domenica 11 novembre 2012

La crisi di sistema della Lombardia

Andrea Di Stefano e Roberto Romano
 www.perunaltralombardia.it

La situazione economica della Lombardia è lo specchio fedele di quella nazionale?


Le politiche di contenimento della domanda del governo nazionale, via avanzo primario crescente e contrazione dei redditi via aumento della pressione fiscale, sono il calice amaro che occorre bere per rilanciare il sistema economico?

Sono domande scomode, ma ineluttabili se vogliamo correttamente affrontare il tema di una nuova economia, economicamente, ambientalmente e socialmente, sostemibile.

Il primo risultato delle politiche di contenimento della domanda è quello di una riduzione del PIL nazionale del meno 2,4% per il 2012, con una proiezione governativa per il 2013 del meno 0,2%. La Lombardia segue il trend nazionale: meno 2,2% per il 2012 e meno 0,1% per il 2013. Proiezioni estremamente prudenziali che non considerano il moltiplicatore legato alla contrazione della domanda. Adottando un modello prudenziale, cioè quello indicato dalla Commissione Europea che indica nel 50% l’effetto macroeconomico delle misure finanziarie, ma utilizzando il moltiplicatore keynesiano, le stime di crescita per il 2013 assumono dimensioni diverse. Per l’Italia stimiamo una minore crescita del PIL per il 2013 del 2,2%, mentre per la Lombardia un meno 2,5% in ragione della sua particolare struttura economica (manifatturiera).

L’esito non deve sorprendere. Se la crescita della domanda effettiva ha un moltiplicatore del reddito più contenuto, in ragione della polarizzazione della domanda verso beni e servizi emergenti, il demoltiplicatore è certamente molto più efficace perché impatta su tutti i beni e servizi realizzati. Le previsioni Prometeia del III° trimestre del 2012 sono fin troppo accondiscendenti, e non prendono in esame il moltiplicatore Keynesiano. Infatti, il FMI, che utilizza una frazione del moltiplicatore keynesiano, indica per l’Italia una minore crescita per il 2013 del meno 1%.

In particolare si osserva una sottovalutazione dell’impatto economico degli investimenti fissi e, in particolare, degli investimenti in beni strumentali. Gli investimenti non sono direttamente legati ai tassi di interesse, anche se li condizionano, piuttosto alle aspettative degli stessi imprenditori di estrarre un profitto dai propri investimenti.

Se la Lombardia per il 2012 ha registrato un meno 6,9% di investimenti fissi lordi, il crollo della produzione di beni strumentali del meno 7,4%, per il III° trimestre 2012, è solo la prima avvisaglia di un calo per il 2013 ben più accentuato del 2012. L’esito non deve sorprendere. Utilizzando il modello di un maestro dell’economia italiana (Sylos Labini), l’effetto degli investimenti non cadono sull’anno corrente, ma sull’anno successivo. Per questo è lecito attendersi per il 2013 un ulteriore ridimensionamento degli investimenti e, ancor più grave, degli investimenti nei beni strumentali.

Ma l’aspetto appena considerato deve fare i conti anche con la specializzazione produttiva. Analizzando il commercio internazionale dei beni strumentali, si osserva che la Germania e la Cina, via IDE (investimenti diretti esteri), hanno sussunto una parte rilevante della produzione industriale, con tassi di utilizzo degli impianti sempre prossimi all’80%, contro una media della manifattura lombarda del 71%.

L’andamento della produzione industriale è lo specchio fedele dell’inizio di una caduta del reddito e della produzione equivalente a quella dell’inizio 2009. Infatti, il meno 5,5% di produzione industriale per il III° trimestre 2012 ha lo stesso segno del III° trimestre del 2008. Utilizzando lo stesso trend di quel periodo, per il 2013 possiamo aspettarci una contrazione della produzione industriale di 22 punti percentuali. Se consideriamo che oggi, fatto 100 il 2005, la produzione industriale è pari a 94,2, per il 2013 è possibile raggiungere un valore pari a 74 punti.

Le prime avvisaglie ci sono tutte. Il tasso di disoccupazione della Lombardia è del 7,5% per il 2012, con una proiezione Prometeia per il 2013 del 7,7%. In realtà la stima si fonda su un sentiero economico estremamente favorevole rispetto allo scenario internazionale. Per la Lombardia è possibile stimare un tasso di disoccupazione per il 2013 del 10%, e la differenza tra le proiezioni Prometeia e le nostre sono legate interamente al settore manifatturiero. Sarà infatti questo il principale esito della crisi del 2013, cioè il ridimensionamento dell’apparato produttivo manifatturiero lombardo.

Per queste ragioni sarebbe opportuno delineare delle politiche ecomomiche e industriali. Il problema non è la formazione professionale o universitaria. Oggi la qualità dell’offerta di lavoro è troppo alta rispetto la domanda delle imprese.

Se vogliamo offrire un lavoro buono alle donne, giovani e uomini è necessario modificare la domanda di lavoro, cioè la specializzazione produttiva.

domenica 28 ottobre 2012

No Monty Day: l'alternativa di sinistra c'è!

Francesco Piccioni 
su Il Manifesto



La battuta migliore circola tra chi guarda il cielo, da cui - contrariamente alle previsioni - non è caduta una sola goccia d'acqua. «Questo è un governo così ladro che pure dio, per non farlo contento, si è rifiutato di far piovere».
Oltre ai metereologi, hanno sbagliato alla grade anche i «professionisti dell'allarme», lungo la filiera che va da palazzo Chigi al Viminale, per scendere fino all'ultima redazione di provincia. Niente black blok, niente scontri, giornata di scorno per chi cerca solo sangue, sudore e polvere da sparo. L'allarmismo ha certo tenuto a casa un sacco di gente, memore di altre giornate e tensioni. Ma non troppa. E comunque quando i problemi reali premono, anche la «criminalizzazione preventiva» perde mordente. È stata perciò una manifestazione riuscita al di là delle più rosee attese degli organizzatori. E il perché è presto detto: c'era, e si vedeva, «organizzazione»; ossia lavoro, volontà, serietà, esperienza, quel pizzico di autodisciplina che aiuta nei momenti difficili.

