sabato 31 marzo 2012

Oggi occupiamo Piazza Affari


Manifestazione nazionale contro la finanza a Milano.
di Giorgio Salvetti, Il Manifesto

Cremaschi: «Ci sarebbe piaciuto partire davanti alla Bocconi ma ce l’hanno impedito. Forse è come Palazzo Grazioli a Roma». Milano, la prima manifestazione contro le «riforme» del governo Monti punta sulla Borsa Sindacati di base e pezzi di Cgil, tutta la sinistra fuori dal Palazzo, i No Tav e tanti comitati locali.

Monti non è la soluzione, è il problema. Ecco perché oggi a Milano migliaia di persone scenderanno in piazza per dare vita a «Occupyamo piazza Affari».
Si tratta della prima vera manifestazione nazionale contro il governo che risponde immediatamente al tentativo di controriforma del mercato del lavoro firmata Elsa Fornero. Ma si tratta anche di un importante appuntamento per provare a rianimare e riconnettere i vari spezzoni di tutto ciò che si muove a sinistra, partiti, sindacati, movimenti sociali e territoriali. Un vasto fronte che però non ha ancora metabolizzato le forti tensioni interne che sono seguite agli scontri della manifestazione di Roma, lo scorso 15 ottobre.
L’idea è venuta al Comitato No Debito alla fine dello scorso anno. E’ circolata in rete, è stata discussa nelle assemblee di mezza Italia, poi è diventata un progetto concreto: costruire una manifestazione a Milano che partisse dall’Università Bocconi tanto cara all’ex rettore Mario Monti per raggiungere la Borsa e mostrare il nesso fin troppo evidente tra la finanza, i mercati internazionali, e l’essenza di questo esecutivo. Da quel momento «Occupyamo piazza Affari» ha raccolto sempre più adesioni. Oggi sfileranno una rappresentanza dei No Tav – l’unica causa che in questi mesi ha saputo mobilitare e riunire i movimenti – diversi comitati territoriali, San Precario, alcune realtà in lotta del milanese (dai lavoratori sulla torre della stazione Centrale della Wagon Lits ai lavoratori di Esselunga). A seguire i sindacati di base (Usb, ecc) e la Rete28Aprile della Cgil. Chiudono i partiti della sinistra – Prc, FdS, Pcdl, Sinistra Critica e qualche rappresentante di Sel. Si parte alle 14 da piazza Medaglie d’Oro e dopo un lungo giro per il centro si arriva in piazza Affari dove si terrà un’assemblea aperta.
«Avremmo voluto partire dalla Bocconi ma non ci è stato permesso – spiega Giorgio Cremaschi, il sindacalista della Fiom che parla a nome del Comitato No Debito – mi ricorda quando c’era Berlusconi e a Roma si poteva manifestare ovunque ma non davanti a Palazzo Grazioli. Evidentemente la Bocconi è considerata casa di Monti. Non sappiamo quanto questo faccia piacere ai bocconiani, contro cui non abbiamo nulla». Prima della manifestazione verrà portata una corona di fiori in Bocconi, davanti al monumento per Roberto Franceschi, lo studente ucciso dalla polizia nel 1973 durante una manifestazione.
«Occupyamo Piazza Affari» ha anche una chiara vocazione europea e internazionale. «Monti rappresenta lo stesso programma che sta provocando una catastrofe economica e sociale in tutta Europa – spiega ancora Cremaschi – che ha affondato la Grecia e sta affondando il Portogallo e contro il quale ieri la Spagna si è fermata». La catastrofe incombente su scala mondiale infatti è il motivo fondante di questo esecutivo ed è allo stesso tempo la premessa per convincere gli italiani ad inchinarsi al volere dei tecnici che nessuno ha mai votato. Si tratta di rompere questo circolo vizioso. L’auspicio è che presto anche in Italia si possa costruire un movimento di opposizione politica e sociale, «antagonista nei contenuti e pacifico nelle forme», capace di bucare il silenzio dei media e la compiacenza nei confronti di Monti e delle politiche che rappresenta. Quanto all’articolo 18, «il Barcellona dopo la partita col Milan ha dovuto restare ad allenarsi a Milano a casa dell’Inter perché la Spagna era chiusa totalmente per sciopero. Speriamo presto di restituire il favore a una squadra italiana ospite in Europa».
Il corteo di oggi ha dunque anche intenzione di pungolare il sindacato, ovvero la Cgil, «che è partito un po’ troppo in ritardo». Ma soprattutto sarà una manifestazione trasversale che tenta di unire nord e sud (sono attesi pullman e treni anche da Cosenza), e di stabilire un contatto diretto tra chi lavora e chi il lavoro non c’è l’ha: precari e non precari, vecchi e giovani… Dilva rappresenta i lavoratori atipici over 40: «Siamo stati esuberi a 40 anni, precari a 50 anni, e adesso ci levano le pensioni mentre i nostri figli sono precari senza futuro. Altro che licenziamenti facili! La riforma della Fornero ci sta fregando tutti. Per questo occupiamo insieme piazza Affari».


