martedì 28 giugno 2011

TAV: perchè siamo contrari


1-Chi è il Comitato No-Tav e perché nasce la lotta
Al giorno d’oggi esiste la possibilità di realizzare in un prossimo futuro, un sistema di trasporti migliore dell’attuale, basato su mezzi prevalentemente collettivi che consumino meno energia, che facciano ricorso a fonti rinnovabili di combustibili puliti e che inquinino meno l’ambiente. Purtroppo le linee dei Treni ad Alta Velocità e Capacità (TAV/TAC) si pongono invece in una prospettiva diversa: ossia progettate in un’ottica di movimentazione esasperata di passeggeri e merci su lunghe distanze, sono opere faraoniche che avrebbero un impatto ambientale e sociale devastante sui territori attraversati; richiederebbero di concentrare per decenni sulla loro realizzazione investimenti pubblici di tale portata da pregiudicare importanti servizi, quali sanità, scuola e stato sociale.
Per questa ed altre ragioni è nato pertanto il Comitato No-Tav Torino che si oppone duramente a queste opere, di cui ancora non sono state seriamente dimostrate né l’effettiva necessità, né la sostenibilità economica. Chi ne fa parte sono persone singole e associazioni della società civile che credono che sia possibile un mondo diverso, più giusto e responsabile dell’attuale, e che lottano per realizzarlo. Si battono in modo pacifico ma determinato, contro il modello neo-liberista che in nome degli interessi economici di un’esigua minoranza rappresentata dai poteri forti, sfrutta le persone e la natura, assoggetta le istituzioni e la politica, cancellando progressivamente diritti, democrazia e pace. Chi aderisce al Comitato
No-Tav, si sente idealmente a fianco di tutte le forze che in varie parti d’Italia ed Europa si battono per evitare la costruzione delle linee TAV/TAC; in concreto collaborano strettamente con le popolazioni che si oppongono alla realizzazione della tratta Torino-Lione.

2- Perché bisogna opporsi al TAV/TAC: le ragioni dell’opposizione
Ecco le principali ragioni che portano questo comitato a opporsi alla costruzioni di queste tratte ferroviarie TAV/TAC:
- Perseguono un modello di movimentazione esasperata delle merci, fortemente distribuito sul pianeta allo scopo di sfruttare al massimo i lavoratori e l’ambiente nei luoghi dove essi sono meno tutelati
- Violenterebbero il territorio con “corridoi di servizio industriale” larghi almeno 300 metri, fasce in cui risulterebbe distrutta qualsiasi possibilità presente e futura di abitare o svolgere attività economiche
- Avrebbero un impatto ambientale pesante per l’inquinamento da rumore e vibrazione che colpirebbe tutte le forme di vita lungo il tragitto e spesso comporterebbe nuove pericolose variazioni dell’equilibrio idro-geologico naturale
- Richiedono finanziamenti pubblici ingentissimi, dell’ordine di miliardi di Euro, a scapito di settori primari quali sanità, scuola e stato sociale in un’epoca di drammatica crisi industriale e di collasso delle finanze statali
- Prefigurano investimenti fortemente concentrati, la cui gestione costituisce ormai, di regola, terreno fertile per la corruzione e le infiltrazioni mafiose
- porterebbero elevati profitti a speculatori e costruttori quali FIAT, ENI, Pininfarina, ma successivamente, sarebbero economicamente in perdita e perciò richiederebbero altro denaro pubblico per coprire il deficit.


3- Quali sono i compiti del Comitato No-Tav?
Il ruolo che si dà il Comitato No-Tav Torino è innanzitutto di sensibilizzare i cittadini torinesi e non sul problema TAV, di produrre nei loro confronti l’informazione che oggi manca, utilizzando tutti gli strumenti a disposizione e tutte le sedi ed i canali agibili, a partire da quelli delle associazioni aderenti.
Intendono inoltre contrastare, smascherandone la parzialità, la disinformazione attuata dai grandi mezzi di comunicazione, di fatto asserviti in questo caso agli interessi dei poteri forti coinvolti nei progetti di finanziamento e costruzione delle linee; vogliono anche contribuire a svelare la reale e pericolosa inconsistenza di grandiosi piani strategici come quello di “Torino Internazionale” per gli anni 2000-2010: l’incredibile tesi, secondo cui sarebbe possibile compensare il declino industriale torinese con l’effimera economia di opere come il TAV e di eventi quali le olimpiadi invernali del 2006, serve in buona sostanza a regalare alla FIAT ed ai suoi partner una sorta di generale approvazione del processo di riconversione dall’auto alla speculazione finanziaria, edile, cantieristica.
In accordo e cooperazione con le altre forze dell’opposizione al TAV, verranno indette varie forme di manifestazione delle idee e proposte comuni, al fine di promuoverle tra i cittadini e di dimostrare la consistenza e l’identità del fronte contrario a grandi opere inutili e dannose.