Non è questione di «servizio d'ordine», di pettorine rosse e occhi aperti. Si è visto in piazza un senso, un ragionare comune che ha il governo come contraltare esplicito. È nato qualcosa. Un discorso sulle politiche economiche di Monti e Fornero, sulle «riforme strutturali» e sulle pretese di Confindustria e delle banche, che ha molto più corpo delle antiche giaculatorie «contro i padroni ed i banchieri». È un ragionamento critico su questa Europa, sul modo in cui viene costruita a tappe forzate e senza alcuna verifica democratica, a nessun livello. È l'emergere di proposte alternative che si pongono esplicitamente il problema della «credibilità», della fattibilità reale; non «il socialismo» in astratto, non una formula retorico.ideologica, ma qualcosa che si può fare e che magari va in quella direzione. Certo, non manca mai il gruppetto che si sgola a gridare «usciamo dall'euro»; ma lo sguardo di compatimento che in genere lo accompagna vale più di un documento critico.
Il gioco di questi tempi è «teso e tetro», ben pochi hanno voglia di far pura testimonianza. La dimensione «di movimento» c'è, è consistente, ma non è quella dominante. Lo spezzone dichiaratamente studentesco, per dire, aveva come punta più visibile e articolata i ragazzi napoletani di ClashCityWorkers; capaci di slogan creativi come «eat the rich», ma anche di gestire un sito di informazione strutturata, che spazia dall'analisi economica all'agitazione politica ragionata.
Sembrano insomma finiti gli anni '90 e il primo decennio del nuovo secolo, quando il solo pensare a unire le forze era tacciato di «vetero-partitismo». Chiunque abbia guardato questo fiume di persone con occhi aperti ha potuto vedere almeno quattro grandi blocchi largamente convergenti nella presa d'atto che si è aperta un'altra stagione, quella dei tagli senza fine e della demolizione del «modello sociale europeo». E che quindi «la politica» per come è stata intesa nell'ultimo ventennio - grandi aggregazioni elettorali con «programmi» sempre più vaghi per «conquistare il centro» e andare al governo a qualsiasi costo - non ha più ragione di esistere.
Se da un lato c'è «il montismo» e la gestione stile troika, non c'è più lo spazio per la «mediazione condizionante» e l'alleanza elettorale finto-indipendente. O si sta in quel gioco, applicando per filo e per segno le disposizioni di Bce, Ue, Fmi; oppure si dà vita, come in tutta l'Europa attraversata dalla crisi, a un'opposizione. Radicale nei contenuti, a «volto scoperto e mani nude». Se si vogliono rappresentare interessi sociali concreti, riconoscibili, bisogna scagliere quale strada si prende. Perché c'è un bivio deciso, davanti a noi, non più un intrecciarsi di sentieri dalle molte direzioni.
È la fine di ogni gauche plurielle. I tanti protagonisti di quella stagione che ieri si aggiravano per il corteo sembravano faticare a trovare il proprio posto. Chi ha deciso che vuol stare nel prossimo governo (in caso di vittoria del centrosinistra), non è venuto in piazza e ha fatto bene a starne lontano. Chi vuol aiutare a costruire un'opposizione chiara, era benvenuto; mettendo infine la sordina alle sempiterne polemichette «di sinistra», pur senza dimenticare nulla. In mezzo non c'è più uno spazio vero d'azione politica. E nessuna retorica può più costruirlo.
La mescolanza generazionale, infine, è apparsa totale. Barbe bianche e volti imberbi camminano di nuovo insieme. Semmai si nota qualche rarefazione nelle generazioni di mezzo, quelle che con cinismo impressionante Monti ha definito «saltate». Ma chi vuol giocare a fare il Renzi, a contrapporre giovani e «maturi», da queste parti non ha spazio.
È nato qualcosa e può svilupparsi perché ha già gambe minimamente solide. Comitato No Debito, Rifondazione, Usb e Cobas sono i pilastri di questa giornata. Ognuno, a suo modo, è un agire collettivo strutturato, non una massa scomposta o uno sciame. Di fronte al senso di «ineluttabilità» e impotenza seminato dalla distanza siderale tra «politiche della troika» e possibilità concrete di reazione, sarebbe del resto ingenuo attendersi un fermentare di iniziative che trova «per sua natura» un alveo comune. Essere un «soggetto istituzionale», un sindacato o un partito, è in queste condizioni un must, non più un handicap.
È stata una giornata davvero particolare. Speriamo sia solo la prima di una nuova stagione.

sabato 27 ottobre 2012

Da Berlusconi a Monti: la tecnica della conservazione

La pura tecnica della conservazione
Alberto Burgio su rifondazione.it

Se ne va? Non se ne va? Berlusconi è talmente inaffidabile che non sarebbe ragionevole azzardare pronostici. Ma forse non è nemmeno così importante saperlo.
Ancora un paio di anni addietro, non avremmo immaginato che il suo personale destino politico potesse apparire irrilevante. Berlusconi aveva il monopolio della rappresentanza di un composito blocco sociale e della direzione del centrodestra. Oggi è tutt'al più un comprimario, sempre meno influente, sempre meno ascoltato all'interno del suo stesso partito. L'insieme degli interessi che aveva saputo tutelare ha trovato un garante ben più autorevole. Se Berlusconi ha deciso di ritirarsi, non è soltanto perché i sondaggi dicono che la sua immagine è in declino. Medita un passo indietro anche perché la sua «rivoluzione» ha trovato il legittimo erede.
Mario Monti è stato in questi undici mesi uno straordinario interprete della rivoluzione conservatrice che da un quarto di secolo viene trasformando l'Italia nel segno della sovranità del capitale e dell'impresa. Lo è stato principalmente in forza di quattro fattori. Due esterni: i diktat della troika e la dittatura dello spread, che hanno legittimato la macelleria sociale, facendola apparire una dolorosa necessità. Due interni: l'investitura del Quirinale (che si rinnova fragorosamente ogni giorno) e l'assenza di un'opposizione parlamentare in grado di impensierire il suo governo. Un quinto fattore - lo scarto di credibilità personale che lo separa dal predecessore - fa di Berlusconi, paradossalmente, il secondo padre del governo Monti, accanto al presidente della Repubblica, che lo ha fortissimamente voluto.
Sta di fatto che in meno di un anno il governo dei pretesi tecnici ha fatto molto di più di quanto lo stesso centrodestra non avesse realizzato in tre anni e mezzo (per limitarci a questa legislatura). L'ennesimo colpo di maglio alle pensioni (senza alcuna giustificazione contabile); la cancellazione dell'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori; altre drastiche riduzioni dei redditi da lavoro; nuovi micidiali tagli dello Stato sociale. Il tutto salvaguardando caparbiamente profitti, rendite, alti redditi, interessi delle banche (e del Vaticano). Un capolavoro, dinanzi al quale il Cavaliere può recedere in tutta tranquillità, se non con orgoglio.
Oggi si guarda a Monti come al prossimo premier o al futuro presidente della Repubblica. Consideriamo entrambe queste ipotesi esiziali. Non soltanto per quanti - a cominciare dal mondo del lavoro e dalle giovani generazioni - pagano il prezzo più alto del malgoverno di questi decenni. Esiziale la persistenza di Monti sarebbe per la stessa democrazia italiana e per la Costituzione che la ispira.
Più volte il presidente del consiglio ha mostrato di considerare «quantità trascurabile» le istituzioni fondamentali della repubblica parlamentare. Ancora in questi giorni - tra un autoelogio e un esercizio di finta modestia - ha sostenuto che la strada del prossimo governo è già tracciata. Come dire che il Parlamento non serve a niente e che le elezioni sono un'inutile farsa. Anche se privo di tessera della P2, un personaggio del genere non tranquillizzerebbe alla guida del prossimo governo. Figuriamoci al Colle.
E diciamoci la verità. Checché ne pensi il diretto interessato, avere paracadutato l'attuale presidente del consiglio su palazzo Chigi non è un motivo di gratitudine nei confronti di Napolitano. Al quale ci permettiamo di ricordare che, certo, «tenere conto dell'esperienza Monti» nel prossimo futuro sarà inevitabile, ma non compete al presidente della Repubblica dire in che modo e traendone quali conseguenze.