Resoconto della Direzione Nazionale


di Stefano Galieni

Si è riunita ieri la Direzione nazionale del Prc che aveva all’ordine del giorno 3 punti. Si è proceduto alla scelta di affidare in base allo statuto e in regime di commissariamento la federazione provinciale di Milano al compagno Ugo Boghetta, già segretario regionale uscente della Lombardia. Un atto reso necessario dalla manifestata impossibilità ad individuare, sin dal novembre scorso una indicazione condivisa nel Cpf verso un segretario/a. Il commissariamento durerà il tempo necessario per giungere al congresso straordinario.Questa scelta è stata considerata sbagliata dagli esponenti del secondo documento congressuale, che hanno chiesto un rinnovamento del gruppo dirigente. Sui 22 presenti al momento del voto in 13 hanno espresso parere favorevole 6 contrario e in 3 hanno scelto l’astensione. Si è poi affrontato il nodo doloroso di Liberazione, con un Odg posto ai voti in cui si definisce tanto la sospensione delle pubblicazioni quanto l’apertura di una fase di rilancio.

Marco Gelmini, in qualità di amministratore delegato della M.r.c ha ricostruito in un articolato intervento le fasi della vicenda e le motivazioni che portavano a tale inevitabile scelta. Intanto si è precisato per l’ennesima volta che la parte del fondo dell’editoria relativa all’anno 2011 e che verrà erogata a fine 2012 non coprirà che in parte quanto anticipato, mediante cessione di credito, dal partito. In pratica è impossibile proseguire con le pubblicazioni in assenza di liquidità Il futuro sarà determinato fondamentalmente da 3 elementi. Le modalità del nuovo regolamento che chiariranno se e quanto potrà giungere dal finanziamento pubblico per il quotidiano on line, una certezza sull’entità dei fondi previsti per il 2012 e infine capire se dal 2013 in poi verranno o meno ristabilite forme di sostegno all’editoria di partito, cooperativa e no profit. Gelmini ha ricostruito il bilancio, politico e sindacale di 3 mesi di trattative, spesso conflittuali e ha rilanciato, come da Odg, la necessità di un rilancio attraverso una campagna straordinaria da far partire per ricostruire il capitale di rischio di Liberazione e sperare di poter tornare in qualche forma almeno nell’edicola virtuale della rete, malgrado le manovre governative che vogliono soffocare ogni forma di editoria indipendente dai poteri forti. È stata letta una lettera aperta firmata dall’assemblea dei lavoratori di Liberazione in lotta, per cui si prospetta la Cig in attesa che il quotidiano possa riuscire, e ci sono stati interventi di diverso orientamento rispetto alla ricostruzione fatta. Comune però la percezione di quanto la sospensione del quotidiano rappresenti un elemento di rottura che va ricomposto e su cui è necessario tornare a discutere. Per il giornale sono intervenuti Fabio Sebastiani, che ha accentuato una considerazione di sconfitta sul terreno dell’innovazione comunicativa e il direttore Dino Greco che ha chiesto al partito un impegno concreto e collegiale per il futuro come finora non c’è stato. L’Odg è stato votato in due parti separate. La prima, in cui si ricostruisce la vicenda e si da mandato alla Mrc di concludere il confronto sindacale e la seconda in cui si prospetta il rilancio. Quest’ultima ha ottenuto 24 voti su 25 mentre sull’intero testo hanno votato a favore 23 compagni/e e 3 contrari/e. In conclusione Paolo Ferrero ha aperto una discussione sulla fase politica, premettendo una propria forte presa di posizione su Liberazione e sulle vicende che hanno animato gli ultimi mesi ringraziando Marco Gelmini per il lavoro svolto. Entrando nel vivo delle vicende politiche Ferrero ha evidenziato come la presa di posizione del Pd in merito all’articolo 18 (reintegra se decisa dal giudice) ha tatticamente ricompattato il partito ma rischia di rivelarsi strategicamente inefficace. Si aprono quindi spazi, nel peggioramento della crisi e nell’evidenziarsi di come il governo Monti si stia rivelando un vero governo di destra, su cui è necessario agire. Per questo è necessario intensificare l’impegno nelle questioni riguardanti la riforma del mercato del lavoro, prestando ancora più attenzione a quanto accade nel mondo sindacale, mobilitarsi contro la riforma delle pensioni e rinnovare l’appoggio allo sciopero generale e spendere maggiori energie per affrontare singoli nodi della crisi. Una attenzione maggiore a quanto sta avvenendo in tema di pressione fiscale, si pensi a quando si dovrà iniziare a pagare l’Imu, è urgente e necessario. In attesa di poter poi giungere ad una manifestazione nazionale della FdS, Ferrero ha rinnovato l’appello ad una presenza forte del partito alla manifestazione di domani a Milano che, nel cuore finanziario della città, mette in discussione la logica del debito. Un passaggio è stato ovviamente riservato alle proposte che si vanno facendo di riforma elettorale, su cui è importante prendere posizione partendo dal fatto che qualsiasi sistema che tenda al proporzionale è migliore del maggioritario.

