martedì 24 agosto 2010

Onore a Rinaldi e Cenini






I patrioti partigiani Giuseppe Rinaldi (presidente provinciale dell'Associazione Nazionale Partigiani d'Italia) e Giuseppe Cenini (ex sindaco di Grosio) sono stati denunciati per aver pubblicamente scritto ciò che era semplicemente giusto: VERGOGNA!

Vergogna a chi ha usato la scusa del restauro per riportare alla luce una scritta del passato fascista, di cui si ha evidentemente paura.
Vergogna per chi avrebbe dovuto rimuovere quella scritta infame, simbolo della dittatura che ha mandato tanti valtellinesi e valchiavennaschi a morire lontani da casa e poi ha aperto le porte all'invasore nazista.
Vergogna a chi ha tentato maldestramente di ricoprire la scritta dei partigiani con una secchiata di vernice.

Non si può che concludere con ciò che afferma il Presidente Rinaldi:"Non vogliamo interferire con la magistratura, che deve fare il suo corso - spiega Rinaldi -. Per questo non commentiamo neanche la secchiata di vernice, con cui qualcuno ha voluto coprire la nostra scritta. Anche se certamente vuol dire che quella parola, “Vergogna”, ha colpito nel segno e che dava fastidio. Dal 2004 aspettavamo una risposta agli esposti che abbiamo presentato contro il restauro di quella scritta, che per noi è un falso storico - dice Rinaldi -. Siccome non è mai arrivata, abbiamo deciso di agire. Avevamo pensato a diverse ipotesi e una di queste era di aggiungere una scritta. Ci abbiamo riflettuto a lungo, perché volevamo che fosse una parola studiata, non improvvisata. E, alla fine, l'abbiamo trovata: “Vergogna”. Non ce n'è un'altra migliore per esprimere il concetto. E, infatti, ha avuto effetto..."

sabato 21 agosto 2010

La casta padana: le mani in pasta

Non solo Spagnolatti e Passamonti, non solo Eventi Valtellinesi. L'inchiesta sul sistema di potere della destra in bassa valle va avanti anche per quanto riguarda gli appalti di Bema, quelli che coinvolgono l'onorevole Crosio, della Lega Nord, ed il suo scontro politico/appaltistico con Passamonti e Forza Italia. Ovviamente la Lega difende la sua innocenza, ma il segretario del Carroccio Zini ci tiene a precisare che in ogni caso il suo partito non centra nulla. Ovviamente le responsabilità penali le dovrà stabilire il giudice, intanto quelle politiche le ha già stabilite la Lega Nord: Crosio s'è fatto beccare, quindi è meglio lasciarlo al suo destino.

PRIMA DE TUC: I NOS (AMISS)

Professionisti ingaggiati verbalmente. Appalti affidati con gare che sarebbero state decise a tavolino (a Bema e a Morbegno) e pilotate grazie all’inserimentodi uomini di fiducianei posti chiave e nei momenti cruciali.
Politici pronti a taglieggiare liberi professionisti (Passamonti che esige il 40% dall’ingegnere e amico Giovanni Orietti) e a chiedere i più disparati piaceri a titolari di imprese edili (Jonny Crosio che fa assumere all’imprenditore Trivella il figlio di una colf di un noto esponente leghista). E ancora funzionari pubblici scaltri e senza scrupoli, o burattini manovrabili da potenti mani in pasta nella politica e nei poteri forti.
Quello che la procura definisce il "sistema Passamonti", ha preso origine da uno scontro titanico tra esponenti dell’epoca del Carroccio e di Forza Italia. Uno scontro politico che lascia sgomenti perché mette a nudo un "modus operandi" che potremmo riassumere parafrasando un noto slogan: «Prima de tucc i noss (amiss)».
Un sistema, che per onestà non solo di cronaca, non può essere ricondotto esclusivamente all’ex presidente della Comunità montana di Morbegno (ex sindaco di Bema, ex coordinatore di Forza Italia, ex uomo Aler). Se è vero che "il Passa" ha giocato il ruolo di dominus, è altrettanto vero che non ha fatto tutto da solo e questa vicenda giudiziaria il cui fascicolo (intestato "Crosio più altri") parte dal maxi intervento gestito dal piccolo Comune di Bema e travolge politici, funzionari, imprenditori e liberi professionisti da Bema a Morbegno, passando per Cercino. In tutto 40 indagati e tre appalti sotto la lente di ingrandimento: quello della strada di Bema, quello della hall del Polo fieristico da due milioni di euro (entrambi con fondi pubblici) e quello (privato) per la realizzazione del capannone di Cercino.

Strada di Bema

In principio, dunque, fu Bema, con la strada finanziata dalla Legge Valtellina (da 5.546.183,46 di euro) la cui realizzazione fu affidata dalla giunta regionale per il lotto A al comune di Bema e per il lotto B alla Provincia. Di quella gara d’appalto su queste colonne ci siamo occupati a più riprese (dieci indagati a vario titolo per corruzione e turbativa d’asta): Passamonti che parteggiava per la cordata Grolli-Quadrio, l’allora assessore provinciale alla viabilità Jonny Crosio (oggi deputato della Lega nord) vicino all’Accisa-Valena-Rebai in cui figurava l’amico Mauro Ferrario (ex segretario del Carroccio). Tra le due cordate, la Tmg Scavi di Guglielmo Trivella che si sarebbe "lavorato" sia l’ingegner Succetti che il segretario comunale Franco Gusmeroli (poi finito in carcere per la vicenda di Cercino).