  

Contro le pensioni di Fornero: al via la raccolta firme


di Roberta Fantozzi e Barbara Pettine*

Monti e Fornero hanno gettato nella disperazione centinaia di migliaia di persone, che hanno visto, nel giro di poche settimane, la propria prospettiva di vita messa radicalmente in discussione, dopo anni ed anni di duro lavoro. La cosiddetta riforma delle pensioni del governo dei tecnici, che allunga di sei anni e più il tempo di lavoro, è stato il più violento provvedimento antipopolare, contro le condizioni di vita di uomini e donne, dal dopoguerra ad oggi. Una campagna lampo passata sulla testa della gente, offerta sull’altare del recupero di «credibilità» in Europa e nel mondo dalla neonata unità nazionale del «dopo la caduta di Berlusconi», senza che ci fosse neppure la consapevolezza del disastro sociale che questa sedicente riforma apparecchia.
Il disastro sociale per chi, espulso dai luoghi di lavoro, alla pensione non arriverà mai, tanto più dopo la drastica riduzione dei tempi di erogazione degli ammortizzatori sociali, cui ha provveduto l’altra «riforma» Monti-Fornero: un dramma di cui i lavoratori «esodati», secondo l’orrido neologismo, non rappresentano che la punta dell’iceberg. Uomini e donne che hanno di fronte come sola possibilità, quella di tentare un impossibile riciclaggio contendendo ai propri figli/e un posto precario.
Il disastro sociale per le ragazze e i ragazzi, privati non solo della pensione futura, ma del lavoro presente, giacché è palese come il permanere forzatamente sul lavoro dei più anziani, diventi una barriera insormontabile per le nuove generazioni, in un paese in cui la disoccupazione giovanile è ormai al 35 per cento e l’occupazione globale si restringe per le politiche recessive.
L’accanimento contro le donne, su cui continua a scaricarsi la doppia fatica del lavoro produttivo e riproduttivo, in un’organizzazione sociale in cui il perdurante sessismo si intreccia alle storiche carenze del nostro sistema di welfare, che certo non migliorerà per i tagli feroci prescritti dal pareggio di bilancio oggi, dal Fiscal Compact domani. Penalizzate nell’accesso al lavoro, nelle retribuzioni, nella precarietà dei contratti, nella maturazione dei requisiti per la pensione. Se un operaio potrà «sperare» di andare in pensione a 62 anni, dopo 42 anni e un mese di lavoro, l’operaia non riuscirà ad andare prima dei 67 perché la sua vita lavorativa, fra aspettative non retribuite, part time, periodi più lunghi di attesa per entrare nel lavoro stabile e rientrarvi dopo le gravidanze, non le permetterà di cumulare i 41 anni utili alla pensione cosiddetta anticipata ( oggi solo il 2% delle pensionate del settore privato ha più di 35 anni di versamenti).
La controriforma non è nata dai problemi di tenuta del nostro sistema pensionistico, la cui sostenibilità è stata attestata fino ed oltre il 2060 sia dagli organismi europei che dal nucleo di valutazione del ministero del Lavoro, e i cui saldi tra entrate contributive e uscite effettive al netto delle tasse, sono sempre stati in attivo dal 1998, attestandosi oggi intorno all’1,8% del Pil, come ci ricorda instancabilmente Roberto Pizzuti.
Le motivazioni sono state invece quelle di fare «cassa» nell’immediato e arrivare in prospettiva allo smantellamento del sistema pubblico a favore dei fondi privati: per dare nuova linfa ai processi di privatizzazione e speculazione finanziaria. La controriforma delle pensioni è il primo provvedimento «costituente» del governo Monti. Al pari della manomissione dell’articolo 18 e del via libera ai licenziamenti arbitrari, al pari dell’articolo 8 Sacconi-Berlusconi che svuota il contratto nazionale e cancella i diritti del lavoro, la controriforma delle pensioni ridisegna nel profondo i rapporti tra le classi, le relazioni sociali, persino le antropologie. Ed è emblematica della logica perversa dell’iperliberismo per cui la risposta alla crisi risiede nell’ipertrofia delle politiche che la crisi l’hanno causata: distruzione del welfare e incremento delle disuguaglianze di pari passo alla precarizzazione del lavoro e all’aumento vertiginoso dell’orario di lavoro settimanale, annuo e nell’ arco dell’intera vita.
Per questo il referendum, per noi strettamente intrecciato a quelli sul lavoro. Crediamo sia ora che le persone si esprimano, che disperazione, rabbia, voglia di dignità e di rispetto per le proprie condizioni di vita, di lavoro e di reddito, si facciano sentire attraverso il protagonismo diretto dei soggetti. Contro chi ci ha sottratto il futuro, contro una riforma ingiusta e misogina che si accanisce contro i più deboli, la parola va restituita alle donne a agli uomini, che questo paese abitano, vivono e fanno progredire. Riprendiamoci il futuro. Abroghiamo la controriforma delle pensioni.
* comitato promotore del referendum abrogativo della riforma delle pensioni

mercoledì 3 ottobre 2012

Referendum: i quesiti punto per punto

I quesito punto per punto.
Tonino Bucci su Ombre Rosse.

