giovedì 30 dicembre 2010

La FIOM convoca lo sciopero il 28 gennaio, per i diritti di tutti



di Fabio Sebastiani
Sciopero di otto ore il 28 gennaio, una raccolta capillare di firme in difesa della libertà sindacale «per tutti» e un appello alle imprese a non «seguire la Fiat».
La “Federazione impiegati operai metallurgici” risponde così all’accordo separato di Mirafiori. Ieri, mentre a Roma veniva messa la “pietra tombale” su Pomigliano d’Arco, completando l’accordo di giugno con la parte contrattuale, il Comitato centrale decideva di inaugurare il 2011 con una lunga serie di “feste di piazza” (102 voti a favore e 29 astenuti). A febbraio, poi, l’assemblea nazionale dei delegati che tirerà le somme.
Le mobilitazioni saranno una per ogni regione d’Italia che deciderà di protestare non solo contro l’odiato Sergio Marchionne, ma contro l’attacco al contratto nazionale e ai diritti scritti nella Costituzione italiana. Insomma, sarà il primo passo di quello sciopero generale che la Cgil si ostina a non convocare e che la Fiom continua ad ispirare.
La stessa presa di posizione dello Spi-Cgil, che all’indomani dell’intervista della segretaria generale della Cgil Susanna Camusso sulle pagine di Repubblica, a fianco delle tute blu testimonia di una situazione nella confederazione di Corso d’Italia che va lentamente mutando.
«Siamo oltre il puro accordo separato», sottolinea il segretario generale della Fiom Maurizio Landini aprendo la conferenza stampa a margine dei lavori del Comitato centrale. E non ha tutti i torti. Dopo il fallimento della strategia di contenimento della Fiat che faceva perno su un ruolo più determinato da parte della Confindustria, e dopo la sostanziale tenuta di Berlusconi, oggi la Cgil si trova a dover dipanare una matassa ben più complicata.
Il quadro, dopo le firme di Mirafiori, è due spanne oltre lo stesso accordo separato del gennaio del 2009. L’esempio Fiat, che in un colpo solo peggiora sia le condizioni di lavoro che la stessa agibilità sindacale, potrebbe essere seguito da altre aziende: prima quelle del settore automotive, poi dalle altre grandi aziende (Eni, Finmeccanica) e, infine, dagli altri settori in difficoltà a causa della crisi economica. Di fronte a un accordo che, alla fine, cancella la rappresentanza sindacale, e quindi la possibilità stessa, come sottolinea con decisione lo stesso Landini, di trovare «una mediazione» tra due parti avverse, non c’è da arzigogolare troppo. «Quell’accordo è un pericolo per il nostro paese», dice Landini. E a chi obietta che uno sciopero generale metterebbe in difficoltà Federmeccanica, che non ha le stesse posizioni della Fiat, il leader della Fiom risponde che la Fiom le sue proposte sulla rappresentanza le aveva già fatte. E la risposta è stato l’accordo di Mirafiori. «Federmeccanica non è d’accordo con la Fiat? Lo dicesse apertamente», aggiunge Landini. La disponibilità ad innovare da parte dei metealmeccanici della Cgil c’è, ma ora quello che si sta palesando è uno scontro politico bello e buono. Giorgio Cremaschi, presidente del Comitato centrale della Fiom, non risparmia nulla a Cisl e Uil. «Non è mai successo dal ’45 ad oggi che un sindacato italiano firmasse l’esclusione di un altro sindacato. È una macchia indelebile sulla storia di Cisl e Uil. Per noi non contano più niente. Sono fuori dalla cultura democratica sindacale dell’Italia costituzionale».
Tra i temi caldi al Comitato centrale, la posizione da tenere sul referendum a Mirafiori. Alla fine è passata la tesi di lasciare un certo margine di manovra ai lavoratori, i quali, così come ha sottolineato Giorgio Airaudo, hanno già deciso di dar vita ai “Comitati per il No” all’accordo. La Fiom, da parte sua, non riconosce il referendum. Come già nel caso di Pomigliano, oltre ad avere una premessa ricattatoria (“se non passa l’accordo non faccio l’investimento”, aveva detto Sergio Marchionne) di fatto riguarda alcuni diritti indisponibili dei lavoratori, come il diritto di sciopero.
Per Fausto Durante (tra i 29 astenuti a fronte di 102 voti a favore e nessun contrario, ndr) «la linea di Landini non ha impedito a Fiat di procedere nè evitato gli accordi separati che non ci sono in nessuna altra categoria». Ora servirebbe «una battaglia politica forte per il “No” al referendum, ma con la disponibilità ad accettare un eventuale esito favorevole all’accordo, con una «firma tecnicache permetta alla Fiom di entrare nelle rappresentanze aziendali e continuare il suo impegno all’interno dello stabilimento».