4- No Tav, No Tac: ecco quindi le motivazioni contrarie alla realizzazione dell’Alta Velocità ferroviaria Lione-Torino
Il tunnel di base della progettata linea TAV/TAC nella tratta internazionale Lione-Torino sarà realizzato con due gallerie parallele per elevare il grado di sicurezza, in caso di incidente una è per i soccorsi. Ma vediamo per bene le sue caratteristiche:
- E’ lungo 52 Km; l’altezza del carico di roccia sovrastante arriva ad un massimo di oltre 2500 metri; la temperatura prevista nella zona centrale è superiore ai 35 gradi per oltre 15 Km, con un picco di 50 gradi
- La durata della costruzione, con tecnica mista “fresa-esplosivo” è prevista in almeno 10 anni (12-15 per completare le due gallerie)
- Lo scavo produrrà 15 milioni di metri cubi di detriti con presenza di amianto e uranio, metà dovrà essere sparso in Valsusa (entro 30 Km, per economia dei costi); a questi detriti depositati in valle si assommeranno quelli dei successivi due lunghi tunnel che attraverseranno la nota vena amiantifera presente nello spartiacque tra le Valli Lanzo e Susa.
- Saranno allo stesso tempo prelevati localmente centinaia di migliaia di metri cubi di buona ghiaia per il calcestruzzo di rivestimento delle galleria
- Lo scavo prosciugherà molte falde che alimentano gli acquedotti a valle
- A servizio del tunnel dovrà essere realizzato, più a valle, un piazzale di stazionamento e carico per i treni lungo 2-3 Km, largo 100 metri, e con pendenza inferiore al 2 per mille: in pratica una diga di terra in grado di sbarrare il vallone di Chianocco. Un’opera a gravissimo rischio ideologico.
Tra l’altro, come se non bastasse, l’impresa che dal lato francese si propone per il tunnel è la Rocksoil, dell’ing. Lunardi (intestata alla moglie, ora che lui è ministro delle infrastrutture)

5- Tempi e modi di realizzazione
I tempi di realizzazione per completare l’opera sono stimabili nell’ordine dei 15-20 anni. Per la tratta italiana, tra S.Didero e Settimo, nei prossimi 10-12 anni, funzioneranno 11 cantieri con enorme consumo di energia e petrolio, con inquinamento dei suoli e delle acque, con centinaia di camion e mezzi di scavo che di giorno e in qualche caso anche di notte assilleranno le popolazioni con polvere, rumore e gas di scarico, paralizzando per giunta la viabilità locale. A parere del Governo, ma anche del Sindaco di Torino, dei Presidenti di Provincia e Regione, questa “economia cantieristica” sarà una chiave di sviluppo a compensazione della perdita occupazionale nell’industria: in realtà sarà caratterizzata dall’impiego di manodopera immigrata a bassa specializzazione ed a rischio di elevato sfruttamento in condizione di scarsa sicurezza (3 morti in 1 anno sulla TAV, To-Mi); data l’enorme mole di denaro in gioco sarà nuova occasione di appalti e subappalti con i consueti margini di manovra per la corruzione politico-imprenditoriale, con apertura ad infiltrazioni mafiose.

6- Costi di realizzazione
I costi di realizzazione dell’intera tratta, sono oggi stimati nell’ordine di circa 16 miliardi di Euro (ovvero 32mila miliardi i Lire), l’esperienza del Tav Bologna-Firenze, che è simile per le caratteristiche del territorio, ha però dimostrato ancora una volta che in 10 anni, ben prima del termine, i costi risultano più che quadruplicati. I promotori sperano nell’apporto di finanziamenti privati, ma le previsioni tengono lontano gli investitori. Quasi tutti i soldi necessari a sostenere l’opera dovranno allora provenire da fonte pubblica e saranno quelli sottratti a welfare, scuola, e sanità.
7- Economia di gestione
Si è calcolato che, ad opera ultimata, i costi di gestione potrebbero essere a pareggio solo se sulla linea transitassero almeno 40 milioni di tonnellate di merci all’anno, 350 treni al giorno, uno ogni 4-5 minuti, lunghi 1500-2000 metri, alla velocità di 150 km/h, alternati a treni passeggeri con velocità fino a 300 Km, (sarà necessaria inoltre, una continua e costosa manutenzione per garantire sicurezza alle alte velocità e tentare di minimizzare l’impatto acustico).
Si dubita però fortissimamente della possibilità di costringere i flussi di merci che ora attraversano i confini in diversi punti, a concentrarsi su di un unico tunnel. E’ pertanto già prevedibile una gestione in perdita economica per decine di anni e quindi si ipoteca, anche qui, il denaro pubblico futuro per coprire i disavanzi.
In definitiva quest’opera serve sicuramente a trasformare ingenti investimenti pubblici in profitti privati delle imprese di costruzione; e in esercizio, produrrà molto probabilmente perdite che saranno da ripianare, ancora una volta con denaro pubblico; avrà inoltre un impatto insostenibile sull’ambiente e la popolazione dei territori attraversati.


8- Ora invece mettiamo a confronto le ragioni a favore dei treni TAV/TAC e quelle contro.
a- Via di comunicazione strategica per l’Europa, strumento di sviluppo specie per alcune regioni industrializzate della fascia Spagna-Francia-Italia.
a- L’attuale sistema globalizzato di produzione distribuita comporta un’esasperata e continua movimentazione di materie prime, semilavorati e prodotti finiti; il maggior sfruttamento di lavoratori e materie prime, l’alta velocità di spostamento di denaro, merci e forza lavoro sono considerati i cardini della competizione. Sono fattori che rendono questo sistema non sostenibile per il futuro pianeta. Un obiettivo da porre è perciò la diminuzione della quantità di merci circolanti.
b- Grazie al tunnel italo-francese la linea contribuirà a riequilibrare il trasporto merci a favore della rotaia
b- Non si può accettare che per un misero 1% di riequilibrio si trasformino vallate in corridoi di transito industriale devastando l’ambiente, minando la salute, svalutando l’abitabilità del territorio, negando prospettive alle produzioni locali in direzione di una marginalizzazione sociale delle popolazioni. Sì, a passare quote significative di trasporto merci da gomma a rotaia, ma utilizzando al meglio le numerose ferrovie esistenti.
c- Con l’opera migliora l’accessibilità dell’area torinese, facendone aumentare il vantaggio competitivo offerto, rispetto ad altre aree urbane europee.
c- La città non deve essere ridotta a nodo di flussi di merci e persone, a mero luogo di scambio mercantile: qualità della vita, cultura dell’accoglienza, sostenibilità ambientale e sociale sono i presupposti di aggregazione di una comunità di abitanti.