La campagna per le prossime elezioni politiche è già cominciata. L'iniziativa referendaria sarà uno dei fronti caldi. Guai però a sminuire l'importanza dei temi, ciascuno dei quali viaggerà separatamente da quelli che saranno gli schieramenti e le alleanze alle prossime consultazioni politiche. La Federazione della sinistra è impegnata su due quesiti riguardanti il lavoro presentati già in Cassazione con altre forze politiche, ai quali si aggiunge il quesito sulle indennità parlamentari presentato dall'Idv – che la Fds sostiene – più un quarto quesito sulle pensioni del Prc in via di formulazione.
Nel pacchetto spiccano – si diceva – i due quesiti sul lavoro, uno sull'abrogazione dell'articolo 8 che oggi consente la deroga alla contrattazione collettiva, l'altro che punta invece al ripristino del vecchio articolo 18 e della norma della reintegra del lavoratore licenziato. A sostenere i due quesiti è un arco di forze che raggruppa Idv, Federazione della sinistra e Sel, oltre alla Fiom e singoli giuristi. Il Pd ha deciso di non sostenerli, ma singoli suoi esponenti hanno fatto un'altra scelta. È il caso, per esempio, di Sergio Cofferati, l'ex leader della Cgil che a difesa dell'articolo 18 impegnò la propria organizzazione nel memorabile corteo dei tre milioni a Circo Massimo nel 2002. Anche il senatore del Pd Vincenzo Vita ha deciso di sostenere le proposte referendarie sul lavoro.
Nel dettaglio il quesito sulla contrattazione collettiva chiede l'abrogazione dell'articolo 8 del decreto legge del 13 agosto 2011, n. 138, (titolato “Ulteriori misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo”), poi convertito in legge. Allora c'era ancora il governo Berlusconi, oggi c'è il governo Monti. Ma le posizioni non cambiano. Anche l'attuale ministro del welfare, Elsa Fornero, è una fan dell'articolo 8. La norma vigente permette in sostanza la stipula di contratti in deroga alla contrattazione collettiva nazionale.
Più articolato il quesito sull'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori (la legge 20 maggio 1970), che chiede di abrogare diverse modifiche introdotte dal ministro Fornero – sempre lei – per evitare la riassunzione dei lavoratori ingiustamente licenziati. Per questi è prevista solo la liquidazione con un indennizzo economico. L'intervento più significativo sarebbe sul quinto comma che attualmente stabilisce, nel caso di licenziamenti senza giusta causa, un semplice indennizzo economico da parte del datore di lavoro. I referendari propongono di abolire il seguente passaggio: «Il giudice, nelle altre ipotesi in cui accerta che non ricorrono gli estremi del giustificato motivo soggettivo o della giusta causa addotti dal datore di lavoro, dichiara risolto il rapporto di lavoro con effetto dalla data del licenziamento e condanna il datore di lavoro al pagamento di un'indennità risarcitoria onnicomprensiva determinata tra un minimo di dodici e un massimo di ventiquattro mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto, in relazione all'anzianità del lavoratore e tenuto conto del numero dei dipendenti occupati, delle dimensioni dell'attività economica, del comportamento e delle condizioni delle parti, con onere di specifica motivazione a tale riguardo».
Un terzo quesito referendario, presentato dall'Idv e sostenuto anche dalla Fds, riguarda la modifica parziale dell'attuale legge per la «determinazione» dell'indennità dei parlamentari. Nel dettaglio si propone la cancellazione dell'articolo due e del terzo comma dell'articolo 5 che recita: «L'indennità mensile e la diaria per il rimborso delle spese di soggiorno prevista dall'art. 2 sono esenti da ogni tributo e non possono comunque essere computate agli effetti dell'accertamento del reddito imponibile e della determinazione dell'aliquota per qualsiasi imposta o tributo dovuti sia allo Stato che ad altri Enti, o a qualsiasi altro effetto».
Il quarto quesito è in corso di stesura. Rifondazione - come spiega il responsabile lavoro e welfare Roberta Fantozzi in questo numero di Ombre Rosse – ci sta lavorando con l'aiuto dei giuristi. A giorni conosceremo il testo.

Referendum sul lavoro: articolo 18 e articolo 8

Il Partito della Rifondazione Comunista aderisce al comitato unitario per i referendum sul lavoro.
Abolire la riforma dell'articolo di 18 fatta Monti e abolire l'articolo 8 della manovra 2011 di Berlusconi!

Una grande battaglia per i lavoratori, per i precari e per i disoccupati

Alberto Lucarelli, docente e assessore della giunta De Magistris ha lavorato anche all’elaborazione del “manifesto di ALBA” (Alleanza Lavoro Beni comuni, Ambiente) Alba fa parte del comitato referendario e non solo in virtù delle parole contenute nel suo acronimo.

La democrazia diretta apre contraddizioni.
«L’acronimo è la conseguenza di una scelta forte. Quella di voler ridare voce alla Costituzione che rappresenta l’elemento più democratico di questo Paese ed in molti punti o è attaccata o disapplicata. La scelta referendaria fa parte di una richiesta di democrazia diretta laddove predomina una sistema di rappresentanza, bloccato da gruppi di potere, i partiti, che non tutelano le minoranze. Ci accorgiamo che c’è bisogno di spazi in cui i cittadini possano esprimere un parere vincolante al di là degli schieramenti politici. Non agiamo secondo la vecchia logica radicale, crediamo solo di poter determinare un miglioramento della democrazia».

C’è stata una reazione di alcune forze politiche estremamente dura nei confronti della scelta dei referendum, senza peraltro entrare nel merito delle questioni che il comitato promotore pone.
«Mah io credo che questa scelta di difesa di diritti crei di fatto un fronte comune. Questo ha fatto emergere contraddizioni e ipocrisie fra gli schieramenti. Ci sono state soprattutto le reazioni nervose del Pd. Eppure nei referendum non si fa altro che richiamare all’applicazione del concetto di lavoro come diritto da difendere. La difesa dei diritti dei lavoratori ma anche l’attuazione piena di alcuni articoli della costituzione (dal 36 al 39)».

Uno degli attacchi che è stato rivolto alla presentazione dei referendum è che si tratti solo di propaganda, visto che si terrebbero nel 2014 con un parlamento totalmente diverso.
«Non mi sembra che tale argomentazione abbia fondamento. I referendum hanno valenza politica anche se presuppongono un risultato “giuridico demolitorio”. Del resto la campagna per i referendum sull’acqua è durata 4 o 5 anni prima che si votasse e si vincesse. E avevamo a fare battaglie nei territori già dalla stagione 2001/2002. Nonostante nel frattempo siano cambiati parlamenti e governi».

Una campagna di opinione che è già partita definisce i referendum in maniera allarmistica perché mettono a repentaglio il lavoro svolto da Monti & company per “salvare il paese”.
«La sola risposta da dare è che il welfare è stata la più grande conquista del ventesimo secolo nei rapporti con la borghesia. Una conquista che non può dipendere dal debito pubblico. Che si colpiscano meglio le evasioni fiscali, che si ristabilisca una progressività reale nelle imposte. Negli anni Settanta le aliquote per i più facoltosi erano del 60% oggi sono del 43%, mentre sono cresciute quelle per lavoratori dipendenti e pensionati.».