(Da Liberazione del 30 Dicembre 2010)

mercoledì 29 dicembre 2010

Concessioni idroelettriche: domande contro corrente a Sertori





Durante questi ultimi giorni del 2010 l'amministrazione leghista di Sertori è tornata a sbandierare la sua operazione sulle concessioni idroelettriche come la chiave per il Paradiso in Terra.
Noi della Federazione della Sinistra di Sondrio ci permettiamo di avere qualche perplessità, e di porre qualche domanda controcorrente al Presidente Sertori (e a chiunque sia interessato a rispondere).

L’approvazione in Regione dell’art. 53 bis sulle grandi concessioni è stato presentato come una vittoria storica del territorio, si aprirebbe una nuova pagina nel rapporto tra provincia e aziende idroelettriche, finalmente saremmo “padroni a casa nostra”. Ma è proprio così? Una serie di considerazioni ci porta a respingere la retorica con cui, con poche eccezioni, si è voluto commentare il voto di lunedì scorso. Anche perché si tratta di una retorica che occulta alcuni dati di cui l’opinione pubblica provinciale dovrebbe invece essere informata. Rivolgiamo pertanto le seguenti domande sperando che qualcuno dei protagonisti della trattativa si senta in dovere di rispondere pubblicamente.

Federalismo idroelettrico: una strada tutta in discesa?
Il 53 bis viene presentato come una corazzata inaffondabile, nella realtà presta il fianco a tutta una serie di contestazioni. L’affidamento diretto delle concessioni ad una società mista pubblico-privato partecipata dalla Provincia è o non è una palese violazione dei principi comunitari in tema di libera concorrenza? Sono da escludere l’intervento del garante e l’apertura di procedure di infrazione da parte della Commissione europea? Alcuni passaggi della legge, quelli relativi alle procedure per le gare, vanno o non vanno ad incidere su materie di competenza esclusiva dello stato? Se queste debolezze dal punto di vista giuridico ci sono, è possibile che aprano la strada a ricorsi, come del resto si è visto in questi anni tutte le volte in cui il legislatore ha introdotte delle clausole finalizzate alla creazione di corsie preferenziali per i concessionari uscenti? L’art. 53 bis prefigura o no un percorso preferenziale per gli attuali gestori? Perché si offre all’opinione pubblica la certezza di un risultato sicuro, perché si vende la pelle dell’orso prima ancora di averlo preso? Perché non si è scelto un approccio meno propagandistico e non ci si è mossi con una maggiore cautela? Forse perché si è furbamente pensato che valeva la pena di giocare sull’effetto annuncio?

C’è un effetto annuncio anche sul versante delle risorse economiche? Siamo veramente all’inizio dell’età dell’oro?
Per quanto riguarda i benefici economici che deriverebbero dalla partecipazione della Provincia alla società mista, sono stati dati in pasto all’opinione pubblica provinciale cifre contradditorie. Prima si è puntato alto e si è detto che la partecipazione della Provincia alla società mista avrebbe portato nelle casse degli enti locali qualcosa come 100 milioni di euro, poi l’utile è stato ridimensionato. Si è comunque creata tra la popolazione l’idea che di soldi ne arriveranno e molti. E che di ciò va ringraziata la Lega. Perché oggi nessuno più si azzarda a sparare numeri? Forse perché si sono fatti i conti senza pensare che la distribuzione degli utili sarà decisa non dalla Provincia ma dalle multinazionali dell’energia in maggioranza nel consiglio di amministrazione? Che ne sarà degli utili nel caso la governance dell’azienda dovesse per esempio decidere un impegnativo piano di investimenti per l’ammodernamento degli impianti?

Perché un condono tombale sul pregresso?
Tutti ricordano le polemiche degli anni passati sull’utilizzo improprio delle risorse idriche da parte delle aziende in violazione delle concessioni e dei disciplinari. Qualcuno ha anche provato a calcolare i sovrapprofitti che sono derivati alle società idroelettriche da queste pratiche scorrette. Come mai questa questione non è entrata nel dibattito politico sul rinnovo delle concessioni? Si pensa male o ci si azzecca se si considera l’art. 53 bis il condono tombale di tutta questa materia?