L’incarico
-
Ciò che ancora non era dato sapere è che anche l’affidamento della progettazione fu dato... in via informale. Una conferma arriva da Sergio Orietti, l’ingegnere fratello di quel Giovanni che con le sue dichiarazioni ha inguaiato
e non poco il Passamonti. «Sono stato nominato progettista per la strada di Bema (lotto A e B) dallo stesso comune
(...) La nomina l’ho ricevuta "informalmente" dall’amministrazione provinciale di Sondrio e dal Comune di Bema, nomina avvenuta successivamente e ad integrazione degli incarichi già conferiti dal Comune a miofratello Giovanni... Era l’ottobre del 2005, erano presenti Silvano Passamonti, Jonny Crosio e l’attuale sindaco di Bema Giacomo Lanza e ci trovavamo presso il comune di Bema».
Per legge - trattandosi di un progetto con parcella superiore ai 200mila euro, e trattandosi di un lavoro che non rientrava tra quelli affidati in regime di emergenza post calamità – l’affidamento avrebbe dovuto seguire un iter ben diverso.

Il progetto

All’affidamento informale seguì, il 26 novembre del 2005, una delibera di giunta in favore dell’ingegnere Giovanni Orietti. Delibera che fu poi "volturata" - altro fatto strano - il 4 febbraio 2006 in favore dell’associazione temporanea di liberi professionisti costituita dall’Alfa Centauri Engineering srl, da Sergio Orietti, il geologo Claudio De Poli e il geometra Dario Stazzonelli. Aperta parentesi: l’associazione temporanea di professionisti si modificherà nel tempo (uscirà Sergio Orietti e lo Stazzonelli, entreranno Domenico e Giorgio Ambrosini) e alla fine il progetto esecutivo dei lavori sarà firmato da professionisti diversi da quelli che l’hanno redatto «con il rischio - scrivono i consulenti Bracchi e Guerriero, incaricati dalla Procura di analizzare l’appalto - di non poter attribuire la titolarità del progetto e delle corrispondenti responsabilità, anche in ordine patrimoniale e contabile». Chiusa parentesi

Ufficio «Rup»

Grida vendetta il fatto che nell’ufficio del Rup (responsabile unico del procedimento) fu nominato quell’Elio Mostacchi che non solo per gli inquirenti non aveva il benché minimo titolo per svolgere quell’incarico, ma era pure incompatibile perché proprietario del 95% delle quote dell’Alfa Centauri Engineering srl, vale a dire la società che
avrebbe dovuto realizzare il progetto. In una parola gli fu dato un incarico da 20mila euro per fare il controllore di se stesso.

La Lega e Forza Italia -

A Bema lo scontro fu anche politico, dicevamo. Passamonti non vuole che vincano l’appalto i leghisti. Crosio - per la procura - "sponsorizza" l’amico Ferrario e quando Bema mostra difficoltà nel far decollare il primo lotto della strada l’assessore provinciale lancia a Passamonti un messaggio politico forte, della serie «tu non sai fare il primo lotto - scrive il Gip nell’ordinanza - io invece (come Provincia) sono già pronto con il secondo, basta che tu dia l’input. Attento:se fallirai sul primo, se non darai l’input al secondo, risponderai per il tutto».
Ovvero, come dice Passamonti, Crosio minaccia un nuovo possibile attacco politico. «È uno scontro di interessi - conclude il Gip - ed è uno scontro di lotta politica, come riscontrabile dalle dichiarazioni di Passamonti che dice "la Lega voleva farmi fuori..." e i due (Passamonti e Crosio) trattano l’affare da padroni, la loro è una conduzione familistico-amicale, paternalistica ma autoritaria, comunque personalistica della cosa pubblica, svincolata dalla correttezza, dal formalismo, dalla severità e imparzialità che dovrebbe informare l’attività amministrativa, soprattutto laddove impegna rilevanti risorse economiche provenienti dalla contribuzione collettiva». Un sistema. Appunto. Messo a punto da pochi, condiviso da molti.

(La Provincia di Sondrio – 19 Agosto 2010)

Da Bema a Morbegno. Dalla realizzazione della strada che ancora oggi è sulla carta (scusate, ma a questo punto perché non prendere qui cinque milioni di euro della Legge Valtellina e dirottarli sulla statale 38?) alla ricostruzione della hall del Polo fieristico (un lavoro da 2,4 milioni di euro), il cui tetto crollò sotto il peso della neve dopo un'abbondante nevicata il 26 gennaio del 2006.

Due appalti pubblici, due inchieste.

Seconda puntata - dunque, oggi - di quel viaggio che stiamo compiendo dentro le due ordinanze emesse dal Gip Pietro della Pona nell'ambito della maxi indagine «Crosio più altri» che si divide in più tronconi: Bema - appunto -, le cui indagini si sono concluse con 10 indagati (le principali ipotesi di reato sono corruzione e turbativa d'asta); e Morbegno, le cui indagini da parte della Guardia di Finanza sono ancora in corso.