9- Ci sono persone, purtroppo che si fanno imbambolare dai soliti luoghi comuni usati da costruttori, fruitori, finanziatori e approfittatori (i soli che beneficeranno dei treni TAV/TAC).
Qui di seguito, sfateremo una serie di falsi miti, usati per far apprezzare la costruzione di questo scempio e per nascondere l’orrenda verità.
SENZA LA TORINO-LYON IL PIEMONTE SAREBBE ISOLATO DALL’EUROPA
In realtà il Piemonte è già abbondantemente collegato all’Europa e soprattutto attraverso la Valle di Susa. In questa valle esistono già due strade statali, un’autostrada e una linea ferroviaria passeggeri e merci a doppio binario. Esiste perfino la cosiddetta autostrada ferroviaria (trasporto dei Tir su speciali treni-navetta). Sono tutte linee di collegamento con la Francia attraverso due valichi naturali e due tunnel artificiali.
LE LINEE FERROVIARIE ESISTENTI SONO SATURE
In realtà l’attuale linea ferroviaria Torino-Modane è utilizzata solo al 38% della sua capacità. Le navette per i Tir partono ogni giorno desolatamente vuote. Il collegamento ferroviario diretto Torino-Lyon è stato soppresso per mancanza di passeggeri. E il flusso delle merci è invece sceso del 9% nell’ultimo anno.
LA TORINO-LYON E’ INDISPENSABILE AL RILANCIO ECONOMICO DEL PIEMONTE
In realtà è vero il contrario. Togliendo risorse alla ricerca, all’innovazione e al risanamento dell’industria in crisi profonda, il TAV sarà la mazzata finale all’economia piemontese.
IL TAV TOGLIERA’ I TIR DALLA VALLE
In realtà i 10-15 anni di cantiere necessari a costruire la Torino-Lyon porteranno sulle strade della Valle e della cintura di Torino qualcosa come 500 camion al giorno (e alla notte) per il trasporto del materiale di scavo dai tunnel ai luoghi di stoccaggio. Con grande aumento di inquinanti e polveri. Finita la fase cantieristica e realizzata l’opera, chi ci dice che le merci passeranno dall’autostrada alla nuova ferrovia? Anzi, i promotori dell’opera e recenti studi di ingegneria dei trasporti ci dicono che solo l’1% dell’attuale traffico su gomma si trasferirà sulla ferrovia. Che bel vantaggio!!
LA TORINO-LYON PORTA LAVORO AI PIEMONTESI
In realtà come già sta succedendo per tutte le infrastrutture in corso, si tratterebbe di lavoro precario, per mano d’opera in gran parte extracomunitaria. Inoltre le ditte appaltatrici si porterebbero tecnici e operai dalla loro regione. Per i comuni della Valle di Susa e della cintura di Torino arriverebbe invece un bel problema: la mafia.
LA LINEA E’ QUASI TUTTA IN GALLERIA. CHE MALE FA?
In realtà fa malissimo. Il tracciato prevede una galleria di 23 Km all’interno di una montagna molto amiantifera, il Musinè. La talpa che perforerà la roccia immetterà nell’aria un bel po’ di fibre di amianto. Invisibili e letali. Il vento le porterà dappertutto. Il foehn le porterà fin nel centro di Torino. Respirare fibre di amianto provoca un tumore nei polmoni che non lascia scampo. L’amianto è un materiale fuori legge dal 1977. Scavare gallerie in un posto così è illegale e criminale. E ancora: il tunnel Italia-Francia di 53 Km scavato dentro al Massiccio dell’Ambin incontrerà (oltre a falde e sorgenti che andranno distrutte) anche roccia contenente uranio. Sarà inoltre un inferno di rumore, polvere, camion avanti e indietro per le strette vie dei paesi, di giorno e di notte, per 15 anni almeno. E ancora: la perforazione di tratti montani così lunghi vicino a centri densamente abitati potrà prosciugare le falde idriche e gli acquedotti. E ancora: la viabilità sarà stravolta.
QUEST’OPERA FA BENE ALL’ECONOMIA, PERCHE’ METTE IN MOTO CAPITALI PRIVATI
In realtà il costo stimato di 20 miliardi di euro è tutto a carico della collettività. Tutto denaro pubblico, ma affidato ai privati. Nessun privato ci metterà un euro e i tantissimi soldi che servono a quest’opera verranno tolti alle linee ferroviarie esistenti (già disastrate), a ospedali, scuole, e a tutti i servizi di pubblica utilità, e allo sviluppo delle energie rinnovabili destinate a sostituire il petrolio. E ancora: è già prevista che la nuova linea ferroviaria Torino-Lyon avrà altissimi costi di gestione e che sarà in perdita per decine e decine di anni. E ancora: nonostante la maggior parte del tracciato sia in territorio francese, il governo italiano si è impegnato a sobbarcarsi il costo dei due terzi della tratta internazionale… Tanto paghiamo noi!!
CHI E’ CONTRO LA TORINO-LYON, E’ CONTRO IL PROGRESSO.
In realtà è vero il contrario. Il progresso non deve essere confuso con la crescita infinita. Il territorio italiano è piccolo e sovrappopolato, le risorse naturali sono limitate, l’inquinamento e i rifiuti aumenteranno invece senza limite, il petrolio è in esaurimento. Progresso vuol dire comprendere che esistono limiti fisici alla nostra smania di costruire e di trasformare la faccia del pianeta. Progresso vuol dire ottimizzare, rendere più efficiente e durevole ciò che già esiste, tagliare il superfluo e investire in crescita intellettuale e culturale più che materiale, utilizzare più il cervello dei muscoli. Il TAV rappresenta l’esatto contrario di questa impostazione, è un progetto vecchio che privilegia come valore solo la velocità e la quantità, ignora la qualità, ovvero se e perché bisogna trasportare qualcosa.