A chi il demanio idrico? Alla Provincia o alla Regione?
Si fa un gran parlare di federalismo idroelettrico. Grazie alla Lega i valtellinesi e i valchiavennaschi sarebbero diventati padroni delle dighe, ma non si dice che quello che veramente conta è il potere concessorio e cioè il potere di rilasciare le concessioni. Questo potere rimane tutto nelle mani della Regione. Perché qualcuno non spiega all’opinione pubblica come mai su una questione così importante la provincia non ha alcuna voce in capitolo?

Perché Belluno sì e Sondrio no?
La Provincia di Belluno va al confronto con le imprese idroelettriche avendo la titolarità del demanio idrico e perciò delle concessioni. Perché Sondrio che ha le stesse caratteristiche di provincia prevalentemente montana si presenta allo stesso appuntamento senza questo potere contrattuale? Perché il centrodestra della nostra provincia tace su questa questione? Perché nel 2003 l’allora presidente della provincia Provera non colse l’opportunità offerta dalla legge di chiedere alla Regione il trasferimento delle competenze in materia di demanio idrico? Se le chiese, da chi gli furono rifiutate?

Chi comanderà nella partecipata? La Provincia o le multinazionali?
Come previsto dall’art. 53 bis la futura società energetica nasce con una partecipazione minoritaria della Provincia. E’ credibile uno scenario nel quale le scelte decisive relative agli investimenti e alla distribuzione degli utili non saranno nelle mani di spa potentissime, tutte dentro le logiche di valorizzazione del capitale e di massimizzazione dei profitti dei grandi gruppi energetici?

Non è che si potranno creare conflitti di interesse?
Nella presentazione al grande pubblico della norma che dovrà regolamentare l’idroelettrico è stata posta molta enfasi sul tema delle risorse economiche che arriveranno, mentre poca o nessuna attenzione è stata posta ai temi di ordine ambientale e paesaggistico che ruotano attorno alla questione acque, quasi che questi temi fossero tutto sommato un argomento di secondaria importanza. Non un cenno ad esempio al ruolo di controllo che gli enti locali dovrebbero esercitare sui prelievi ecc. Se la sensibilità ambientale del ceto politico al governo in provincia è questa, cosa ci si potrà aspettare dagli uomini che saranno nominati dalle istituzioni dentro il consiglio di amministrazione della società mista? Non è che si creerà una complicità tra management delle multinazionali e uomini di nomina politica, il primo interessato a fare profitti turbinando la maggior quantità possibile di acqua e i secondi altrettanto interessati a fare altrettanto per riempire le casse degli enti locali svuotate dalle politiche di rigore del governo Berlusconi?

A chi giova il partenariato?
La scelta di andare ad una società mista di tipo cogestivo può essere vista sia come un accomodamento compromissorio tra interessi diversi (quelli del territorio, quelli delle istituzioni, quelli delle società idroelettriche ecc.) sia come una soluzione nella quale si afferma la prevalenza di uno dei portatori di interessi. Nel caso delle acque della provincia di Sondrio, il modello di società proposto fotografa una situazione di equilibrio oppure c’è uno sbilanciamento a favore dell’uno o dell’altro degli stakeholders in campo?

Perché non un’altra scelta?
Altre province alle prese con lo stesso problema nostro hanno seguito percorsi diversi. C’è chi, come Trento, ha optato per soluzioni di partenariato ma dentro la cornice di una spa a capitale prevalentemente pubblico, c’è chi è andato semplicemente a trattativa cercando di ottenere il massimo sia in termini di risorse sia in termini di tutela ambientale. Nel caso della provincia di Sondrio quali sono le convenienze che stanno dietro alla scelta che è stata fatta? Si è pensato ad altre soluzioni che meno ci esponessero al rischio connesso alla partecipazione ad una spa? Dal punto di vista di evitare situazioni di conflitti di interesse non sarebbe stata preferibile una formula meno aleatoria che assegnasse alla Provincia funzioni di controllo e di vigilanza evitando di imbarcarla nella gestione?