I soliti noti -

Gli "interpreti" sono diversi, molti di loro però li abbiamo già incrociati sull'inchiesta su Bema: amministratori dell'epoca, dipendenti pubblici, impresari edili, liberi professionisti che gravitavano nell'orbita di Forza Italia o in quella di Passamonti.
Ecco i principali nomi: Luca Spagnolatti - che non ha bisogno di presentazioni -, l'architetto Giuseppe Succetti, capo dell'ufficio tecnico della comunità montana di Morbegno (indagato anche per Bema) incaricato da Salvatore Marra (arrestato per Morbegno) di fare da segretario nella procedura di gara, l'azzurro Flavio Valesini, vice presidente assessore in Cm a Sondrio (quando lo era anche Luca Spagnolatti) chiamato a far parte della commissione di gara per l'appalto; e naturalmente il vertice dell'allora ente montano. Poi ci sono altri nomi che confermano ulteriormente l'area politica in cui la vicenda è inquadrata: Giovanni Orietti, l'ingegnere-amico di Passamonti che oggi è tra i suoi principali accusatori (afferma di essere stato costretto a riconoscere il 40% delle sue parcelle a Passamonti) che fu nominato collaudatore del Polo ed Elio Della Patrona, nella veste di direttore dei lavori, ex coordinatore sondriese di Fi (e consigliere comunale) con cui Passamonti forse aveva pure un debito, visto che Orietti afferma di avergli soffiato un incarico professionale a Sondalo grazie all'intervento del bemino.

Gli indagati

Ed ecco gli indagati per turbativa d'asta (reato commesso tra il 29 dicembre del 2006 e il 22 febbraio del 2007): Silvano Passamonti, Luca Spagnolatti (in veste di manager di Eventi Valtellinesi, a cui non mai stato contestato nulla fino ad ora per quest'ipotesi di reato), Giacomino Rebuzzi (fu vice presidente di Cm e sostituì Passamonti durante i mesi della sua sospensione decretata dal Tribunale per l'indagine su Bema), Valter Sterlocchi, Marcello De Pianto, Donato Spini, Gianni Bertolini. Non risultano indagate le imprese che parteciparono all'appalto e cioè: la Zecca-Quadrio, che si aggiudicò i lavori anche per Bema (e anche in quel caso non fu mai raggiunta da avviso di garanzia) e la Sandrini Fumagalli che - secondo l'accusa fu penalizzata dall'andamento della gara d'appalto.

Accusa e difesa

La tesi sostenuta dal Pm Stefano Latorre e dal procuratore capo Fabio Napoleone è nota: la Cm diede un incarico ad Eventi Valtellinesi («assolutamente priva di mezzi tecnici e personale adeguato allo scopo») per gestire quell'appalto da quasi due milioni di euro solo per poter bypassare le procedure standard degli appalti e così Passamonti e Spagnolatti (nominato responsabile unico del procedimento senza averne i titoli e dietro lauto compenso) hanno potuto pilotare la gara d'appalto.
La difesa sostiene invece che l'affidamento della giunta ad Eventi non solo era suffragato da parere legale (si pronunciò un docente di diritto amministrativo), ma era motivato dal carattere d'urgenza: in ballo c'era la fiera del Bitto nell'anno del Centenario e si trattava di ricostruire al più presto la hall del Polo (ma la procura insiste: il tetto è crollato nel gennaio del 2006, la fiera era in programma nell'ottobre del 2007).

L'appalto

«Passamonti e Spagnolatti - recita l'ordinanza del Gip che riportiamo testualmente - fecero pressione sulla commissione di gara affinché essa pur avendo rilevato l'esistenza di un vizio grave e non sanabile nelle due offerte pervenute (per l'assenza in entrambe le offerte di un progetto esecutivo) non annullasse la gara e approvasse egualmente la graduatoria. I due consentirono poi solo ad un rappresentante della cordata Zecca-Quadrio di fornire ulteriori chiarimenti dinnanzi alla commissione sul proprio progetto e per questo motivo tale impresa otteneva alla fine due punti in più (per il merito tecnico del progetto) rispetto alla concorrente Sandrini-Fumagalli. Spagnolatti infine, ometteva di informare la commissione che la Zecca-Quadrio aveva presentato un ulteriore aumento della offerta pari a 115.408,32 euro (aumento che se conosciuto dalla commissione avrebbe comportato la vittoria dell'impresa concorrente Sandrini-Fumagalli) ed inoltre sempre Spagnolatti inserì indebitamente come allegato "A" al verbale di gara tale ulteriore offerta al fine di far credere falsamente che la commissione ne avesse avuto contezza e ciò al solo fine di favorire indebitamente la Zecca-Quadrio nell'aggiudicazione della gara».
Ci sarebbero da scrivere pagine e pagine se si volesse entrare nel dettaglio e riferire delle accurate indagini svolte dalla Gdf e nella consulenza tecnica che ne è scaturita (Bracchi-Cassarino): il rischio è quello di perdere di vista il quadro generale.