10- E per finire, uno sguardo alla nostra salute. Ecco a cosa andremo incontro…
TAV: amianto e uranio. Rischi di esposizione ad amianto e uranio causati dai lavori di costruzione della linea ad alta velocità.
La RFI (Rete Ferroviaria Italiana) ha presentato, nel mese di dicembre 2003, il progetto preliminare della linea TAV/TAC per la tratta nazionale della Torino-Lione. La tratta, da Settimo Torinese a Brufolo, ha una lunghezza complessiva di circa 44 Km, e prevede, rispetto al precedente progetto, una galleria unica di quasi 23 Km. Allo scavo principale, andrebbero inoltre ad aggiungersi almeno tre finestre di sicurezza, ovvero gallerie secondarie. Per quanto riguardo invece la tratta internazionale, il progetto prevede il cosiddetto tunnel di base di 53 Km.
AMIANTO:
Nel gennaio 2003, un’equipe di geologi ha svolto per conto di RFI, un’indagine finalizzata alla ricerca di amianto nelle rocce della bassa valle, con prelevamento di 39 campione in 29 punti di osservazione; in circa la metà dei campioni esaminati è stata riscontrata la presenza di amianto in diverse forme. Ovviamente dal progetto non risulta previsto un piano di sicurezza che possa impedire la dispersione di fibre d’amianto durante le fasi di lavorazione e di stoccaggio.
Tra le malattie causate dall’amianto, il mesotelioma, tumore maligno della pleura, è sicuramente la più grave. Si manifesta dopo 15-20 anni dall’inalazione di particelle di amianto, ma ha una mortalità del cento per cento e conduce a morte in media entro nove mesi dalla diagnosi. Non esiste esposizione sicura, cioè non esiste una soglia di esposizione al di sotto della quale l’amianto sia innocuo. Nel caso di una prolungata esposizione ambientale, come quella che dovrebbe derivare dalla movimentazione di più di un milione di tonnellate di rocce contenenti amianto, i casi di questa malattia potrebbero aumentare di molto.
URANIO:
Nel massiccio d’Ambin attraversato dal traforo sono presenti numerosi giacimenti di uranio, per maggior precisione il materiale presente è pechblenda, forma notevolmente radioattiva; non è per il momento conosciuta una previsione sulla quantità di uranio che potrà essere contenuto nel materiale estratto. L’uranio si disperde nell’aria e può essere inalato, ma soprattutto contamina le falde acquifere e va ad inquinare i corsi d’acqua che possono essere utilizzati per l’irrigazione.
L’uranio, se inalato o ingerito, provoca contaminazione interna e può essere causa di linfomi.
CONCLUSIONI:
La situazione che si prospetta per il territorio, è estremamente preoccupante, tale da configurare la concreta possibilità di severi danni alla salute pubblica.

NO TAV: è solo una vittoria di Pirro

TAV: l'ordine regna sovrano, ma è solo vittoria di Pirro



di Paolo Ferrero (segretario nazionale di Rifondazione Comunista)

L'ordine regna a Chiomonte, ma è vittoria di Pirro. Con un intervento militare che ha impegnato migliaia di agenti,  il Governo ha sgomberato stamattina il presidio No Tav di Chiomonte. Si tratta di un successo puramente militare, indegno di un paese civile, che non sposta di una virgola il problema politico, e cioè che la maggioranza della popolazione della valle è contraria a quest'opera dannosa per l'ambiente e assurda per le finanze pubbliche, visto il costo di 20 miliardi. Non a caso la Val di Susa in questo momento è bloccata da vari blocchi stradali, i lavoratori di varie aziende sono immediatamente scesi in sciopero e domani sera a Susa vi sarà una pacifica manifestazione di massa contro la TAV. Adesso che Maroni ha fatto la sua prova di forza contro la popolazione cosa pensa di fare, di militarizzare la valle per un decennio? Quella di stamattina è una pura e semplice follia che non risolverà nulla.


