crisi che vede drammaticamente crescere il divario e insopportabili disuguaglianze fra aree del paese e classi sociali. Una crisi che colpisce le fasce più deboli della popolazione, fra cui giovani , donne, con una disoccupazione ai massimi storici ed una precarietà divenuta esistenziale. Una crisi che vede approfondirsi elementi di regressione civile e culturale, solitudine e disperazione, paura e razzismo. Fra questi spicca il moltiplicarsi dei casi di femminicidio. La diffusa violenza maschile, fisica, materiale e simbolica, sul corpo delle donne, sono il segno di una crisi del maschile che ancora non sa porsi in relazione con la libertà femminile.
Nella costruzione di un movimento di massa contro l’austerità, il PRC deve impegnarsi nel ridare centralità al conflitto sociale e di classe. I caratteri della crisi dimostrano attualità della critica marxista dell’economia politica e delle teorie economiche dominanti, della centralità del conflitto di classe, pur nelle rinnovate forme derivate dalla nuovo composizione sociale del blocco sociale di riferimento. Qui siamo chiamati ad un salto di qualità della nostra iniziativa, innovando e estendendo le nostre pratiche di intervento sociale, dando priorità alla nostra capacità di iniziativa politica e organizzazione, alla modalità di lavoro dei nostri circoli. Il 9° congresso del PRC chiama il prossimo CPN ha dare centralità al lavoro di radicamento sociale del partito, di cura della sua presenza fra i lavoratori e le lavoratrici, i precari, i movimenti per la casa e il reddito, i migranti, a estendere e rafforzare le pratiche del partito sociale. Senza cambiare rapporti di forza nella società e senza una nostra capacità di essere presenti e promotori nelle lotte sociali, non può esservi alcun cambiamento dei rapporti di forza politici. Occorre inoltre una cura della sua capacità di autonomia attraverso l’autofinanziamento, della sua capacità di comunicazione, dotandosi di ulteriori strumenti, della formazione dei gruppi dirigenti e del loro necessario rinnovamento. Un rinnovamento che sia anche e soprattutto delle pratiche, mettendo in atto una democrazia degli iscritti, un modello di partito partecipativo e inclusivo. Un partito che superi il suo carattere sessuato e una pericolosa tendenza a rimuovere la questione di genere, come purtroppo emerso anche durante questo nostro consesso. Un partito che sappia dialogare e costruire relazioni stabili con il mondo della cultura e dell’intellettualità non organica al pensiero unico. Un partito che accolga le figure sociali della nuova composizione di classe. Occorre inoltre lavorare alla cura dell’organizzazione del partito, per un suo rilancio e per migliorarne la vita democratica, il coinvolgimento dei circoli, una verifica dei gruppi dirigenti basata sul lavoro politico svolto. A tale fine, il congresso del PRC da mandato al prossimo Cpn di convocare una conferenza di organizzazione del Partito, per definire le necessarie innovazioni alla sua modalità di funzionamento a tutti i livelli. Per apportare le necessarie modifiche statutarie derivanti dall’esito della conferenza, il congresso propone di riconvocare la platea dei delegati.
Dal punto di vista del conflitto sociale, pur in un quadro di mobilitazioni che a differenza del resto del sud europa rimane segnato dall’inerzia e dalla subalternità della gran parte del sindacalismo confederale al quadro politico, esistono positivi segnali in controtendenza, come dimostrano le mobilitazioni del 18 e 19 ottobre, le mobilitazioni dei lavoratori del trasporto pubblico a Genova e Firenze, le lotte nel settore della logistica, la manifestazione del 12 Ottobre a difesa della costituzione, l'iniziativa della Fiom e dei sindacati di base in tutti questi anni.
Il PRC è chiamato a dare maggior efficacia e coordinamento nell’iniziativa dei suoi iscritti nel lavoro sindacale, coordinandone l’attività al fine della costruzione del movimento di massa contro l’austerità. A tal fine, per il prossimo congresso della CGIL, auspichiamo la costruzione di una sinistra sindacale che possa aprire una battaglia politica per rilanciare il ruolo di classe della CGIL su punti dirimenti la politica economica, sociale e contrattuale, invertendone il segno moderato e adattativo al quadro politico.
In Italia pesa enormemente l’assenza del conflitto sociale organizzato , che ponga la questione del lavoro e della giustizia sociale , della redistribuzione della ricchezza al centro del dibattito politico, e senza il quale la crescente sofferenza sociale trova come sbocco quello della protesta populista o dell’astensione, o il rischio di essere attratto da proposte reazionarie. L’antifascismo per noi rimane valore indiscutibile e impegno d riaffermare
La battaglia sociale che dobbiamo promuovere è anche battaglia delle idee, di egemonia per la costruzione del blocco storico, di ricomposizione delle tante vertenze sociali e ambientali che attraversano il paese, come la No Tav, quella terra dei fuochi, le lotte in difesa del posto di lavoro e per i beni comuni, del precariato per il reddito sociale, della difesa della scuola e università pubblica.’, per la pace e contro la guerra, i No Muos e contro gli F35.
In questa direzione il PRC si impegna a fare del Piano per il lavoro e riconversione ecologica dell’economia la sua campagna di massa dei prossimi mesi, per rimettere a tema la necessità dell’intervento pubblico in economia e del mutamento di paradigma sull’idea di sviluppo. La recente tragedia che ha colpito la Sardegna, dimostra ancor di più come sia urgente e necessario , attraverso una programmazione pubblica, intervenire per il riassetto idrogeologico del territorio, e quanto l’idea liberista sia incapace di coniugare sviluppo sociale e salvaguardia dell’ambiente, di come la lotta per la trasformazione sociale connetta questione di classe e ambientale. L’austerità colpisce i diritti sociali anche attraverso il patto di stabilità imposto agli enti locali. Il Partito si impegna in una campagna contro i suoi vincoli e per la sua messa in discussione e sostiene pertanto l’esperienza della rete dei comuni solidali come delle amministrazioni che in varie forme si oppongono alla distruzione del welfare locale in nome del rigore. Il 9° congresso del PRC sostiene la campagna per l’amnistia sociale, contro la repressione dei movimenti sociali in atto.