Il giallo della delibera

L'affidamento della gestione dell'appalto a Eventi avvenne con la delibera di Cm numero 427 del 29 dicembre del 2006. Era quello l'ultimo giorno di lavori del consiglio direttivo. Nella pagina del registro di protocollo sono presenti tre spazi in bianco di registrazione e quindi - è la conclusione a cui è arrivato il Pm - quella delibera potrebbe essere stata aggiunta in un'epoca successiva alla data attribuita. Ma c'è di più. Ed è "gola profonda", l'assessore che con le sue dichiarazioni ha contribuito a rafforzare la tesi dell'accusa. Oggi sappiamo chi è: Valter Sterlocchi che - sentito dal Pm - ha prodotto documentazione ritenuta interessante che dimostrerebbe come questo ed altri argomenti non furono discussi durante la riunione di giunta in cui - tra l'altro - non figuravano neppure iscritti all'ordine del giorno e non potevano certo essere fatti rientrare - visto il considerevole impegno finanziario - nelle "varie ed eventuali" che solitamente si prevedono in ogni seduta.
Cosa vuole dire questo? Che la giunta della Cm di Morbegno discusse argomenti che non erano esattamente quelli poi pubblicati all'albo. «La difesa - afferma l'avvocato di Passamonti, Giammarco Brenelli - ha già rilevato che la delibera del 29 dicembre altro non è che la formalizzazione di tre delibere precedenti esplicitamente richiamate nel testo con tanto di numeri e date. Del resto tutti quanti i presenti e gli assenti hanno affermato al Pm che conoscevano perfettamente la sostanza della medesima tanto che alcuni di essi hanno pure proposto raccomandazioni - mi riferisco è a Stefano Boiani, il collaboratore all'epoca di Sterlocchi -. Inutile cercare farfalle sotto l'arco di Tito. Non c'è falso dove non c'è dolo».
Se però quella delibera non è mai stata votata, non c'è nulla da fare: è falsa. E si tratta di un nuovo reato che non mancherà di essere contestato
La Provincia di Sondrio 20 Agosto 2010

Antonia Marsetti

a.marsetti@laprovincia.it

martedì 17 agosto 2010

Cossiga è morto.

Non ci mancherà.
Non ci mancheranno i silenzi sulle stragi e i complotti.
Non ci mancheranno le parole sulle stragi e i complotti, pronunciate per depistare.
Non ci mancheranno i carriarmati per le strade.
Non ci mancheranno i giochi di potere.
Non ci mancheranno gli incitamenti a massacrare gli studenti.

Ci mancherà, purtroppo, la verità.

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Il Giovanni Battista del berlusconismo