Massimo Rossi (portavoce nazionale della Federazione della Sinistra)
2000 agenti in assetto di guerra, che attaccano i presidi di uomini e donne che difendono i beni comuni, l’acqua, l’aria, la terra, la salute, il denaro pubblico sprecato in grandi opere anacronostiche e dannose, è degno solo di uno stato totalitario.
Nonostante il messaggio forte e chiaro lanciato dal popolo italiano il 12 e 13 giugno scorsi nel referendum, si continua a imporre sulla testa dei cittadini scelte utili solo alla speculazione ed ai grandi affari delle grandi forze economiche, così come si intendeva fare per il nucleare e l’acqua.
Se tutte le forze democratiche, della sinistra e del centrosinistra, facessero mancare tutto il dovuto sostegno e la solidarietà alle popolazioni ed agli amministratori della Val di Susa in lotta , mancherebbero l’appuntamento all’alternativa al berlusconismo oggi all’ordine del giorno.
Nessuno può voltarsi dall’altra parte: facciamo sentire la nostra voce, manifestando la nostra solidarietà con la Val di Susa davanti alle sedi istituzionali e alle prefetture, nelle forme più efficaci possibili.
Dalla Val Susa a Genova 2011: la nostra lotta continua!
Simone Oggionni (Coordinatore Nazionale Giovani Comunisti)
Cambiamo noi stessi per entrare in sintonia con il cambiamento. Uniamo le lotte e costruiamo, a partire da Genova 2011, un nuovo Patto di Lavoro.
Che il Paese stia cambiando è fuori discussione. Con le elezioni amministrative, i ballottaggi e, ancora di più, la vittoria dei referendum ci siamo rimessi in cammino. Dopo due anni di lotte dure, da Pomigliano a Mirafiori, dalle mobilitazioni degli studenti al protagonismo delle donne, fino allo sciopero generale, il movimento ha seminato e il cambiamento ha iniziato a piantare le sue radici. In queste ore chi resiste contro la Tav lo sta facendo con il consenso di un popolo vasto, che reclama dignità, diritti e tutela dell’ambiente. L’epoca berlusconiana sta finendo e, dal suo seno e dalle acutissime contraddizioni che ha prodotto, ne sta nascendo una nuova.
Ma è proprio questa la fase in cui dobbiamo avere ben chiaro il rischio che corriamo, e che per paradosso – in un contesto così espansivo – potrebbe condannarci alla marginalità definitiva. Il rischio è che, nell’opinione diffusa di questo popolo della sinistra che cresce e torna ad esprimere, vincendo, soggettività e protagonismo, si consolidi un immaginario da cui la nostra identità e ciò che rappresentiamo siano espunti o comunque largamente minoritari. Questo avverrebbe se il nostro partito non riuscisse ad entrare in connessione reale con questo cambiamento, con le sue istanze e i suoi linguaggi.
Avverto tutta la nostra inadeguatezza, la pesantezza delle nostre liturgie, l’astrattezza dei nostri ragionamenti, la distanza tra il modello di partecipazione politica che noi proponiamo (un modello che spesso passivizza il corpo del partito, imbriglia la dialettica nella contrapposizione statica tra posizioni preconcette, e così facendo allontana le energie più pure, in primo luogo i giovani) e la pratica dei movimenti e dei comitati che hanno preso la parola in questi mesi.
Allora questa inadeguatezza, e l’impegno per rimuoverla, deve diventare il nostro assillo.
A questo fine vanno orientati la nostra linea politica e l’obiettivo della costruzione della sinistra d’alternativa. Guai a noi se l’obiettivo dell’unità della sinistra fosse sconnesso da questa urgenza di auto-riforma e di innovazione e si collocasse, al contrario, sul terreno politicista del rapporto tra le forze partitiche.
L’unità della sinistra deve diventare, al contrario, lo strumento con cui dare voce e allo stesso tempo continuità e stabilità al cambiamento che è in corso nel Paese.
In queste settimane sono in corso le iniziative del decennale del contro-vertice di Genova. Dieci anni fa il partito e i Giovani Comunisti impararono a confrontarsi su di un piano di parità con le altre forme della politica, con i molteplici soggetti che diedero vita al movimento altermondialista. Nel corso degli anni, anche per precise responsabilità di Rifondazione Comunista, abbiamo dilapidato quel patrimonio e quell’esperienza.
Tornare oggi a Genova può rappresentare l’occasione per riflettere sugli errori commessi (per evitare di ripeterli) e ragionare sull’urgenza dell’unità.
La proposta che avanziamo è scrivere – tutti insieme – un nuovo Patto di lavoro. Dieci anni fa il Patto di lavoro si trasformò nel Genoa Social Forum. Oggi la situazione è molto diversa, al punto che non possiamo predeterminare esiti e scenari, ma il senso di quell’operazione è di straordinaria attualità. Esiste una sinistra politica divisa, una sinistra sociale e sindacale altrettanto frastagliata (con al suo centro la Cgil, che andrebbe coinvolta con tutto il suo peso e la sua autorevolezza e non consegnata al moderatismo del Partito democratico), una rete altermondialista indebolita ma non rassegnata (e che da Genova può riprendere fiato). Esiste poi il mondo dei comitati referendari, che va connesso al più presto con le altre forze in campo. Infine, c’è una generazione di ragazze e ragazzi che, in tutte queste forme, ha ripreso la parola e che ogni giorno, in maniera diretta, moltiplica gli spazi di democrazia e di partecipazione.
La sfida è ricostruire un senso comune e uno spazio unitario della sinistra che, collettivamente, possa elaborare al più presto una proposta programmatica organica e coerente per uscire dalla crisi e costruire passo dopo passo una società più giusta, più libera e più democratica.
Come hanno dimostrato i referendum, lo spazio per entrare in sintonia con il sentimento maggioritario del nostro popolo c’è ed è grande. E muove proprio dalle proposte e dai contenuti sui quali, al contrario, il Partito democratico entra clamorosamente in contraddizione con se stesso (i casi del nucleare e della liberalizzazione dell’acqua pubblica sono soltanto i più recenti).
La sfida è costruire, a partire dal Patto di lavoro, una nuova alleanza tra le forze politiche e sociali dell’alternativa. Che raccolga il vento del cambiamento e lo trasformi in terra e concime per il nostro futuro.

sabato 25 giugno 2011

La rivoluzione in Europa: non pagare il debito!