Accanto e insieme al piano per il lavoro, Il PRC fa della lotta per la rottura con questa Unione Europea, per la messa in discussione della sua architettura istituzionale neoliberista e dei suoi Trattati, come il fiscal compact, Mes , Maastricht e Lisbona, il centro della sua proposta e iniziativa politica. La disobbedienza ai trattati e la costruzione di coalizioni sociali e politiche contro l’austerità a livello nazionale ed europeo sono una priorità e necessità. Senza mettere in discussione gli attuali assetti di potere in Europa, la sua natura antidemocratica e antipopolare, non è possibile uscire da questa crisi, che anzi si aggrava seguendo la via tracciata dalle elites europee di massacro sociale e distruzione del welfare e dei diritti . A tal fine il PRC sostiene la campagna per referendum consultivi sui trattati europei e le comuni campagne con il Partito della Sinistra Europea, come quella contro il TTIP.
Il PRC è inoltre chiamato ad approfondire il dibattito su la possibile implosione dell’area euro e della moneta unica, come possibile conseguenza delle politiche di austerità, e sulle possibili proposte alternative e eventuali strategie di uscita, in difesa dei lavoratori e della sovranità popolare e democratica.
Nelle stesse ore in cui si chiude il nostro Congresso, si svolgono le primarie per l’elezione del nuovo segretario del PD, il cui probabile esito sancirà una nuova svolta moderata e centrista. Una svolta che si accompagna ad un quadro europeo segnato dalla nascita della grosse koalition in Germania e che chiude ogni illusione riguardo possibili mutamenti di rotta della socialdemocrazia europea nei riguardi dell’austerità.
Per tali ragioni è ancor più necessario rimettere in campo una proposta per la sinistra nel nostra paese.
Contro la grande coalizione europea e italiana, occorre costruire una sinistra alternativa e autonoma dal centrosinistra, che si unisca su un chiaro programma di lotta all’austerità, di rottura con il modello neoliberista di questa unione europea, per un’uscita da sinistra dalla crisi.
Ferma restando la necessità del Prc come organizzazione politica dei comunisti, che è aperta al confronto sul tema dell’unità con le altre forze comuniste, nella chiarezza della scelta strategica di autonomia dal centro sinistra e di innovazione politico culturale nel senso della rifondazione. Come nel resto d’Europa - e le esperienza del Front de gauche, Izquierda Unida, Syriza ne dimostrano la fattibilità - insistiamo nel proporre un processo di aggregazione dal basso, democratico e partecipativo della sinistra di alternativa e delle forze antiliberiste e anticapitaliste del nostro paese, che si connoti per l’autonomia e l’alterità rispetto al centrosinistra e al Partito Democratico. In questa direzione, il IX congresso del PRC impegna il Partito nel far crescere e avanzare per le prossime elezioni europee la costruzione di una lista di sinistra e contro l’austerità, che faccia riferimento alla Sinistra Europea e al Gue, e che riunisca intorno alla candidatura di Alexis Tspipras le forze della sinistra alternativa , i movimenti e le singole personalità che condividono il programma comune di lotta all’austerità, per i lavoro, la difesa dei beni comuni e dei diritti sociali. Una lista che dia voce ai precari, a lavoratori, a tutti popoli europei che resistono agli effetti nefasti delle brutali politiche di austerità imposte dalla Troika e dall’UE, e di cui la lotta del popolo greco e di Syriza rappresenta il punto più alto e la dimostrazione che è possibile un’uscita a sinistra dalla crisi.