mercoledì 21 marzo 2012

CGIL contro la riforma del lavoro: 8 ore di sciopero generale.

La grande manifestazione della CGIL al Circo Massimo nel 2002
CGIL, 8 ORE DI SCIOPERO GENERALE
www.rassegna.it
La Cgil va verso lo sciopero generale di 8 ore contro la modifica dell'articolo 18. Lo riferiscono stamani (21 marzo) fonti di agenzia. E' la proposta che il segretario confederale, Fulvio Fammoni, ha avanzato nella relazione introduttiva al direttivo di Corso Italia. Ieri sera a Palazzo Chigi la Cgil ha respinto la riforma del mercato del lavoro proposta da Monti.

A quanto si apprende, Fammoni propone un pacchetto di 16 ore di sciopero: otto da dedicare ad assemblee nei territori, otto di sciopero generale in un'unica giornata. La data dello sciopero non è stata ancora definita, verrà decisa in base alla discussione parlamentare sulla riforma. Sarà accompagnata da assemblee sui luoghi di lavoro e a manifestazioni territoriali.

La protesta "non sarà la fiammata che si esaurisce in un giorno, che il governo ha messo in conto". Lo ha detto Fammoni spiegando la proposta di sciopero. "La Cgil è pronta a contrastare la riforma del mercato del lavoro e in particolare dell'articolo 18 - ha aggiunto -. Abbiamo il dovere di portare a casa dei risultati prima che si avvii un biennio di espulsione di massa nelle aziende".

Il governo "punta a imporre un ruolo residuale del sindacato confederale italiano e delle forze sociali e a introdurre un modello assicurativo individuale al posto del patto sociale storico". Questo il ragionamento del segretario. "Nel corso dei tre anni di governo Berlusconi – ha spiegato -  abbiamo svolto un ruolo fondamentale: abbiamo tenuta aperta la speranza di cambiare. Ora dobbiamo passare ad una fase diverso, dobbiamo ottenere risultati tangibili e mirare ad un disegno sociale e culturale alternativo: il primo nostro obiettivo è la modifica in Parlamento delle norme proposte dal governo a partire da quelle sull'articolo 18".

Fammoni ha analizzato punto per punto tutte le proposte del governo per la riforma del mercato del lavoro, smontando molte affermazioni dello stesso governo in particolare sui giovani e gli ammortizzatori. Al contrario tanti sono i punti ancora non risolti, soprattutto per quanto riguarda l'accesso dei giovani e per quanto riguarda l'universalità degli ammortizzatori sociali.

"Con le nuove norme – a suo avviso – è molto facile prevedere che nei prossimi due/tre anni si avvi un vero e proprio processo diespulsione di massa di lavoratori ultracinquantenni che si troveranno senza lavoro e senza aver raggiunto i requisiti per la pensione. Con la fine prospettata della mobilità ci sarà un incentivo oggettivo ad espellere il maggior numero di lavoratori e le norme sul lavoro si mescoleranno a quelle sulla pensione. Migliaia di persone potrebbero così restare senza lavoro e senza pensione".