Popoli d'Europa, ribellatevi!

di Giorgio Cremaschi, Liberazione del 22.6.2011

Perchè i lavoratori, i cittadini, il popolo greco dovrebbero impiccarsi alla corda degli strozzini di tutta Europa? Perchè la Grecia dovrebbe rinunciare a stato sociale, diritti, regole, sicurezza; vendere all'incanto i propri beni comuni, a partire proprio dall'acqua, per far quadrare i conti delle grandi banche europee e americane? Questa è la domanda di fondo che si pone oggi in quel paese e, a breve, in tutta Europa.
Si dice che i debiti devono essere sempre pagati, e così quello pubblico della Grecia. Tuttavia quando due anni e mezzo fa le principali banche occidentali rischiavano il fallimento, i governi stanziarono da 3.000 a 5.000 miliardi di euro, secondo le diverse stime, per salvare le banche private ed i loro profitti. Oggi si nega alla Grecia da un trentesimo a un cinquantesimo di quella cifra, se non vende tutto, comprese le sue belle isole come sostengono alcuni quotidiani economici tedeschi.
I banchieri e i grandi manager occidentali hanno visto, grazie al colossale intervento pubblico, aumentare del 36% in un anno i propri già lauti guadagni, mentre il reddito medio dei lavoratori greci è calato del 25%. Questa è la realtà su cui sproloquiano gli innamorati dell'Europa delle banche e del rigore. Quei falsi profeti che con l'euro sono riusciti nella magica operazione di svalutare tutte le retribuzioni dei lavoratori europei e di rivalutare tutti i profitti dei loro padroni.
Si, certo, nelle buone intenzioni l'euro doveva servire ad unificare l'Europa. Nella pratica concreta dei patti di stabilità, di Maastricht, delle politiche liberiste dei governi - di tutti i governi di destra e di sinistra - ha però in realtà distrutto l'unità sociale e persino quella democratica del Continente. Oggi i governi eletti dai cittadini non decidono nulla sull'economia. Sono i tiranni di Francoforte e di Bruxelles che decretano quello che si deve o non si deve fare. Questo è a tal punto vero che il Belgio sta sperimentando l'assenza di un governo democratico da quasi due anni. Ormai quel paese è direttamente amministrato dai commessi, dai funzionari, dai manager dei poteri europei.
Abbiamo già scritto che questa Europa fa schifo. Essa è in grado di fare la guerra in Libia, e su questo ha solo torto il Presidente della Repubblica a voler andare avanti, ma non di varare una politica sociale comune, nè per i migranti nè per i suoi più antichi cittadini. La più importante conquista civile e democratica dopo la sconfitta del fascismo, il patrimonio che l'Europa oggi potrebbe consegnare all'umanità - lo stato sociale, i diritti di cittadinanza, la partecipazione democratica - viene sacrificato sull'altare delle banche e della finanza.
Questa Europa va rovesciata. Non in nome delle piccole patrie razziste e xenofobe, delle ridicole padanie capaci solo di rivendicare targhette per i ministeri e spietatezza con i poveri, soprattutto se vengono da fuori. L'Italia ha cominciato a liberarsi di Berlusconi e di Bossi, ed è forse più avanti nel capire che non è il populismo razzista l'alternativa al potere liberista europeo, anzi, è semplicemente la faccia più sporca di quella stessa medaglia. L'Italia ha cominciato a liberarsi, ma questa liberazione sarà vera quando verrà rovesciato il potere degli usurai che in tutta Europa stanno imponendo il massacro sociale, con il ricatto del mercato selvaggio e della globalizzazione. Occorre una rivoluzione democratica e sociale dei popoli europei che rovesci l'Europa delle banche, della finanza, dei ricchi. Bisogna non pagare questo debito e far invece cadere, finalmente, i costi della crisi su chi l'ha provocata. Il piccolo popolo islandese ha già votato in un referendum il mandato ai propri governi di non pagare il debito per salvare la speculazione mondiale. Questo chiedono gli indignados spagnoli, così come i cittadini greci davanti al loro parlamento totalmente esautorato di ogni reale potere. Dalla Grecia, che ha inventato la parola democrazia, deve partire la riscossa democratica di tutti i popoli d'Europa.

martedì 14 giugno 2011

Il referendum dice: SECAM pubblica!


«Spira un nuovo nel paese: messaggio diretti sia al centrodestra che al centrosinistra».

Pubblichiamo la nota stampa diffusa dalla Federazione di Sondrio di Rifondazione Comunista. 

Il raggiungimento del quorum e il trionfale successo dei SI segnala due dati.

BOCCIATA LA MAGGIORANZA
Il primo: i cittadini hanno in massa bocciato 4 leggi approvate dalla ex maggioranza Berlusconi – Bossi, confermando dopo le amministrative che un nuovo vento spira nel paese, un vento che, seppur in modo non ancora decisivo, inizia a spirare anche nella nostra provincia.

BASTA PRIVATIZZAZIONI
Il secondo dato conseguente al primo, arriva dai milioni di Si ai quesiti sull’acqua ed è un messaggio diretto tanto al centrodestra che a quel centrosinistra che in questi anni hanno entrambi fatto a gara a privatizzare pezzi sempre più consistenti di Beni comuni: il messaggio dice basta con le privatizzazioni che gli italiani non si fidano di chi agisce secondo le logiche del profitto.
Gli elettori si sono espressi chiaramente e vanno ascoltati, sia nazionalmente che localmente.