di Angelo d’Orsi

Da tempo capita di sentir sospirare: «Ah, i bei tempi della Dc! Come li rimpiangiamo, quei democristiani di una volta…». Certo, al cospetto con i rozzi e beceri signor Nessuno, portati alla ribalta da Umberto Bossi – a cominciare da lui stesso, et familia -, davanti al pullulare di young men & pretty girls divenuti, da pubblicitari e fotomodelle, classe dirigente del “Popolo delle Libertà”, immersi nella sozzura di un ceto politico “post-ideologico”, intriso di amoralismo, opportunismo, e, sovente connesso o addirittura integrato in organizzazioni criminali… Ebbene, certo, possiamo guardare con attenzione alla classe politica democristiana dei decenni passati, ma senza alcuna tentazione apologetica. Prendiamo il caso di Francesco Cossiga, alter ego, in certo senso, di Giulio Andreotti: non a caso i due furono sempre acerrimi avversari, per non dire nemici. La Dc, si sa, più che un partito era una rissosa confederazione di partiti, spesso collocati politicamente su posizioni avverse, e se di Andreotti sappiamo che è uomo di cultura, spiritoso e politicamente sagace - per quanto di meglio e insieme quanto di peggio ha rappresentato il partito cattolico -, di Cossiga non si può dire altrettanto, nemmeno volendo rispettare il precetto Parce sepulto. E, in definitiva, non si può dire molto, perché gran parte della sua carriera politica si svolge all’insegna degli arcana imperii. Chissà quando giungerà il momento di sciogliere qualche nodo, di aprire qualche cassetto, di spalancare finestre e rovesciare suppellettili; chissà quando un ricercatore riuscirà a mettere le mani sugli armadi della vergogna che questo politico di lungo corso e di modesta levatura ha custodito, direttamente o indirettamente.
Se dovessi trovare un’etichetta per lui, che pure ne ha ricevute numerose, direi che è stato il Giovanni Battista del Berlusconismo, così come Craxi ne è stato il padre; Berlusconi è stato l’attore del dramma, che, come stiamo vedendo in questi ultimi giorni di Pompei, sta diventando insieme tragedia e farsa.
Attraversando, in una carriera tutta all’insegna della precocità, larga parte della storia repubblicana, il sardo di stretta osservanza Cossiga ha ricoperto tutte le cariche possibili, in una irresistibile ascesa dei gradini del potere, da segretario provinciale della Dc a Sassari a notabile del partito, da ministro dell’Interno a primo ministro, da presidente del Senato a capo dello Stato.
Che sia arrivato là dove invano un uomo assai più abile e intelligente come Andreotti non sia giunto, è un mistero, che si può sciogliere solo, probabilmente, guardando a fondo entro il groviglio della Democrazia cristiana, e, chissà, con l’ausilio di documenti per ora inaccessibili. Ad esempio, che Cossiga fosse “amico” di Israele, è noto; come lo è la collocazione più filoaraba di Andreotti, solo per fermarsi su uno dei tanti punti di dissenso politico fra i due. I quali, peraltro, sono stati in grado di cambiare linea a seconda delle circostanze, ma, nel caso di Cossiga, anche a seconda degli sbalzi umorali di una persona che non so se si possa definire mentalmente disturbata, ma certo diciamo quanto meno non in grado di controllare i propri flussi di coscienza.
Famoso per le sue trovate bislacche, per i regali provocatori – il bambino di zucchero donato a D’Alema, alludendo alla diceria riportata in auge da Berlusconi dei comunisti divoratori d’infanti… – , per le battute di spirito (assai grevi), Cossiga ha interpretato il ruolo insieme di guastatore e di giullare, diventando, forse non del tutto consapevolmente, il pontiere tra un’Italia che ancora stava entro il perimetro delle “regole del gioco”, e un’altra Italia, che, ahinoi, non è quella dei resistenti, del sogno maturato nel biennio 1943-45, quando il “vento del Nord” significava non già la sciocchezza pericolosa della secessione “padana”, bensì l’ansia di liberare tutta l’Italia da rapporti sociali ingiusti, come i partigiani avevano liberato il Nord dalle armate tedesche e dai loro complici italiani.
L’altra Italia che si affacciò tra la fine degli anni Ottanta e il principio dei Novanta del secolo scorso, era l’Italia degli egoismi e dei particolarismi, non più tenuti a bada dal potere centrale; l’Italia dei padroncini e degli evasori fiscali; l’Italia della corruzione divenuta pratica non solo usuale, ma essenziale dello stesso funzionamento tanto dell’economia, quanto della pubblica amministrazione. L’Italia del rifiuto delle norme, dell’idiosincrasia per le regole, e addirittura del disprezzo verso la legge e coloro che, bizzarramente, la rispettano.
Il primo a mostrarsi, platealmente idiosincratico alle une e alle altre, il primo a ridurre drasticamente la considerazione pubblica della legge, a preparare il terreno per la creazione di un senso comune ostile o quanto meno diffidente verso la legalità, e via via tendenzialmente estraneo alla stessa democrazia liberale, fu Francesco Cossiga. Le sue bordate contro il Parlamento, i suoi scriteriati attacchi a certi magistrati o anche a certi dirigenti delle forze dell’ordine, le sue trovate extraistituzionali, i suoi legami oscuri con segmenti di apparati di polizia, e di servizi di sicurezza (che egli “riordinò” ponendoli alle proprie dirette dipendenze), il suo coinvolgimento diretto in vicende oscure e inquietanti fecero di lui un crocevia di poteri paralleli, invisibili, assolutamente extraistituzionali. E per uno che esercitava ruoli istituzionali ciò è paradossale. Il suo esibizionismo morboso lo indusse sovente a fare “rivelazioni”, su cui naturalmente occorre la prova documentaria, trattandosi talora di esercizi di sospetta mitomania; ma tra il dire e il non dire, qualcosa – e più di qualcosa – di vero nelle esternazioni cossighiane c’era.
A cominciare dalla vicenda della Gladio, organizzazione militare segreta anticomunista, legata alla Dc e a Washington, di cui Cossiga fu, sembrerebbe, a capo. E come dimenticare l’assassinio di Giorgiana Masi, quando Cossiga era ministro dell’Interno, e si guadagnò così la doppia SS e la K iniziale? O l’aereo abbattuto nei cieli di Ustica…, e, infine, il caso Moro. In quella circostanza, dopo l’assassinio dello statista – con cui certo Cossiga non era in buoni rapporti, come gran parte del gruppo dirigente democristiano – egli si dimise, e quel gesto gli attirò grandi simpatie, anche a sinistra, dove peraltro vantava – nella concezione del familismo amorale che inquina la vita pubblica nazionale – una utile parentela con la famiglia Berlinguer.
Furono tali aperture di credito che favorirono – in un clima emergenziale, in seguito all’assassinio del generale Dalla Chiesa - l’elezione plebiscitaria al Quirinale di colui che fu il più giovane capo dello Stato nella storia italiana. E Cossiga, sullo scranno più alto della vita pubblica nazionale, dopo un primo periodo in sordina, sfruttando le potenzialità che la Costituzione concede al presidente, divenne protagonista sia pure in chiave talora parodistica, di un bonapartismo rumoroso. Le sue caratteristiche, tra folclore e oscillazioni ideologiche, indussero a sottovalutarne la pericolosità.
Cossiga, uomo d’apparato di polizia, non fu, in sostanza, un uomo d’ordine, ma un elemento di disordine, favorendo lo sgretolamento istituzionale. E fu grave colpa, alla caduta del Governo Prodi, che una parte della sinistra italiana si sia ridotta a un accordo con siffatto personaggio per realizzare ministeri di piccolo cabotaggio, in inedite alleanze che mostravano uno dei guasti in atto della vita politica successiva alla “discesa in campo” del Cavaliere. Tant’è che lo stesso Cossiga, dopo essere stato pedina dei Governi D’Alema contribuì poi ad affondarli. D’altronde il pendolo politico dell’ormai ex presidente continuava ad oscillare pericolosamente, tra Berlusconi e i suoi avversari. Anche in siffatti comportamenti, la fisionomia del personale politico da lui impersonata fu tanto di basso profilo etico e intellettuale, quanto di forte rumorosità pubblica, e la linea di continuità tra Cossiga e Berlusconi è tutta da esaminare: di sicuro si presta a interessanti collegamenti e raffronti, finora poco studiati.
Chi gli tenne testa mirabilmente fu un altro democristiano (ad avvalorare la pluralità di voci del tutto fra loro discordi nella Dc), Oscar Luigi Scalfaro, che, per nostra fortuna, divenne presidente della Repubblica, tenendo a bada, come un leone, Berlusconi, Bossi e tanti altri. Ma Cossiga non si diede per vinto, e anche dopo la sceneggiata – pur essa misteriosa delle dimissioni da presidente, due mesi prima della scadenza naturale – non volle tacere, mettendo sovente i piedi nel piatto della politica nazionale, contraddittoriamente, e sempre con un certo clamore, ma invece di ricevere le meritate stroncature, o le doverose denunce (si pensi alle dichiarazioni rilasciate in merito al movimento nell’Università, in cui invitava la polizia a usare infiltrati e provocatori per poi poter dare una lezione “esemplare” ai giovani, magari lasciandone qualcuno sul campo, stecchito), ricevette al massimo qualche rabbuffo, qualche alzata di spalle, qualche motto spiritoso: come si fa col vecchio nonno arteriosclerotico, ma in fondo innocuo.
Invece Cossiga era da prendere sul serio, molto, molto tempo prima. E non lo si fece. Ora che è scomparso, tracciare un bilancio della sua biografia politica, ci impone di riflettere sulla vicenda italiana, dagli anni della fine della contestazione e dell’emergere del terrorismo, agli anni della restaurazione craxiana, dalle illusioni della “rivoluzione” di Mani Pulite, fino alle controrivoluzioni berlusconiane.
Certo, se oggi un presidente del Consiglio si permette, nella sostanziale indifferenza di un’opinione pubblica anestetizzata, di insultare magistrati e giornalisti a lui non graditi, politici non sul suo libro paga, e di decretare quotidianamente che c’è troppa libertà, e che la legge è un intralcio “all’azione di governo”, vale la pena di chiedersi se all’origine di questa politica devastante delle istituzioni e della stessa non vi sia pure, almeno un po’, il lascito di Francesco Cossiga.