Critiche anche per i meccanismi di accesso alla nuova Aspi e la necessità di fare di più per la cancellazione delle variegate forme di contratto falso autonomo, che nascondono lavoro subordinato a tutti gli effetti. Il ruolo del sindacato nel corso della trattativa, comuqnue, ha portato alcuni risultati. "Abbiamo introdotto il tema della crisi e dell'emergenza occupazione, spostato la fine degli ammortizzatori in deroga oltre il 2012. Abbiamo ottenuto che la cassa integrazione straordinaria fosse mantenuta, mentre l'ipotesi iniziale era la sua cancellazione, una transizione di 5 anni".

Altri risultati sono in tema di stage, tirocini con la cancellazione di una delle forme più precarizzanti come gli associati in partecipazione ma le proposte del governo sui licenziamenti facili e sulla cancellazione dell'istituto della mobilità non vanno bene, così come occorre un vero sistema universale di ammortizzatori sociali. Per questo la Cgil si farà carico di una sua proposta da presentare in Parlamento per cambiare quella del governo.

Non sarà solo uno sciopero. La Confederazione pensa a una serie di iniziative da mettere in campo: una petizione popolare per abolire la riforma, iniziative contro le norme sul precariato. Poi si avvierà una campagna nazionale di informazione sul posto di lavoro. "La mobilitazione sarà dura e articolata - ha concluso Fammoni - e punterà ad ottenere risultati concreti durante il dibattito parlamentare".

Ecco una prima scaletta delle iniziative, resa nota dalla Cgil:

1) petizione popolare per raccogliere milioni di firme
2) iniziative specifiche con i giovani per contrastare le norme sbagliate sul precariato
3) campagna nazionale a tappeto di informazione in tutti i territori
4) prime mobilitazioni nei posti di lavoro e nei territori
5) assemblee in tutti i luoghi di lavoro
6) avvio del lavoro con la Consulta giuridica per i percorsi legali (ricorsi, ecc)
7) 16 ore di sciopero generale: 8 per le assemblee e iniziative specifiche e 8 ore in un'unica giornata con manifestazioni territoriali e assemblee nei posti di lavoro. La data sarà definita sulla base del calendario della discussione in Parlamento. 

venerdì 16 marzo 2012

La casta padana: Formigoni al capolinea

Formigoni è al capolinea. Ora l'alternativa.
di Luciano Muhlbauer - da Il manifesto del 15 marzo 2012


Ormai è uno stillicidio e non ha nemmeno più senso commentare le singole vicende. E questo vale a maggiore ragione per l'ultimo degli inquisiti in ordine di tempo, il consigliere regionale del Pdl, Angelo Giammario, ora indagato per corruzione, ma...
il cui nome si trovava già nell'inchiesta «Infinito» contro la 'ndrangheta in Lombardia.
No, il punto è un altro, cioè il lungo ciclo formigoniano - che ha dominato in Lombardia per 17 anni consecutivi - è arrivato a capolinea. Il potente sistema di potere costruito attorno a Cl, il movimento politico-confessionale che in Lombardia agisce da partito-stato, e all'ultradecennale e organica alleanza con la Lega Nord, scricchiola come mai era accaduto prima d'ora.
Beninteso, l'esistenza di una questione morale al Pirellone non è certo una novità, anzi era palese già nella scorsa legislatura. Vi ricordate, ad esempio, l'arresto in diretta tv dell'allora assessore regionale al turismo Gianni Prosperini oppure lo scandalo bonifiche, che aveva portato in carcere Rosanna Gariboldi, moglie di Giancarlo Abelli, assessore e il signore delle nomine nella sanità lombarda?
Tutto quello che succede ora era ampiamente annunciato. E lo stesso Formigoni si è adoperato per ricollocare gli ex-assessori più a rischio in posti privilegiati in consiglio. Ci riferiamo ai due esponenti Pdl Franco Nicoli Cristiani e Massimo Ponzoni, finiti di recente in carcere. C'è poi il leghista Davide Boni, ex assessore e tuttora presidente del consiglio regionale, indagato pure lui per corruzione.
Potremmo andare avanti all'infinito, con il caso Minetti, le firme false per il listino o il crac del San Raffaele, ma lasciamo perdere. Qui si tratta di un sistema che è marcio. Il tanto acclamato modello Lombardia è anche questo e, forse, soprattutto questo.
17 anni di governo ininterrotto sono decisamente troppi, portano a confondere la cosa pubblica con la cosa privata. Persino Putin aveva dovuto inventarsi un'interruzione prima del terzo mandato presidenziale. Roberto Formigoni invece no, lui è al quarto di fila, senza colpo ferire.
Ora però, finito il ventennio berlusconiano, sta per crollare anche quello formigoniano. Il problema, dunque, non è sapere se finisce, bensì come finisce. Già, perché non è la politica, l'opposizione o la mobilitazione dal basso a scuotere il palazzo, bensì la magistratura.
I magistrati, ovviamente, fanno il loro mestiere, così come lo fecero vent'anni fa, ma è la politica che finora non l'ha fatto. L'opposizione appare troppo debole e timida e nel passato recente c'è stato pure qualche inciucio di troppo.
Occorre, quindi, avviare da subito un percorso unitario per un'alternativa, che parta dal coinvolgimento dei cittadini e preveda le primarie. Insomma, la Lombardia non sarà come Milano, ma la primavera milanese ci offre un esempio concreto e vicino su come far rientrare in campo la partecipazione popolare e democratica e vincere. Altrimenti rischiamo di ripetere la via romana, dove siamo usciti dal berlusconismo non con un'alternativa politica, ma con una politica commissariata e delegittimata.