SECAM
Rifondazione aveva chiesto che Secam non fosse privatizzata: oggi che il famigerato decreto Ronchi è stato abrogato sotto una valanga di milioni di SI sono i cittadini Valtellinesi e Valchiavennaschi a chiedere che Secam rimanga interamente pubblica!

Per Rifondazione Comunista Federazione di Sondrio
Massimo Libera

E' la nostra vittoria, di chi ha lottato dal primo giorno. Ora non fermiamoci.


E’ la nostra vittoria (di chi ha lottato dal primo giorno). Ora non fermiamoci.

Il quorum è raggiunto e abbondantemente superato. La maggioranza degli italiani è andata a votare ed ha votato compattamente quattro sì, per difendere l’acqua pubblica, per contrastare il nucleare e per ribadire che la giustizia è uguale per tutti, per noi comuni cittadini come per il nostro premier. È un risultato immenso, grande tanto quanto la generosità di tutti coloro i quali hanno dedicato anima e corpo ad un’idea che ai più, all’inizio, sembrava impossibile.
Oggi, invece, la maggioranza del popolo italiano ha scritto una pagina importante della nostra Storia democratica.
Non è sufficiente un voto per riscattare la vergogna di questi anni cupi di regime berlusconiano, anni di indifferenza, ipocrisia, egoismo, razzismo, volgarità. Ma certamente il risultato di oggi è un segnale incontrovertibile, che va compreso dentro la storia recente di questi mesi.
E allora lo sciopero generale, la resistenza operaia a Pomigliano e Mirafiori, le lotte degli studenti e dei lavoratori precari, il protagonismo del nuovo movimento delle donne acquisiscono, alla luce dell’oggi, un significato ancora più generale. E con queste lotte la straordinaria mobilitazione dei giovani nell’Europride di sabato (un grido di libertà e di amore, contro l’ignoranza e la frustrazione di una cultura bacchettona decadente) e così anche il voto di Milano, Napoli e di tante altre città italiane.
Il quorum raggiunto è il sigillo più bello a questo vento di cambiamento che soffia forte e sembra non volersi fermare più.
Ora bisogna puntare ancora più in alto: non bisogna mollare la presa e bisogna mantenere alto il livello di mobilitazione e di partecipazione, perché l’insegnamento di questi mesi è che la delega in bianco non serve più e al suo posto serve l’impegno diretto di ciascuno di noi.
Non dobbiamo mollare la presa e dobbiamo raggiungere rapidamente il prossimo obiettivo: costringere Berlusconi alla ritirata e ad andarsene. Il risultato del referendum lo ha già costretto a rinunciare pubblicamente al nucleare. Dobbiamo costringerlo – anche sulla spinta del referendum – a rinunciare al suo ruolo e al suo governo e fare in modo che il presidente della Repubblica sciolga le Camere e indica nel più breve tempo possibile nuove elezioni, perché l’unica possibilità credibile e democratica per il Paese è che si vada a votare, senza pasticci e governi di transizione.
Ma cacciare Berlusconi (e tornare al voto) non è sufficiente. Il referendum ci suggerisce anche un secondo obiettivo: dobbiamo capitalizzare l’eccezionalità del risultato, chiedendo coerenza anche a quelle forze che hanno sostenuto soltanto all’ultimo la campagna referendaria. Al Partito democratico, a Bersani, va detto chiaramente che sull’acqua non si può più scherzare e che la liberalizzazione (che il Pd difende, a livello nazionale come nei diversi Comuni e nelle diverse Province) equivale esattamente alla privatizzazione.
Non è più il tempo del “ma anche” e del cerchiobottismo.
È il tempo in cui il nostro popolo (eterogeneo ma unito, grande al punto da essere maggioritario) indica alla politica una via d’uscita dal pantano berlusconiano. Con una grande capacità di costruire consenso (il quorum è stato raggiunto perché non hanno votato soltanto i militanti o gli attivisti) e al contempo con grande chiarezza e radicalità nei contenuti.
Esattamente quello che la sinistra dovrebbe essere in grado di fare, rimanendo unita ma senza sacrificare la coerenza e l’asprezza delle proprie posizioni.
Tra pochi giorni (il 24 giugno) inizia a Genova il mese di iniziative dedicate al decennale del Social Forum 2001.
Il movimento dei movimenti è probabilmente il fratello maggiore di questa nuova assunzione di responsabilità collettiva, di questo straordinario vento di cambiamento.
Troviamoci tutti a Genova, fratelli maggiori e fratelli minori, e prendiamo per mano una politica che a sinistra è ancora ingessata, ingabbiata nei tatticismi, nei rancori e nelle invidie personali.
Riprendiamo in mano il nostro futuro, il destino della nostra generazione e il destino del nostro Paese. È il momento giusto per farlo.

lunedì 13 giugno 2011

VITTORIA!

Dall’esito del voto che si sta ormai delineando arrivano due messaggi forti e chiari. Il primo è che i cittadini bocciano in massa quattro norme di legge approvate dal governo Berlusconi. Una sonora bocciatura che, dopo quella delle recenti elezioni, dovrebbe indurre il premier a trarre le dovute conseguenze: tornare a casa e ridare la parola al popolo italiano. 

Il secondo messaggio, ancora più importante, arriva in particolare dai referendum sull’acqua ed è diretto agli schieramenti di centrosinistra e centrodestra, che i questi anni hanno entrambi fatto a gara per privatizzare, liberalizzare ed assecondare le pretese della grande imprenditoria confindustriale. Dopo oltre un ventennio di incontrastato “pensiero unico” liberista, il popolo italiano dice forte e chiaro che non si fida del mercato e dell’invadenza del privato, con le sue logiche del massimo profitto ad ogni costo. 