La casta padana: in poltrona

La Provincia di Sondrio naviga nell'oro.
Certo non riusciamo a mettere in piedi i soldi per la nuova statale 38, tanto che dobbiamo andare a togliere i soldi al BIM per farla (il federalismo all'incontrario colpisce ancora: i comuni usano i loro soldi per fare quello che dovrebbe fare lo stato).
Ma evidentemente siamo noi che abbiamo le percezioni sbagliate, perchè la Provincia deve essere piena di soldi, altrimenti non si spiegherebbe come mai il presidente Provera abbia deciso di istituire un nuovo assessorato. Il fortunato nuovo detentore di poltrona è il leghista Filippo Compagnoni e le sue deleghe sono Identità e Tradizioni Locali, Attuazione dei Programmi Comunitari e Iniziative con i Territori Confinanti.
Cosa significhi non è ancora dato sapere, quello che è certo è che ci sarà un assessorato in più, con relativi stipendi e spese. Non male per chi ha passato anni a urlare contro gli sprechi di Roma. La Lega Nord ed il suo sistema di potere nelle amministrazioni stanno costruendo una vera e propria casta padana. La differenza con la casta romana è nulla: i soldi fatti sprecare ai cittadini sono esattamente gli stessi.

Il benservito dei padroni a Berlusconi


Perché mai i padroni italiani, nonostante il fatto che il programma del governo sia identico al programma di Confindustria, stanno dando il benservito a Berlusconi? Per un sussulto costituzionale, per amore della legalità, per difendere il buon nome d’Italia nel mondo, per indignazione morale? Niente di tutto questo. Per comprendere il motivo di questo preavviso di licenziamento (l’unico contro il quale non ci sogneremmo di protestare) bisogna comprendere il paradosso che rende continuamente instabile la scena politica italiana, ossia il fatto che il gruppo economicamente dominante (il “grande capitalismo” privato bancario ed industriale, ingrassatosi con l’acquisto a basso costo delle imprese e delle banche pubbliche) non riesce ad essere dominante anche politicamente o, meglio, non riesce a dar vita ad un partito e ad un governo che rappresentino direttamente i suoi interessi.

Questa incapacità, resa evidente dalla difficoltà di creare il “grande centro” dal quale condizionare tutti i possibili schieramenti, deriva dal fatto che il gruppo dominante è incapace di far progredire il Paese (ne fa fede la contemporanea diminuzione del tasso di crescita del Pil e della quota del reddito da lavoro sul Pil stesso) e quindi di assicurarsi il necessario consenso sociale. Cosicché è obbligato ad usare come classi di sostegno proprio quelle stesse classi che patiscono (pur se assai diversamente) del suo dominio, ossia il lavoro ed il “piccolo capitalismo”, appoggiando e tentando di influenzare ora il centro sinistra ora, e con più convinzione, il centro destra. E’ obbligato a governare attraverso governi che, pur assai benevoli, sono sostenuti da interessi divergenti dai suoi.