Ora saranno fondamentali i comitati unitari nei territori per la raccolta firme. Alba che ruolo può svolgervi?
«Noi siamo una realtà nata da poco con una caratteristica fortemente magmatica. C’è di tutto fra i nostri sostenitori, iscritti a Sel, a Rifondazione alla Fds all’IdV e persone che ormai non si riconoscono in nessun partito. Questo potrebbe permetterci di far prevalere nelle nostre discussioni, la coerenza e l’attuazione dei contenuti. Stiamo costruendo una presenza dappertutto e aumentando i legami con le tante realtà vive del Paese. Ci è stata di molto aiuto l’iniziativa di Napoli della Rete dei Beni Comuni».

 Quando vi siete recati in Cassazione a depositare i quesiti, c’erano gli esponenti di forze i cui rapporti sono stati a volte difficili.
«Quando abbiamo presentato i referendum sull’acqua è stata una festa. L’altro giorno il clima era diverso ma cercheremo di renderlo migliore con il lavoro comune».

A tuo avviso di fronte a questa proposta di partecipazione, gli aventi diritto al voto sono oggi più consapevoli che in passato o prevale la resa e il disincanto?
«Siamo ad un momento di rottura perché c’è consapevolezza ma anche grande distacco dai partiti col rischio che prevalgano alcune patologie. Nel contempo ci sono forti spinte di socializzazione fra le persone. Si torna a discutere e a impegnarsi. Ieri si parlava ad un affollato dibattito con Paolo Ferrero, della contrapposizione fra lavoratori in entrata e in uscita. Uno schema per certi versi classico su cui lavorare seriamente».

Proporre i referendum a Napoli e più in generale in Campania, dove aumentano i licenziamenti e contemporaneamente il numero delle persone rassegnate a non aver lavoro, sarà dura.
«Ci lavoreremo partendo proprio dal fatto che i diritti di chi ha un lavoro da difendere e quelli di chi un lavoro lo cerca non vanno messi in contrapposizione».

martedì 19 giugno 2012

Riello: la crisi è solo un pretesto, serve legge contro le delocalizzazioni.



La Riello Spa è un'azienda leader in Europa nel campo dei bruciatori.
Nata nel 1922 i ha come sede principale Legnago in provincia di Verona e negli anni è cresciuta fino a diventare leader di mercato nel suo settore ed esporta in tutto.
L’azienda arriva in Valtellina sul finire degli anni 80 sull’onda della “legge Valtellina” insediando uno stabilimento nell’area industriale Talamona-Morbegno dove alla produzione di bruciatori, aggiunge anche la produzione di caldaie murali e a basamento, pannelli solari e la commercializzazione di condizionatori ed energie rinnovabili.
Negli ultimi anni la Riello Spa ha spostato progressivamente la produzione delle caldaie in Polonia, nonostante una dura vertenza che ha comunque portato alla chiusura dello stabilimento di Lecco (occupato per più di un mese dagli operai).

SOLIDALI
Non più di una settimana fa, l'azienda aveva raggiunto un'intesa sindacale sul nuovo premio di produzione; nella serata del 14 giugno ha invece comunicato alle rappresentanze sindacali il nuovo piano industriale che prevede, l’abbandono della produzione delle caldaie murali in Italia e quindi, l’intenzione di ridurre l’organico dello stabilimento di Morbegno da 242 a 64 con la collocazione di 178 lavoratori da subito in Cigs, preludio del licenziamento.
La Federazione di Sondrio del Partito della Rifondazione Comunista è solidale con le lavoratrice e i lavoratori della Riello, minacciati dalla profonda ristrutturazione aziendale il cui fine non dichiarato, ma intuibile è la progressiva chiusura dello stabilimento di Morbegno.
Rifondazione sta con i lavoratori che si preparano ad una mobilitazione, che auspichiamo la più ampia possibile, e che consenta di invertire la rotta rispetto ad un quadro fatto di continue chiusure e licenziamenti.

CRISI E DELOCALIZZAZIONE
La vicenda Riello è sintomatica di quel che avviene sul territorio della provincia attraversato da una pesante crisi del settore edile, da una progressiva dismissione degli ultimi pezzi di produzione industriale del settore metalmeccanico e dalla fine del settore tessile.
La crisi viene utilizzata come pretesto per delocalizzare le proprie produzioni in paesi dove pratiche di sfruttamento più accentuato consentono di lucrare margini di profitti più ampi.
La vicenda Riello (spostamenti di produzione in Polonia e chiusura stabilimenti in Italia fra cui quello di Morbegno) si inserisce esattamente dentro questo quadro.
Ai licenziamenti ed al massacro sociale in atto non è più possibile rispondere solo con il ricorso agli ammortizzatori sociali largamente insufficienti; come pure non è più accettabile che si conceda al padronato la totale assenza di pratiche di responsabilità sociale nei confronti dei lavoratori e del territorio dove operano.
Per questo da anni Rifondazione propone una legge che impedisca alle aziende italiane, a partire da quelle che hanno usufruito di finanziamenti e agevolazioni pubbliche, di praticare impunemente politiche industriali di delocalizzazione.

domenica 10 giugno 2012

Ombre rosse - Settimanale comunista

Nasce Ombre Rosse, settimanale comunista, ogni sabato su Controlacrisi.org


Il lavoro prende la parola: l'intervento di Ferrero

All'assemblea della FIOM "Il lavoro prende la parola" è intervenuto il segretario nazionale di Rifondazione Paolo Ferrero.