domenica 11 marzo 2012

Massacro a Gaza



Mentre scriviamo continuano i raid israeliani nella Striscia di Gaza, iniziati nella giornata del 9 marzo. Ma più che di raid, sarebbe opportuno parlare di una strage di stato, iniziata con un omicidio premeditato. 
Vi racconteranno che il raid è scattato come rappresaglia contro il lancio di razzi Qassam verso Israele. Ma la dinamica dei fatti non è questa. Non è questo l’ordine cronologico degli avvenimenti. E ancora una volta la stampa occidentale, seguendo i diktat di Israele, si copre di vergogna, narrando una verità distorta, omettendo, occultando, tacendo, travisando. Questa volta, come mille altre volte. Propaganda. Propaganda per negare l’ennesima aggressione e le responsabilità di un omicidio premeditato e di una strage studiata a tavolino.
Il Jerusalem Post del 10 marzo in un articolo ci racconta di un’«ondata di razzi palestinesi» e ci dice che «i terroristi palestinesi hanno lanciato più di 90 razzi, fra Qassam e Grad a più lunga gittata.

Almeno otto i feriti, venerdì sera, nella zona di Eshkol, compresi alcuni lavoranti stranieri. Danni a vetture, tralicci elettrici, finestre delle abitazioni».  Ci dice anche che venerdì sera «le Forze di Difesa israeliane hanno colpito e ucciso Zuhair al Qaissi, comandante dell’ala terroristica dei Comitati di Resistenza Popolare» aggiungendo: «nel corso della notte di venerdì e della mattinata di sabato, le Forze di Difesa israeliane hanno individuato e colpito a più riprese cellule di terroristi impegnate nel lancio di razzi». 
E allora proviamo a ricapitolare i fatti, solamente i fatti, nell’ordine cronologico in cui sono avvenuti. Nella giornata di venerdì 9 marzo, con un’esecuzione mirata, gli israeliani hanno ucciso Zuhair al Qaissi, comandante dei Comitati di Resistenza Popolare, una formazione alleata di Hamas. Al Qaissi si trovava a Tel al Hawa, a Gaza, ed era in auto con Ahmed Hananni, quando un cacciabombardiere israeliano ha sganciato un razzo che li ha centrati uccidendoli. Si può quindi parlare di un’esecuzione, di un omicidio mirato. 
E da lì è iniziata una notte di inferno per Gaza, dove l’aviazione israeliana ha lanciato raid a ripetizione, in risposta al lancio di alcuni razzi, in vari punti del capoluogo, uccidendo, nella sola nottata, 12 palestinesi e ferendone 25. Raid che non si sono fermati. Nella giornata di sabato sono continuati gli attacchi, facendo altri morti e feriti, con un bilancio in continua evoluzione. Attacchi e bombardamenti che hanno colpito civili inermi: un ragazzo di vent’anni è morto per le ferite riportate dal bombardamento del quartiere al Tuffah, a Gaza Est, insieme ad altre persone che sono rimaste ferite. Due passanti sono rimasti uccisi e un terzo gravemente ferito per un bombardamento vicino al Consiglio legislativo. Due case sono state distrutte dal bombardamento a Beit Lahia, a nord di Gaza, che ha prodotto altri due morti e diversi feriti. All’alba altri due palestinesi sono morti, uno vicino al Consiglio legislativo, l’altro era in un’auto civile a Deir al Balah. A mezzogiorno di sabato nella parte est di Khan Yunis un aereo ha preso di mira una motocicletta. Ci sono stati, è ovvio, anche attacchi ad obiettivi militari: alla sede delle Brigate Al Qassam e contro una postazione delle Brigate Al Naser Saleh a Rafah. 