lunedì 2 dicembre 2013

Rizzi nuovo segretario provinciale di Rifondazione


Domenica 1 Dicembre, il Congresso del Partito della Rifondazione Comunista ha eletto all’unanimità il nuovo segretario provinciale Paolo Rizzi, classe 1986, laureato in Studi dell’Africa e dell’Asia all’Università di Pavia dove è stato rappresentante degli studenti, attualmente è anche membro del direttivo provinciale dell’ARCI ed è stato coordinatore provinciale della campagna referendaria sull’Articolo 18 e l’Articolo 8. Il Congresso ha eletto un Comitato Politico provinciale composto da 15 uomini e donne operai, studenti, lavoratori autonomi e pensionati e ha nominato i delegati al congresso nazionale che si terrà a Perugia dal 6 all’8 Dicembre e deciderà la nuova linea politica e la nuova dirigenza dopo la sconfitta elettorale di Rivoluzione Civile.
Il Congresso Provinciale ha analizzato la situazione locale in cui per la prima volta da decenni la nostra Provincia conosce la disoccupazione di massa e ha espresso in particolare la propria solidarietà ai lavoratori della Rigamonti in lotta. Il PRC si impegna a discutere e a presentare a tutti i soggetti sociali interessati la proposta di legge popolare Piano Per Il Lavoro e l’Economia Ecologica e Solidale, sostenuta anche da economisti come Bellofiore, Gianni e Vertova e dall’ex segretario della Fiom Rinaldini. Dopo l’aumento di iscritti nell’anno 2013, l’obiettivo è aumentare ancora la militanza e dare sostanza al radicamento del Partito nei territori.
In vista delle elezioni europee, il congresso ha approvato all’unanimità la proposta di candidare alla presidenza della Commissione Europea il Presidente della Coalizione di Sinistra greca (Syriza) Alexis Tsipras, come candidato comune di tutte le forze di sinistra in Europa che si oppongono alle politiche capitalistiche di austerità e lavorano al di fuori del centrosinistra che non solo in Italia ma anche in Grecia e Germania governa insieme alle destre.


Per il PRC Sondrio, Paolo Rizzi, vi ringrazio per l’attenzione.

mercoledì 3 luglio 2013

"Nel mediterraneo c'è un potenziale rivoluzionario sfruttato dalla reazione". Intervista a Fabio Amato