Il programma di sinistra

Francesco Piccioni da Il Manifesto del 10 giugno 2012


La concretezza delle tute blu non sopporta giri di parole fumose. E la politica italiana, anche a sinistra, è abituata da troppo tempo al tatticismo, agli «schieramenti elettorali» che prescindono dal «che fare?» una volta in Parlamento; senza più attenzione agli interessi materiali e politici dei «rappresentati». Specie per quanto riguarda i lavoratori.
La Fiom ha rovesciato l'ottica. «Non aspetteremo che i politici, in piena campagna elettorale, vengano a prometterci il possibile e l'impossibile». Li «chiamiamo noi» per dire con chiarezza cosa vogliamo e «chiedere risposte». Perché «non consentiremo che i lavoratori vadano a votare senza sapere come si potrà recuperare la profonda ingiustizia che anche in queste ore si sta legiferando».
Nella grande sala del Parco dei Principi, il segretario generale Maurizio Landini espone un vero e proprio programma di governo per una sinistra «necessaria», più che possibile. Fatto di punti concretissimi, che ribaltano come un guanto le politiche del lavoro e industriali applicate finora. È stato sciocco chi ha provato a descrivere l'appuntamento come la trasformazione di questo sindacato in una nuova forza politica. «Noi siamo un sindacato autonomo e indipendente, ma non indifferente», che «può parlare alla pari con tutti: imprese, partiti, governi». Un sindacato che da oltre un secolo è parte integrante della sinistra, ma non ha più un partito di riferimento.
«Vogliamo discutere di un programma alternativo a quello del governo Berlusconi, ma anche del governo Monti». Perché «la crisi è molto profonda e non se ne vede la fine; quindi «va avviata una fase costituente in cui tutti si rimettono in gioco».
Di conseguenza, mette giù una griglia di argomenti che devono selezionare gli interlocutori, testarne la serietà. Sarebbe stato logico che l'avesse fatto tutta la Cgil, ma ieri era presente e solidale solo uno dei segretari confederali, Nicola Nicolosi.
Legge sulla rappresentanza sindacale. L'unità sindacale sarebbe una buona cosa, ma quando non c'è - come oggi - i lavoratori debbono avere il diritto di scegliersi il sindacato e soprattutto di votare accordi e contratti che poi loro saranno chiamati a rispettare. Il rischio, altrimenti, è che le aziende si scelgano o si facciano il loro sindacato finto.
Cancellazione dell'art. 8. La «manovra d'agosto» di Berlusconi-Sacconi ha inserito una bomba a tempo nelle relazioni industriali, con questo articolo che consente agli accordi aziendali - firmati magari da sindacati di comodo - di andare «in deroga ai contratti e alle leggi». Anti-costituzionale, ma conservata da Monti.
No a questa riforma del mercato del lavoro. L'art. 18 è stato svuotato completamente, togliendo la possibilità reale del reintegro (al contrario di quanto sostengono sia il Pd che Susanna Camusso, ndr). Va ripristinato nella sua forma originaria ed esteso, perché da questo dipende il diritto del singolo lavoratore di poter aprire bocca e di fare il delegato senza timori. Va ridotto drasticamente il lavoro precario; introdurre il principio che a parità di lavoro e mansione ci deve essere parità di salrio e diritti.
Ammortizzatori sociali. Vanno estesi, non ridotti (come sta facendo il Parlamento); le risorse vanno trovate facendo pagare il contributo anche a quelle categorie economiche che oggi non hanno la cig, ecc. Reddito di cittadinanza. Un principio europeo che il nostro paese non ha mai reso attivo, che può garantire il diritto allo studio e ridurre il ricatto sul salario.
Pensioni. I lavori non sono tutti uguali; stare in fonderia o in corsia non è come fare il prof. universitario. Va riconosciuto il peso che hanno sulle aspettative di vita, altrimenti è una tassa sulla vita. Il «metodo contributivo» non può esser l'unico; già con Prodi si era fissato il criterio (non rispettato) di portare l'assegno pensionistico minimo almeno al 60% del salario di categoria. I soldi dei fondi pensione andrebbero investiti solo per rilanciare l'economia interna.
Fisco. Patrimoniale, progressività delle imposte, tassazione delle rendite finanziarie, combattere la criminalità nell'economia.
Occupazione. Ridurre l'orario di lavoro (come in Germania) per non perdere competenze.
Nuovo modello di sviluppo. Cosa, come, per chi produrre, e in modo ambientalmente sostenibile. Politica industriale. Non se ne parla più. Ma Finmeccanica (pubblica) vuol tenere solo la produzione militare e dar via tutto il civile avanzato (treni, nucleare, ecc). Riforma della scuola. Garantire parità di condizioni di partenza per aumentare la «mobilità sociale».
Europa. Dopo 20 anni, il sistema rischia di esplodere. Servono regole per la finanza, intervento pubblico: No al pareggio di bilancio in Costituzione.
E intanto ci si mobilita ancora. Il 13 e il 15 a livello territoriale (scioperi e presidi); il 14 sotto il Parlamento, a Roma, contro la riforma del mercato del lavoro e lo spacchettamento di Finmeccanica. Un programma da imporre con la lotta, insomma, non una lista di richieste a una politica distratta.

Un salto di qualità per Rifondazione


documento CPN del PRC del 9-10/6/2012

Un Salto di qualità

Il Consiglio Politico Nazionale di Rifondazione Comunista ringrazia tutti i compagni e le compagne che hanno messo tutto il loro impegno nella campagna elettorale delle amministrative e nella piena riuscita della manifestazione del 12 maggio. Non si tratta di un ringraziamento rituale ma della piena consapevolezza che la nostra forza risiede nella libera adesione e nel lavoro gratuito che migliaia e migliaia di compagni e compagne danno al nostro partito.
Il risultato della tornata elettorale e la drammatica situazione in cui versa il paese ci chiedono un deciso salto di qualità nel lavoro politico. Il risultato elettorale di tenuta e l’ottima riuscita della manifestazione del 12 maggio ci permettono di affrontare questo compito con maggiore serenità e con la necessaria determinazione.
Il dato elettorale.
Il voto amministrativo ha registrato un vero terremoto politico. Una ulteriore riduzione della partecipazione al voto. La proliferazione di liste civiche che hanno raccolto oltre il 35% del totale dei voti espressi. La forte avanzata delle Liste 5 stelle, in particolare nel centro nord. Il pesante arretramento della Lega Nord e del PdL (hanno perso 2/3 dei voti in relazioni alle ultime regionali). Il significativo arretramento del PD (ha perso 1/3 dei voti in relazione alle ultime regionali). La disarticolazione del centro. Il pesante arretramento delle forze che sostengono il governo Monti.
In questo contesto, la Federazione della sinistra ha avuto un risultato di tenuta, positivo tenendo conto del terremoto che è avvenuto, ma che segnala però la nostra inadeguatezza nell’intercettare il crescente disagio sociale.
Gli elementi di fondo che emergono sono due:
In primo luogo, il disagio sociale determinato dalla crisi e dalle politiche del governo, assume le caratteristiche di una complessiva critica del sistema dei partiti e del sistema politico. Questo elemento è sovra determinante le stesse differenze tra le forze politiche in particolare nel cento Nord, in un contesto in cui il più forte fattore di produzione di antipolitica e di forme populiste è proprio il governo Monti. Si tratta di una situazione che ha qualche superficie di contatto con la situazione tedesca , dove il partito dei pirati ha raccolto larghe parti di criticità giovanile e che si differenzia molto dai risultati ottenuti in Grecia, Francia e Spagna dalle forze della sinistra di alternativa. La richiesta di cambiamento radicale – che si esprime attraverso le culture che vi sono a disposizione nella società - è vissuta in primo luogo come la richiesta di rovesciamento del sistema dei partiti e solo in seconda battuta come utilizzo dei partiti della sinistra per cambiare l’esistente.
In questo contesto assistiamo alla disarticolazione delle forme in cui erano aggregate e definite le forze di centro e di destra.