Rosa Schiano, l’attivista italiana che da tempo vive a Gaza, posta continui aggiornamenti su Facebook. Questo è un suo post del pomeriggio di sabato: «Non è finita, gli attacchi continuano. Da poco tornata a casa, sono andata al funerale di una delle vittime in Jabalia.  Ho abbracciato la moglie mentre piangeva a dirotto, l'ho stretta forte nello strazio, sono andata poi allo Shifa Hospital, il capo del reparto di emergenza ci ha detto che 14 morti e 20 feriti sono arrivati allo Shifa, 4 di loro sono gravemente feriti. Israele ha usato armi non convenzionali, molti morti sono arrivati senza testa. Non sanno di che armi si tratti. E' arrivato poi in ospedale uno dei feriti da Shijaia, dove i soldati israeliani hanno aperto il fuoco contro i manifestanti dopo un funerale. Alcuni ragazzi si erano avvicinati al confine tirando pietre e i soldati hanno risposto sparando. Mentre ero per strada un'enorme esplosione, hanno colpito una  zona dove si trova un campo militare, ho visto ambulanze sfrecciare, ho saputo di tre feriti. Per il momento questi sono gli aggiornamenti». 
Questa è la cronaca dei fatti, nella giusta cronologia. Ad ora ci troviamo con il bilancio di alcuni feriti israeliani (quattro secondo alcune fonti, otto secondo fonti israeliane), e di 15 morti e 30 feriti palestinesi. Temiamo che purtroppo il bilancio possa aggravarsi. 
Ora, il racconto cronologico dei fatti ci narra una versione molto diversa da quella raccontata dai media e ci pone di fronte a un’altra realtà, altre responsabilità, e la sproporzione tra le vittime dei bombardamenti è un altro elemento di chiarezza, di tragica chiarezza, in questo ennesimo attacco alla popolazione civile di Gaza. 
Ci si può chiedere perché oggi si sia di nuovo scatenato l’inferno in questa piccola, martoriata, striscia di terra. A chi giova versare ancora sangue palestinese? Chi vuole spezzare la volontà di dialogo e il processo di unione dei palestinesi? Chi sistematicamente, impunemente, può calpestare il diritto internazionale? Chi ha interesse a schiacciare ogni passo verso un processo di pace? Ma quel che indigna oggi è anche l’occultamento, l’ennesimo occultamento della verità da parte della stampa occidentale, che si fa complice come sempre della criminale arroganza del governo israeliano. 
E’ forte  ormai il disagio da parte palestinese verso un’Europa debole che non prende alcuna posizione, che non riesce a far elevare una voce di dissenso nei confronti della politica del governo israeliano. Una situazione di stagnazione negoziale e di aggressione interna sui Territori Occupati e a Gaza. Una situazione ormai arrivata a un punto di non ritorno. Anche la pazienza palestinese ha un limite. E più di sessant’anni di pazienza ci sembrano veramente tanti. Troppi.