Intervista a Fabio Amato, responsabile esteri di Rifondazione Comunista


Il mediterraneo torna ad infiammarsi. C’entra la crisi economica dell’occidente?
Le rivolte che stanno sconvolgendo tutto il mondo arabo nascono da ragioni strutturali. A cominciare dalla crisi economica, ovviamente, e poi per passare alle speculazioni sui futures del petrolio. Ed e’ questo in fondo che ha unito un pezzo di rivolta urbana, della parte più colta della società, le cui aspettative erano soffocate dal sistema clientelare e nepotistico, al peggioramento elle condizioni di vita di masse operaie e dei contadini stessi. Questo viene sempre sottostimato, ma voglio ricordare che i sindacati hanno avuto un ruolo sia in Tunisia che in Egitto.
Siamo di fronte a un buco nell’analisi degli Usa che invece hanno puntato la loro strategia sul ruolo di Morsi.
Gli Usa credevano al patto non scritto filtrato dal Quatar e dall’Arabia Saudita con la Fratellanza islamica. Un patto che avrebbe dovuto garantire un cambiamento soft dal punto di vista geopolitico. Questo è avvenuto sia in Tunisia che in Egitto. Oggi, pero’, il fatto che i Fratelli musulmani di fatto non abbiano toccato nessuna della cause strutturali della crisi e non abbiano implementato nessuna riforma sociale, anzi si sono affrettati ad occupare tutte le leve del potere e i posti chiave imitando i regimi precedenti in chiave islamica per mantenere la coesione del loro blocco, ci dice che quella fase e’ chiusa.
Cosa ci sta dicendo la mobilitazione in Egitto?
In Egitto la mobilitazione è trasversale. I militari, è evidente che sono parte del patto per la transizione. In Egitto esistono delle soggettività politiche, come in Tunisia dove esiste una sinistra. Però da un punto di vista di forza e di alleanze internazionali i militari e i musulmani sono i soggetti determinanti in questa fase. Nel Fronte di salvezza nazionale ci sono dai liberali alla sinistra.
Cosa lega questa ondata di rivolte alla crisi economica?
Al fondo si tratta di una rivolta rispetto ad una crisi che non ha più confini. Il problema è che non c’è abbastanza consapevolezza di questo legame. Turchia e Egitto sono i paesi della delocalizzazione verso Sud da parte delle aziende e delle multinazionali che operano in Europa e negli Stati Uniti. Le privatizzazioni ovunque applicate comportano la cancellazione dei diritti sociali. La dissoluzione di qualsiasi forma che esisteva prima di Stato sociale ha finito per accendere la miccia. Anche in Turchia tra le forze che hanno animato le proteste ci sono le forze della sinistra radicale per quanto frammentata. Il problema è che se da una parte ci sono le condizioni oggettivamente rivoluzionarie, per adesso i benefici le hanno colte le forze controrivoluzionarie. Il problema è la costruzione di soggettività politiche in grado di proporre la rottura del modello sociale.
Insisto su questo aspetto della crisi, perche’ intanto il potenziale esplosivo dell’Europa potrebbe investire anche le sponde del mediterraneo alla ricerca di una soluzione nuova…
E’ in fondo il nodo della Mesoregione mediterranea. Sarebbe anche una ipotesi naturale e storica. L’Unione europea aveva investito nel processo di Barcellona ma poi si è tradotto in accordi di libero commercio e sfruttamento del lavoro. Oggi, l’Unione europea guarda all’atlantico anche se con la vicenda del Datagate ci saranno non pochi problemi. O si battono quell’ipotesi lì ugualmente in Europa oppure si devono mettere in discussione i trattati così come sono. Il mediterraneo l’Europa l’ha intercettato solo rispetto al tema della delocalizzazione. Quindi, per fare il primo passo va rotta la gabbia neoliberista.
Qual è la situazione del dialogo tra i movimenti delle due sponde?
Si stanno costruendo le reti. E qualche cosa è stato fatto con il Forum mondiale sociale in Tunisia. Ad ottobre a Palermo c’è stata la prima conferenza euromediterranea della sinistra europea. E il prossimo ottobre ci sarà un incontro tra la sinistra europea, il forum di San Paolo e la sinistra del Mediterraneo. E’ chiaro però che i rapporti di forza sono più complessi.
Che vuoi dire?
Ci sono interessi geopolitici enormi e in campo ci sono gli stati nazionali. Noi, di contro, abbiamo reti informali. La ricostruzione di un immaginario tra neoliberismo e movimenti religiosi ci può essere, per esempio, a partire da un panarabismo socialista. In Egitto ha presa, così come in Tunisia. Il fronte della sinistra dimostra che una opzione progressista c’è. Del resto, è proprio agendo su questo elemento dell’immaginario che in Amercia latina sono riusciti a battere il neoliberismo, ovvero grazie al fatto che hanno ripreso un ideale umanista come il socialismo del xxi secolo.
Mi pare che Chavez avesse anche proposto un percorso che portasse ad una nuova internazionale…
Il tema della ricostruzione di una forma permanente e di una nuova internazionale secondo me rispetto a quello che sta accadendo è chiaro che si pone come urgente. Noi avevamo sostenuto quella proposta. Chavez non fu capito.

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