La situazione attuale
Ci troviamo quindi in una situazione in cui la crisi economica si intreccia con la crisi sociale e con la crisi del sistema politico. Una crisi organica del sistema in cui tutto cambia e in cui in particolare vengono oggi messi in discussione gli strumenti tradizionali dell’agire politico. Ecco così che la critica della casta e della politica assume un aspetto totalizzante che mette in secondo piano il tema delle scelte di politica economica. Così appare più radicalmente antisistema chi critica i partiti piuttosto che chi critica le banche. Se – come abbiamo detto più volte - la crisi è una crisi costituente che determinerà una trasformazione sociale, culturale e politica della profondità di una guerra, stiamo assistendo ai primi violenti scossoni di questa grande trasformazione. La situazione si è messa in veloce movimento e decisiva è la nostra capacità di aggiornare passo passo la nostra posizione al fine di essere efficaci nella battaglia politica per determinare una uscita da sinistra dalla crisi.
Dal Congresso ad oggi abbiamo seguito una linea politica corretta che ha messo al centro l’opposizione al governo Monti, il tema della costruzione del partito sociale e delle lotte, l’unità a sinistra.
E’ però evidente che quanto abbiamo fatto è stato utile e corretto ma non è sufficiente. Siamo in una fase di guerra di movimento e non di guerra di posizione e quindi non è sufficiente tenere la posizione ma è necessario muoversi rapidamente. A partire da questa consapevolezza dobbiamo sviluppare la nostra azione politica al fine di ottenere quella efficacia nel rapporto di massa che è per noi decisivo. E’ infatti del tutto evidente che la pura prosecuzione dell’azione politica sin qui condotta non è sufficiente a raccogliere il disagio sociale su un progetto di alternativa.
La riprogettazione della nostra azione deve avere tre indirizzi di fondo:
Occorre partire dalla critica della politica per arrivare alla critica dell’economia politica. Si tratta di connettere i due terreni e non di pensare di sostituire il secondo al primo. La critica della politica è oggi così forte da assumere un carattere non aggirabile per rendere efficace la critica del sistema economico. Questa critica riguarda anche noi e siamo chiamati ad una risposta in avanti. La critica del sistema dei partiti ha infatti una dimensione tale da rappresentare un punto di non ritorno: il nodo è se questa critica approderà alla demolizione della democrazia in nome della gestione tecnica degli interessi forti oppure se sfocerà in una rinnovata democrazia partecipata.
Sul terreno della critica della politica come attività separata noi siamo stati ad oggi molto timidi. Anche le giuste intuizioni hanno avuto difficoltà a trasformarsi in pratiche politiche ed in una nuova identità adeguata alla fase. Assumiamo troppo spesso un tratto difensivo di chi ha giustamente paura che venga gettato il bambino con l’acqua sporca ma in questo modo rischiamo di avere una pratica politica poco efficace. Basti pensare al tema della corruzione su cui non abbiamo insistito abbastanza, delle retribuzioni degli eletti e dello stesso tema del finanziamento pubblico dell’attività politica, che abbiamo accettato si restringesse al finanziamento pubblico dei partiti. Basti pensare alla Federazione della Sinistra che abbiamo proposto e praticato con l’intento di intrecciare pratiche sociali, culturali e politiche ma la cui realizzazione concreta non è che una copia sbiadita dell’obiettivo che ci siamo posti. Non è in primo luogo un problema di linea politica ma di forme concrete di un processo di effettiva riaggregazione della sinistra.
Il primo terreno di riflessione, ricerca ed azione riguarda la costruzione di un effettivo spazio pubblico della sinistra che faccia i conti fino in fondo con la critica della politica e sia portatore di una forte critica dell’economia politica. Occorre uscire da ogni politicismo per avviare un processo costituente di una sinistra di alternativa e di una terza repubblica basata sulla democrazia partecipata. Questo è l’obiettivo centrale che ci poniamo, che poniamo ai compagni e alle compagne con cui abbiamo costruito la Federazione della Sinistra, che poniamo al complesso delle forze e degli uomini e delle donne che vogliono costruire una sinistra antiliberista nel nostro paese. La costruzione di un processo inclusivo e partecipato, che allarghi il terreno della partecipazione politica unitaria a sinistra, la costruzione in Italia del corrispettivo di Syriza, del Front de Gauche, di Izquierda Unida è l’obiettivo fondante il nostro progetto politico, a cui subordinare ogni tattica politica e su cui lavorare nei prossimi mesi.
In secondo luogo dobbiamo rafforzare enormemente la nostra capacità di produrre una demistificazione delle spiegazioni dominanti della crisi e delle ricette che vengono messe in campo e nello stesso tempo dobbiamo avanzare una proposta compiuta e comprensibile di una politica economica radicalmente alternativa. In questo quadro decisivi sono i terreni della formazione e della elaborazione partecipata del programma per uscire a sinistra dalla crisi.
In terzo luogo dobbiamo riorganizzare il partito al fine di renderlo più efficace nella costruzione del conflitto e nella costruzione delle pratiche mutualistiche e del partito sociale. La nostra risposta alla critica della politica non deve concedere nulla ad una idea di delega al leader o alla personalizzazione della politica. Noi dobbiamo costruire una risposta alla critica della politica basata sull’autorganizzazione dei soggetti sociali su tutti i terreni: sociale, culturale, politico. Questa è la frontiera che oggi deve porsi un partito comunista per essere protagonista dello scontro sociale.
A tal proposito individuiamo i seguenti terreni di sviluppo del concreto lavoro politico:
1) Prosecuzione e intensificazione della mobilitazione per impedire la riforma del lavoro, la manomissione dell’articolo 18 e proponendo il reddito sociale. Occorre determinare la visibilità a livello di massa della nostra ferma opposizione, annunciando il referendum su queste norme.
2) Costruzione di una campagna per abolire l’IMU e sostituirla con la Patrimoniale.
3) Costruzione di una campagna contro il Fiscal Compact con l’obiettivo di impedirne l’approvazione a parte del Parlamento.
4) Costruzione di una bozza di programma da far discutere nel corso dell’estate e su cui costruire un confronto largo con le forze della sinistra di alternativa e a livello di massa.
5) Lancio nel mese di luglio di una campagna sulle emergenze sociali e democratiche con la raccolta di firme su 3 leggi di iniziativa popolare su cui raccogliere le firme durante l’estate.
- Politiche pubbliche per:
la creazione diretta da parte pubblica di un milione di posti di lavoro in settori ad alta intensità occupazionale, nel riassetto del territorio, nell’ efficientamento energetico degli edifici e in un piano di “piccole opere”, in sinergia con gli enti locali e dentro la definizione di meccanismi partecipativi di indirizzo e controllo;
il rilancio di un intervento sul terreno delle politiche industriali in particolare attraverso un piano per la mobilità sostenibile (cantieristica, trasporto ferroviario, trasporto pubblico locale, mobilità privata) e lo sviluppo delle energie da fonte rinnovabile.
- Istituzione del reddito sociale, secondo il modello della risoluzione europea del 20 ottobre 2010 sul reddito minimo garantito, volta ad affermare la necessità che tutti gli stati adottino norme che assicurino almeno il 60% del reddito mediano alle persone a rischio di esclusione sociale. Campagna da sviluppare assieme alla raccolta di firme sull’ICE europea, che siamo impegnati a far sostenere a tutto il partito della Sinistra Europea.
- Inserimento in Costituzione dopo l’approvazione della modifica dell’articolo 81, dell’obbligo di destinazione di una quota fissa di risorse derivanti dalle entrate dello Stato, delle Regioni, dei Comuni, alla garanzia diretta o indiretta dei diritti sociali, secondo il modello della Costituzione brasiliana (proposta Ferrara).
- ripristino di un corretto sistema pensionistico pubblico che superi riforma Monti.