Federica Pitoni – Mezzaluna Rossa Palestinese-Italia

sabato 10 marzo 2012

Bella e combattiva manifestazione della FIOM

Bella e combattiva manifestazione
Stefano Galieni - www.controlacrisi.org


Maurizio Landini, iniziando il suo intervento dal palco nella magnifica giornata di sciopero e di mobilitazione della Fiom, ha voluto subito precisare:«Non ci interessa contarci! Che sia chi vede questa piazza piena a farlo, qui c’è oggi il paese migliore». Una giornata iniziata presto, con i pulmann che arrivavano nei parcheggi predisposte nelle periferie, i manifestanti che arrivavano in metro in una P.zza della Repubblica assolata e accogliente. Volantinando si ascoltavano i dialetti di tutto il Paese, si incontravano gli occhi e i volti di persone non rassegnate, che non si sentono isolate e che nella Fiom trovano quel luogo di democrazia che altrimenti è negato.
Quando, prima delle 10 il corteo è partito si è subito intuito che si trattava di una mobilitazione riuscita oltre le aspettative, in piazza non solo i metalmeccanici ma precari, studenti, lavoratori e lavoratrici di altre categorie, le forze politiche della sinistra (tantissime le bandiere della Federazione della Sinistra) e poi attivisti e simpatizzanti del movimento No Tav, quello per cui il Pd ha negato ai propri iscritti di partecipare al corteo. Una manifestazione pacifica e combattiva, il solo fatto che ne ha turbato il clima si era consumato prima della partenza, quando una squadraccia fascista ha aggredito e ferito 3 ragazzi che volantinavano davanti al proprio liceo per invitare a scendere in piazza con la Fiom. Imponente la presenza della FdS che dalle prime ore della giornata ha attrezzato due gazebo alla partenza e all’arrivo, per distribuire bandiere e per raccogliere le firme di una petizione in difesa dell’articolo 18 (www.federazionedellasinistra.com) e la cui presenza si notava sparsa per tutto l’enorme serpentone. Quando alle 11.15 il corteo aveva appena fatto ingresso a P.zza S.Giovanni la coda era ancora bloccata alla partenza e si attendeva l’ingresso dello spezzone studentesco partito dall’università. Ad aprire gli interventi dal palco il presidente della Comunità Montana di Val Susa Sandro Piano che ha immediatamente scaldato la folla rimproverando l’assenza del suo partito, del Pd e connettendo le ragioni del movimento No Tav a quelle che avevano portato in piazza la Fiom. Tante poi le voci di precari e di precarie, di studenti, di lavoratori e lavoratrici di altre aziende che stanno pagando la crisi e le scelte del governo vecchio come del nuovo. Vibrante l’appello del dirigente del sindacato metalmeccanico greco (Poem) Yannis Stefanopoulos, nitido e breve quello di un sindacalista di Pomigliano D’Arco che ha voluto ricordare la vicenda dei 3 lavoratori di Melfi che hanno avuto il coraggio di denunciare il comportamento della Fiat e a cui la magistratura ha dato ragione. Nelle conclusioni Landini è stato incisivo ed ha toccato numerosi aspetti della fase politica su cui era costruita l’ossatura della mobilitazione. Diritto al lavoro e alla democrazia a partire dai luoghi di lavoro, unità sindacale per non far divenire il sindacato un gendarme dell’imprenditore, modello di sviluppo alternativo ed ecologicamente compatibile, no alle grandi opere perché non sono foriere di modernità ma eludono uno dei problemi principali del Paese, l’assenza di un piano nazionale trasporti. Ne ha per tutti il segretario generale della Fiom, per chi ha scelto di non partecipare (ebbene si qui ci sono pericolosi metalmeccanici) per chi china il capo di fronte a Marchionne o al governo, per chi utilizza l’autoritarismo come modalità relazionale, per chi rifiuta la necessità di combattere la precarietà, chi non vuole una equa redistribuzione delle risorse, chi si oppone ad un reddito minimo di cittadinanza. Chiede alla politica di fare alla sua parte e afferma con orgoglio che per la Fiom non si torna a casa, non si accetta di essere tenuti fuori dalla fabbrica, si è pronti al referendum per abolire l’articolo 8, quello che permette di agire contrattualmente in deroga anche dalle leggi e chiede, in caso di mancato accordo nelle trattative che si apriranno lunedì di prepararsi anche allo sciopero generale, una proposta che si rivolge innanzitutto all’intera Cgil. Il convitato di pietra in piazza oggi era il Pd, tanta la delusione, la rabbia e il fastidio dei manifestanti al solo sentirne pronunciare il nome, segno di una rottura che rischia di pesare nei rapporti con l’intero mondo del lavoro. Oltre alla Fds, presenti anche IdV e SEL, tanto da far dichiarare al segretario del Prc Paolo Ferrero:«Bisogna sostituire la “foto di Vasto” con quella di Piazza S. Giovanni di oggi, perché questa piazza ha bisogno di una sinistra unita». Una proposta che dovrebbe far riflettere chi ancora crede possibile modificare la linea del Pd.

giovedì 1 marzo 2012

L'Economist boccia la TAV.