Berlusconi, quindi, non è mai stato il rappresentante organico e diretto di tutto il capitalismo italiano. Estraneo al salotto buono, pieno di soldi d’incerta origine, più propenso alla finanza allegra che ai tagli di bilancio, troppo ossessionato dai suoi guai giudiziari, il nostro non ha mai avuto con Confindustria un rapporto lineare: ha tentato, su incarico di Giovanni Agnelli, di tagliare le pensioni, ma si è bruciato le mani; con D’Amato ha mirato allo Statuto dei lavoratori, ma gli è andata buca, ha allora iniziato a farsi i fatti suoi, anche perché Confindustria era ormai nelle mani del centrista Montezemolo.

Ma negli ultimi tempi le cose sono cambiate: complice la crisi e l’impossibilità di sperperare troppo denaro pubblico a vantaggio delle sue clientele, per trovare un solido paravento contro “le procure”, il Cavaliere ha dovuto saldamente allearsi con una Confindustria che, nel frattempo, si è data un programma apertamente antisindacale. Ecco dunque il governo Berlusconi–Tremonti-Marcegaglia. Ciononostante, arriva il benservito. Perché?

Perché nel frattempo Sergio Marchionne ha ricordato a tutti, ed anche a Confindustria, quanto dura sia la crisi e quanto nette ed impopolari siano le scelte da compiere se la si vuole affrontare dal punto di vista dei padroni. Queste scelte non possono essere gestite da un governo debole, e Berlusconi, nonostante tutto, è reso debole dalla necessità di sfuggire alle manette e dai continui, devastanti conflitti istituzionali che è disposto a creare a tale scopo. Per questo Fini si smarca, per questo Montezemolo avanza, per questo Draghi attacca e tutti invitano il nostro a restare a cuocersi nel suo brodo mentre gli altri preparano un’alternativa: il vero grande centro che finalmente possa dedicarsi indisturbato ai rapporti di classe, incassando politicamente, con una nuova alleanza, il plauso già sollecitamente tributato da buona parte del Pd alla linea Marchionne.

Se oggi i padroni sfiduciano Berlusconi non è per improvvisa convergenza coi temi dell’opposizione: è per la necessità di assicurare la stabilità (sempre invocata da Confindustria, dalla Banca d’Italia e dalla stessa Chiesa) e proseguire con maggior comodo nell’attacco ai lavoratori.
Questo è lo stato dell’arte. E di questo si deve tenere attentamente conto ogni volta che si propongono le diverse ipotesi della pur inevitabile politica unitaria. Anche perché, se tutti siamo d’accordo sul fatto che la sconfitta di Berlusconi è preliminare ad ogni altro avanzamento, questa sconfitta rischia di essere impossibile (e Berlusconi rischia di governare di nuovo, ma col solo consenso del suo “popolo” e quindi in maniera ancor più disastrosa) se il fronte che gli si oppone si identifica completamente nelle posizioni di Marcegaglia e Draghi. Per battere Berlusconi bisogna spostare di nuovo a sinistra quei voti popolari fluttuanti (del Nord ovest e del Sud) che nel 2006 diedero la vittoria a Prodi e nel 2008 la negarono a Veltroni: disoccupati, precari, giovani che hanno bisogno immediatamente, e fatte salve più articolate proposte per affrontare la crisi, di forti sostegni al reddito che possono essere garantiti solo da una proporzionale sottrazione di risorse a coloro che sulla crisi comunque lucrano. Se non affronta in qualche modo questo problema, ogni pur ampia coalizione rischia una sconfitta che oggi avrebbe conseguenze gravissime.

Tutti questi nodi sono sottovalutati, a mio parere, nel pur argomentato articolo che Piero Di Siena ha recentemente scritto per Liberazione. Di Siena ci invita a rinverdire lo spirito della svolta di Salerno, quella con la quale Togliatti propose, nel 1944, una politica unitaria per completare la sconfitta del fascismo e per costruire in Italia una democrazia progressiva. Si trattò allora, indubbiamente, di un colpo d’ala. Ma oggi sarebbe un colpo a vuoto: oggi non siamo di fronte, come allora, ad una borghesia sconfitta, incerta sul da farsi, incapace di capire su chi puntare; né siamo di fronte a partiti di nuova formazione, ancora privi di rapporti organici e coerenti col mondo industriale e finanziario. Oggi è proprio la borghesia a dettare contenuti e tempi di un cambio di regime, mentre costruisce il proprio partito di riferimento. Se è alla lucidità storica e politica di Togliatti che vogliamo guardare, guardiamo allora al Togliatti delle Lezioni sul fascismo, quello che, analizzando realisticamente le forze in campo, sapeva individuare, dietro l’ascesa del “regime reazionario di massa”, l’“elemento organizzatore” fornito dalla grande borghesia italiana: lo stesso elemento che oggi propone, ma nello stesso tempo rende difficile, l’auspicabile ma non sicuro disarcionamento del Cavaliere. Per battere il fascismo allora, come oggi per difendere la Costituzione, sarebbe stata necessaria una tattica duttile, basata però su una precisa comprensione dei rapporti di classe: cosa che mancò negli anni ’20 e sembra ancora mancare, quasi cent’anni dopo.
Mimmo Porcaro - Liberazione.it