Provincia di Sondrio: segnali di ripresa economica, ma resta la crisi

Netto cambiamento rispetto ai lunghi periodi di riposo dello scorso anno
Sorride l’alimentare, i problemi permangono nel settore chimico e tessile

Meno ferie per le tute blu, vacanze di Natale ancora lunghe per tessili e chimici. È evidente, nelle fabbriche della provincia di Sondrio, il cambiamento rispetto a dodici mesi fa, quando diverse industrie, anche nel settore metalmeccanico, avevano puntato su tre settimane di stop per i propri dipendenti. Ora fra i meccanici i giorni di riposo sono molti meno. Nel chimico e nel tessile tutto sembra andare come l’anno scorso, con le aziende che devono affrontare difficoltà rilevanti e resteranno chiuse fino a dopo l’Epifania. Nel complesso sorride il comparto alimentare, un settore che ha visto pochissime ore di cig.
Poche ferie per le tute blu - «Dobbiamo osservare che questo periodo viene gestito diversamente dall’anno scorso - spiega dalla Fim-Cisl il segretario Davide Fumagalli -. Nel 2009 durante le vacanze di Natale c’erano state nella maggior parte dei casi tre settimane di ferie, con la chiusura
degli stabilimenti. Oggi in alcuni stabilimenti, ad esempio in Alexia e Siderval, le ferie sono state ridotte rispetto all’anno scorso in modo rilevante. In altre fabbriche come Ge e Dresser si resterà a casa soltanto nei giorni di festa, in altre ancora - come Fic e Riello - si rimane sulle due settimane. Non abbondano la ferie neanche alla Carcano, dove nel 2010 c’è stato un record nella produzione. Nel complesso questa tendenza è un segnale da non sottovalutare: qualcosa è cambiato negli ultimi dodici mesi. Ma i problemi non sono finiti. Non è possibile sostenere che il 2011 sarà privo di difficoltà.
Si lavora con una visibilità minima, di pochissime settimane, cercando di soddisfare i clienti in tempi rapidi».
2010, record di cassa - Ma i segnali incoraggianti in arrivo dal metalmeccanico non sono sufficienti per allontanare le preoccupazioni. È stato un anno da record per gli ammortizzatori sociali in provincia di Sondrio. Sono state ben 1.423.000, infatti, le ore autorizzate tra cassa ordinaria, straordinaria e in deroga. Nella storia della cig dal 2007 ad oggi (anche se va precisato che per il 2010 i dati arrivano solo fino a novembre), c’è stata una costante crescita.
Nel 2007 le ore totali autorizzate fra cigo (188mila) e cigs (150mila) erano state 339mila. Nei dodici mesi successivi erano state 389 mila: 261mila di ordinaria, 126mila di straordinaria e 1323 ore in deroga. Il primo boom risale al 2009, con 1.252.000 ore: 926mila di cigo, 174mila di cigs e 150mila in deroga. Nel 2010 si è saliti a 1.423.000 ore: 715mila di ordinaria, 273mila di cigs ben 434mila in deroga. Le ore di cigo effettivamente utilizzate sono state circa la metà di quelle autorizzate.
Il lavoro che non c’è - Secondo le stime dei sindacati nell’industria in tre anni si sono persi più di mille posti.
Intanto trovare una nuova occupazione è sempre più difficile. Un caso significativo è quello della Mc di Cosio Valtellino, una delle prime aziende colpite in modo durissimo dalla crisi degli ultimi anni. Su 84 dipendenti solo una ventina ha trovato una nuova occupazione, anche se spesso con contratti a tempo determinato. La maggior parte invece è ancora in cassa integrazione almeno fino ad aprile 2011. Poi ci sarà la chiusura e così a seconda dell’età si passerà alla mobilità: un
anno per chi ha meno di 40 anni, due fino a 50 e tre anni per chi ha più di 50 anni.

(Articolo di Stefano Barbusca su La Provincia di Sondrio del 28/12/2010)

Raphael Rossi: un giovane comunista contro la corruzione


di Vittorio Bonanni su Liberazione del 16/11/2010


All’Amiat di Torino d’accordo col Prc bloccò l’acquisto di mezzi inutili e costosi