Anche "la Bibbia dei capitalisti" mette in dubbio la TAV



I treni ad alta velocità raramente conseguono i vasti benefici economici che i suoi promotori prevedono. Il governo inglese – l’ultimo ad essere ingannato da questa visione della modernità – dovrebbe ripensarci. In questo momento ovunque si parla di alta velocità. Sei paesi hanno investito grosse somme nei treni “pallottola”: Giappone, Francia, Germania, Spagna, e, più recentemente, l’Italia e la Cina. Australia, Portogallo e Indonesia stanno considerando nuove linee. E il governo britannico sta valutando piani per 32 miliardi di sterline (52 miliardi di dollari) per collegare Londra al nord dell’Inghilterra.
Primo assunto da cui partire è: non è vero che l’alta velocità porti sviluppo in periferia. Anzi, ad arricchirsi sono i nodi ferroviari, come dimostrano gli esempi lontani, ma simili, di Parigi e Tokyo:
In effetti, nelle economie più sviluppate i treni ad alta velocità non riescono a colmare i divari fra le regioni e, talvolta, li aggravano. Migliori collegamenti rafforzano i vantaggi di una città ricca situata nel punto centrale della rete: le ditte in regioni prosperose possono raggiungere un’area più grande, finendo per danneggiare le prospettive dei luoghi più poveri.
Anche in Giappone, dove corre la linea ad alta velocità di maggior successo commerciale, Tokyo continua a crescere più rapidamente di Osaka. Le nuove linee ferroviarie spagnole hanno ingrossato le imprese di Madrid a discapito di quelle di Siviglia. La tendenza in Francia è quella di trasferire le sedi centrali a Parigi a svantaggio di altre località.
Per non parlare del danno incalcolabile che viene portato alle zone che vengono saltate dalla TAV in nome di una maggiore rapidità di collegamenti:
Anche se qualche città ne trae benefici, i restanti luoghi al di là della rete ferroviaria ne soffrono: la velocità è raggiunta parzialmente, al costo di ridurre le fermate, cosicché aree già ben servite dai servizi esistenti si trovano nuove linee che le escludono. Zone della Gran Bretagna, per esempio, temono che una nuova cerniera di ferrovia creerà città di secondo livello fornite da un minor numero di treni più lenti.
Inoltre, se il circolo delle merci lungo l’Alta Velocità ferroviaria potrebbe non portare grandi vantaggi economici globali, il servizio dato ai viaggiatori risulta in media troppo gravoso e poco concorrenziale. In pratica, conclude l’Economist, si finisce per far viaggiare dei treni passeggeri vuoti, pagati dalle tasche dei contribuenti e dove solo pochi ricchi possono accedervi (per risparmiare i soldi dell’aereo). Una prospettiva non proprio edificante.
Infine, il giornale britannico getta la maschera ed assume il viso del No Tav più militante: la soluzione più razionale sarebbe lo sviluppo delle reti già esistenti. E fa davvero impressione leggere argomenti – solitamente bollati come retorica Nimby dalla stampa nostrana – in bocca da uno dei più osannati giornali liberal mondiali:
Allo stato attuale, per la maggior parte dei posti, i benefici marginali di queste fantastiche conquiste dell’ingegneria, tradotti in termini di tempi di percorrenza ridotti, vengono soppressi dai costi elevati. E i costi di finanziamento riducono i fondi che potrebbero essere disponibili per schemi più semplici, ma più efficienti.
L’aggiornamento delle linee esistenti, delle reti più lente, soprattutto nei paesi più piccoli, spesso ha maggior senso. La capacità può essere aumentata con treni più lunghi e piattaforme estese. Alcune spaziose carrozze di prima classe possono essere convertite in quelle più compresse di seconda classe; una politica dei prezzi può razionare la domanda più efficacemente nelle ore di punta. Un sistema segnaletico migliore può aumentare la velocità media dei viaggi. I treni non ad alta velocità in Gran Bretagna, ad esempio, sono già più veloci degli equivalenti di molti altri paesi. Alcuni treni che attualmente viaggiano a 125 miglia all’ora potrebbero andare più veloci se la segnaletica venisse aggiornata – probabilmente per i politici è più allettante inaugurare un nuovo futuristico servizio che togliere la copertura ad un nuovo pannello di segnaletica!
Davvero una serie di argomenti su cui molti pro-Tav dovrebbero riflettere bene.

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