Le ragioni della grande impresa non sono le ragioni del Paese. I cittadini chiedono garanzie, giustizia sociale e diritti per tutti. Lo chiedono alla politica, al sistema pubblico; e chiedono a gran voce di poter contare, cambiare la politica, dire la propria, come in questo caso, ben oltre l’espressione del voto elettorale. 

sabato 11 giugno 2011

Intervista a Gianni Rinaldini: «Siamo alla fine del contratto nazionale e della democrazia»

di Fabio Sebastiani (Liberazione del 11/06/2011) 
«La Cgil non può votare quell'avviso comune» 
Stando a quanto scrivono i giornali siamo vicini a una nuova svolta nell'attacco al contratto nazionale. 
Siamo all'accelerazione. Le parti sindacali saranno convocate a metà della prossima settimana per definire, o con un accordo tra le parti o con un avviso comune, le questioni relative alla rappresentanza e all'erga omnes dei contratti e le relative forme di validazione. 
Vogliono implementare l'accordo separato del 2009 soprattutto per quel che riguarda le deroghe. Faccio presente che nell'accordo separato dei metalmeccanici le deroghe sono previste su tutte le materie. L'obiettivo è quello di arrivare alla possibilità di sostituire il contratto nazionale con i contratti aziendali. Che è in sostanza quello che chiede la Fiat, ma che in realtà è scritto nella relazione della Marcegaglia all'assemblea della Confindustria. Evidentemente, la Fiat ha chiesto tempi più rapidi, preoccupata da quello che può essere l'esito della denuncia presentata dalla Fiom. 

Addio al contratto nazionale, quindi, attraverso l'estensione del modello Fiat. 

Siamo di fronte a una operazione che chiude la partita sulla validazione degli accordi ricalcando il modello di relazioni sociali e sindacali degli Stati Uniti. Ovvero, non c'è più il contratto nazionale. L'azienda decide su cosa gli conviene fare e sulle forme di validazione. Una operazione non solo antidemocratica ma di salvaguardia delle burocrazie sindacali e padronali. E' ridicolo oggi pensare che, con tutto quello che sta succedendo non solo in Italia ma nel mondo, i lavoratori e le lavoratrici non abbiano il diritto di votare su quel che li riguarda. Alla faccia di quelli che parlano di innovazione e di cambiamento, secondo i quali a Cgil e la Fiom, sarebbero un elemento di conservazione. E' vero l'opposto, perché gli imprenditori hanno in mente solo i loro interessi. 
Credo che qualsiasi ipotesi che non preveda il riconoscimento del contratto nazionale, l'erga omnes e il voto dei lavoratori e delle lavoratrici è non solo inaccettabile ma rappresenta una aggressione alla democrazia nei luoghi di lavoro. 





Non mi sembra che il Comitato direttivo nazionale abbia dato un mandato a firmare un impianto del genere. 
La Cgil non ha alcun mandato per firmare un accordo del genere, perché abbiamo deciso altre cose, che prevedono la certificazione e/o referendaria del voto dei lavoratori. E la certificazione non può che essere il referendum. Di fronte al precipitare della situazione gli organismi direttivi dovranno essere inevitabilmente convocati. Del resto, credo che non sfugga a nessuno che questo governo sia stato sostenuto da Cisl e Uil. Un quadro nettamente diverso da quello del '94 quando l'opposizione sociale creò le premesse per la caduta dell'esecutivo. Siamo l'unico paese europeo dove non c'è stata nessuna iniziativa di opposizione. C'è una specificità in Italia che riguarda l'atteggiamento di Cisl e Uil. 

Quindi, firmando l'accordo il governo riprenderebbe fiato. 
Se è un accordo come quello che si preannuncia non c'è dubbio che il governo riprenderebbe fiato. Sarebbe paradossale che la Cgil arrivasse a condividere una ipotesi di quella natura dove c'è lo zampino della Fiat, e che prevede di far fuori la Cgil. Credo che la Cgil non la firmi. 

Nessuno ne parla, ma il congresso della Cgil si chiuse con un documento in cui si parlava di aumento del salario. 
Non si discute solo sulla Fiat ma si arriva al sistema complessivo che riguada tutti i lavoratori. Il quadro cambia completamente, e quindi anche la parte sul salario. 
La prima questione che avrà di fronte la Cgil è quali iniziative produrre. Anche perché si parla di mettere in campo una legge. Saremmo di fronte alla crisi dello spirito stesso della Costituzione. 

Se si andasse ad una nuova rottura sindacale il centrosinistra sarebbe in difficoltà... 
Anche a livello politico la questione della democrazia è un elemento di discrimine. Lo dico anche rispetto ai partiti. Primarie e non primarie eccetera, alla fine gli unici che non possono votare sono i lavoratori sul loro contratto. Vale più di cento documenti questo elemento nel rapporto con i lavoratori. E questo la dice lunga su quale modello si sta pensando rispetto al lavoro. Rimane un punto centrale, l'idea di uscire dalla crisi rilanciando lo stesso modello sociale che ha portato alla crisi, quello degli Usa, la demolizione dei diritti e delle tutele fino al superamento del contratto nazionale lungo un percorso dove la cosiddetta modernità vuole dire che la competitivtià di una azienda è rispetto ad un unico valore assoluto, il mercato.

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