Questa è la storia dell’impegno civile di un uomo di sinistra, della sua coerenza e della voglia di qualcuno di far apparire invece quell’impegno come un fatto soltanto individuale, estraneo ad ogni cultura politica. Stiamo parlando di Raphael Rossi, 35 anni, specializzato in sistemi per la raccolta differenziata e fino a quattro mesi fa vicepresidente dell’Amiat (la municipalizzata per la raccolta di rifiuti a Torino). Rossi è un militante di Rifondazione comunista, a quell’epoca in giunta con il sindaco Chiamparino. Si accorge che i vertici aziendali stanno organizzando l’acquisto di macchinari inutili e costosi – la cifra è di circa 4 milioni di euro – e lui, malgrado degli evidenti tentativi di coinvolgerlo nell’affare con la promessa di tangenti – respinge ogni tentativo di corruzione e si avvale della sua competenza per bloccare tutto. Contatta polizia e magistratura che lo invitano a simulare l’acquisto e così in questo modo otto persone vengono arrestate e rinviate a giudizio per i reati di corruzione e turbativa d’asta. Il prossimo 13 dicembre ci sarà l’udienza preliminare con Rossi testimone d’accusa. La vicenda viene resa pubblica da Report e da il Fatto Quotidiano. Il quale però, attraverso una delle sue firme migliori, quella di Marco Travaglio, accusa innanzitutto il comune di Torino di non aver sostenuto Rossi e il Prc di aver abbandonato il suo uomo, non più riconfermato nel Cda dell’Amiat, perché «come nella migliore cultura mafiosa chi collabora con la giustizia si rende inaffidabile nel suo ambiente». Parole grosse quelle di Travaglio che nel tentativo di non fare sconti a nessuno alla fine non vuole riconoscere che l’illegalità non trova a sinistra un terreno fertile. Immediata è stata la reazione di Rifondazione comunista e del suo segretario provinciale Renato Patrito, che ha chiesto al Fatto la pubblicazione di una replica, cosa avvenuta venerdì scorso: «Io ho spiegato i fatti, e cioè che Rossi fin da subito era stato accompagnato dal sindaco Chiamparino e dal vice-sindaco De Allessandri per raccontare il caso Amiat appena la magistratura diede il consenso e che la sua ricoferma non avvenne unicamente per due ragioni: uno, di prassi, perché aveva già fatto due mandati; l’altro politico, perché il suo partito, ovvero Rifondazione, nel frattempo era passato all’opposizione. Comunque non fu mai lasciato da solo», dice Patrito. Travaglio, nel rispondere alla replica, sostiene di aver scritto quello che gli era stato detto. «In altri termini non fa un buon servizio come giornalista – precisa il segretario torinese – perché evidentemente quello che gli è stato detto lo avrebbe dovuto verificare. Voglio fare presente che Raphael fu tutelato fin dal momento in cui avvenne il fatto nell’aprile del 2009. Aveva ancora quasi un anno di mandato e di nomina e viveva in Amiat un clima pesante, negativo, di isolamento. Io mi feci carico di andare dal vicesindaco che ha la delega alle ex municipalizzate chiedendo se era possibile in qualche modo ovviare a questa situazione spostandolo di lì, riconoscendo il ruolo positivo che aveva svolto per la sua città, che grazie a lui aveva fatto risparmiare quattro milioni e mezzo di euro. Mi si rispose che non era possibile perché, essendo passati noi all’opposizione, non avevamo più diritto di discutere delle nomine». Abbiamo sentito anche lo stesso Raphael sulla vicenda il quale ci ha voluto segnalare il ritardo con il quale Rifondazione ha presentato in consiglio comunale una mozione, battuta nel tempo dalla Lega e da Sinistra e Libertà: «Hanno atteso venticinque giorni per farlo e dopo l’invio di una mia lettera di fuoco indirizzata al segretario Patrito». Il quale conferma il ritardo del suo partito su questo aspetto: «Raphael dice una cosa vera. Effettivamente abbiamo avuto un ritardo di una decina di giorni nella presentazione della mozione per fattori contingenti non voluti dalla segreteria provinciale e praticati dal gruppo con delle giustificazioni insufficienti. Io successivamente ho criticato pubblicamente questo ritardo, ma questo ritardo c’è stato. Devo dire però che questa mancanza, seppur non voluta, ha aiutato una migliore formulazione perché ci ha consentito di riprendere un dettato dell’Anci di pochi giorni fa che abbiamo fatto nostro relativamente al rapporto tra enti locali, comuni e corruttela, mafia e quant’altro. E’ un dettato importante che è stato votato da tutti i comuni d’Italia e che quindi sicuramente rende la mozione più completa. E mette in difficoltà il Partito democratico».


Della vicenda ha parlato anche Report, nella puntata "C'è chi dice no": http://www.report.rai.it/dl/Report/puntata/ContentItem-5ebb7968-9e8e-46b6-b4d3-91c60050e83b.html

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