lunedì 2 agosto 2010

MAILBOMBING contro la privatizzazione dell'acqua in Lombardia

Salve,
sulla stampa è stata anticipata la notizia che il 5 agosto (approfittando della "distrazione" delle vacanze...) la Giunta Regionale della Lombardia approverà un Progetto di Legge sulla gestione dell'acqua, in applicazione del Decreto Ronchi, lo stesso di cui si chiede l'abrogazione attraverso il Referendum nazionale che ha raccolto 1 milione e 400 mila firme in Italia, di cui ben 237 mila in Lombardia.
Pertanto anche il Progetto di Legge della Giunta Regionale porterà a consegnare ai privati la gestione dell'acqua.
Vi invitiamo quindi a mandare (da oggi al 5 agosto) un'email agli Assessori Regionali per dire NO alla privatizzazione dell'acqua in Lombardia.
In fondo vi riportiamo gli indirizzi e il testo dell'appello (se volete modificate l'oggetto, per evitare che cancellino l'email come spam).
Fate sentire la vostra voce.
Saluti fraterni,
Roberto Fumagalli

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INDIRIZZI:

roberto_formigoni@regione.lombardia.it, marcello_raimondi@regione.lombardia.it, andrea_gibelli@regione.lombardia.it, giulio_decapitani@regione.lombardia.it, romano_colozzi@regione.lombardia.it, domenico_zambetti@regione.lombardia.it, stefano_maullu@regione.lombardia.it, massimo_buscemi@regione.lombardia.it, Giulio_Boscagli@regione.lombardia.it, raffaele_cattaneo@regione.lombardia.it, gianni_rossoni@regione.lombardia.it, romano_la_russa@regione.lombardia.it, Luciano_Bresciani@regione.lombardia.it, carlo_maccari@regione.Lombardia.it, Alessandro_Colucci@Regione.Lombardia.it, monica_rizzi@regione.lombardia.it, daniele_belotti@regione.lombardia.it

p.c. roberto@circoloambiente.org


OGGETTO: NO alla privatizzazione dell'acqua in Lombardia.

TESTO:

Agli Assessori della Giunta Regionale della Lombardia


Egregio Assessore,
apprendiamo dalla stampa che il giorno 5 agosto p.v. verrà discusso e messo in votazione in Giunta Regionale un Progetto di Legge inerente la gestione dei servizi idrici integrati (S.I.I.), in applicazione del cosiddetto Decreto Ronchi (art. 23 bis della Legge 133/2008, così come modificato dall'art. 15 della Legge 166/2009).
Le anticipazioni sui contenuti del PDL riguardo le modalità di affidamento dei S.I.I. ci preoccupano, poichè obbligherebbero alla privatizzazione della gestione dell'acqua.
Infatti con l'applicazione del Decreto Ronchi Ronchi, l'affidamento della gestione dei S.I.I. a soggetti privati - ovvero a imprese italiane o straniere interessate solo a fare profitto - diventa la modalità ordinaria di assegnazione del servizio; in tal modo si porrebbe fine alle virtuose gestioni pubbliche che, in alcune province della Lombardia, risultano all'avanguardia a livello europeo.

Ricordiamo in questa occasione che a sostegno del Referendum per l'abrogazione del Decreto Ronchi e per la ripubblicizzazione del servizio idrico, in Italia sono state raccolte 1 milione e 400 mila firme, delle quali ben 237 mila nella sola Lombardia (www.acquabenecomune.org).
Si rammenta inoltre che ben cinque Regioni hanno impugnato per incostituzionalità l'art. 23 bis (così come modificato dall'art. 15 del Decreto Ronchi), ritenendo la norma lesiva delle prerogative delle Regioni stesse in materia di servizio idrico.

E' inopportuno che vengano adottati provvedimenti fintanto che la Corte Costituzionale non si esprima sui ricorsi delle Regioni e sull'ammissibilità dei Referendum abrogativi sottoscritti da 1 milione e 400 mila cittadini.

Inoltre è utile ricordare che negli scorsi anni in Lombardia si è attivata una vasta mobilitazione popolare contro le precedenti Leggi Regionali in materia di servizi idrici, in particolare contro le L.R. n. 21/1998 e n. 18/2006, per le parti che imponevano la privatizzazione dell'erogazione dell'acqua. A sostegno di tali mobilitazioni si sono attivati i Comuni; nel 2007 ben 144 Consigli Comunali della Lombardia hanno deliberato contro la L.R. 18/2006; con la successiva L.R. 1/2009, "concordata" coi sindaci referendari, è stata reintrodotta la possibilità dell'affidamento diretto ad aziende totalmente pubbliche.

A tale proposito, ci preoccupa l'eventuale attribuzione delle competenze del governo dei S.I.I. alle Province, che di fatto esautorerebbe i Comuni (ovvero gli Enti più vicini ai cittadini) dalle decisioni su un bene vitale e di interesse per tutti i cittadini qual è l'acqua, cancellando il federalismo rappresentato dai Comuni stessi.

Alla luce di quanto sopra, si chiede di non approvare il suddetto Progetto di Legge per le parti in cui si applica il Decreto Ronchi (che di fatto consegnerà ai privati la gestione dell'acqua) e in cui si esautorano i Comuni delle decisioni in materia di governo dei servizi idrici.
Certi che prenderete in considerazione le nostre richieste, porgiamo distinti saluti.


COMITATO _____________ oppure NOME COGNOME


rif.: Coordinamento Regionale Lombardo dei Comitati per l'Acqua Pubblica - email: roberto@circoloambiente.org


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