6) Apertura di una campagna referendaria, con la costruzione di Comitati referendari il più ampi possibile e prevedendo la raccolta di firme nel corso del 2013, su:
- il ripristino dell’articolo 18
- l’abrogazione dell’articolo 8 della manovra di agosto del governo Berlusconi.
- L’abolizione delle tipologie lavorative più precarizzanti.

giovedì 3 maggio 2012

Appello per la manifestazione nazionale del 12 maggio contro Monti


APPELLO
Mai come in questo momento la Costituzione della Repubblica rischia di essere travolta a partire dall’articolo 1: “L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro”.
Il valore e la natura stessa della democrazia e dei diritti del lavoro sono infatti gravemente sviliti da controriforme e manovre economiche inique, esplicitamente dettate da poteri politici e finanziari esterni al sistema istituzionale del nostro Paese.
Il Governo Monti, pur formalmente legittimato dal sostegno dalla maggioranza trasversale di un Parlamento ampiamente logorato nella propria rappresentanza e credibilità, a partire dalle stesse modalità elettorali che lo hanno espresso, agisce al di fuori di un mandato popolare.
L’introduzione del vincolo del pareggio di bilancio subordina l’esigibilità dei diritti sociali e alla salute, all’istruzione, alla previdenza e all’assistenza alle “superiori” ragioni del mercato.
La riforma del lavoro, con lo svuotamento dell’articolo 18 e la sostanziale liberalizzazione del lavoro precario, segna un salto di qualità nel dominio e nella ricattabilità del lavoro i cui diritti sono già in via di destrutturazione per l’attacco portato dal governo Berlusconi alla contrattazione nazionale e alla democrazia sindacale.
Queste politiche sono tanto inique socialmente, quanto recessive e fallimentari sul terreno economico, e stanno portando il paese in un baratro senza precedenti.
Opporsi a queste politiche e concorrere alla costruzione di un modello sociale ed economico alternativo è pertanto dovere di ogni cittadina e cittadino democratici: è il compito urgente che abbiamo tutti noi in Italia ed in Europa.
Un’alternativa che contrasti effettivamente la speculazione, usata insieme al debito contratto dagli Stati per salvare speculatori ed affaristi, come una clava per distruggere i diritti sociali.
Un’alternativa volta a redistribuire la ricchezza, a fronte della crescita scandalosa delle disuguaglianze, ad aumentare salari e pensioni, istituire il reddito sociale, riqualificare ed estendere il sistema di welfare.
Un’alternativa che si fondi sulla centralità dei diritti del lavoro, riconverta le produzioni nel segno della sostenibilità ecologica, investa nella conoscenza e nella cultura, ampli la sfera dei beni comuni sottratti al mercato, riqualifichi il pubblico a partire da un nuovo modello di democrazia e partecipazione.
Un’alternativa all’insegna di politiche di pace e cooperazione contro le logiche di guerra con la drastica diminuzione delle spese militari.
Per queste ragioni, facciamo appello a scendere in piazza il 12 Maggio a Roma: contro il governo, per difendere la democrazia, i diritti delle lavoratrici e dei lavoratori, la Costituzione.
Aderisci all’appello, scrivi a roma12maggio@gmail.com oppure clicca qui.

sabato 21 aprile 2012

Comunicato di solidarietà a Maffione


Esprimiamo la nostra solidarietà al compagno Daniele Maffione per gli attacchi e le minacce ricevute per il suo lavoro come responsabile antifascismo dei Giovani Comunisti.
Gli insulti ricevuti dai sedicenti "antimperialisti" dimostrano la necessità di combattere ogni ambiguità. L'estrema destra cerca di trovare nuovi adepti indossando un travestimento rivoluzionario, facendo la voce grossa contro le banche e contro gli imperialisti, ma dietro questa maschera nascondono la diffusione di idee deliranti come le teorie fasciste sul signoraggio e l'odio per l'intero popolo ebraico spacciato come solidarietà alla causa palestinese.

Da questi signori non accettiamo nessuna lezione e continuiamo la nostra lotta per il socialismo e per la solidarietà tra i popolo

Segreteria del PRC - Federazione provinciale di Sondrio

giovedì 12 aprile 2012

Guida rapida alla riforma del lavoro

Dal sito della campagna Giovani NON+ disposti a tutto


Quanto incide nella vita di un precario.

Istruzioni per l’uso.
Stiamo commentando il documento che il Ministro Fornero ha presentato al Consiglio dei Ministri, per questo molte informazioni sono ancora generiche e.. passibili di modifica.
NOTA BENE la lettura della guida può risultare complicata vista la giungla contrattuale che permane nel nostro sistema…. ci scusiamo per il disagio, vi sembrerà strano, ma dopo tanto blaterare di contratti unici sono rimaste tutte le tipologie contrattuali (!)
Quindi vediamo contratto per contratto cosa ci guadagni e..  cosa ci perdi.

Per chi accede al lavoro

-Si individua nel contratto di apprendistato il canale privilegiato di accesso al lavoro per i giovani.
-Si punta a rafforzare la finalità formativa del contratto di apprendistato: viene innalzato il rapporto minimo tra apprendisti e lavoratori qualificati e sarà prevista la certificazione nel libretto formativo di quanto svolto nel periodo di apprendistato.
-Si introduce inoltre un vincolo per evitare che le imprese prendano nuovi apprendisti senza stabilizzare coloro che hanno concluso il periodo di apprendistato (si parla di almeno la metà nell’ultimo triennio).
-Si interviene però molto poco nell’evitare la concorrenza di forme di lavoro sottocosto, a partire dall’uso improprio degli stage. La volontà dichiarata dal Ministro di impedire il ricorso allo stage nei periodi successivi alla conclusione del percorso di studi si è trasformata in un generico impegno a prevedere “linee guida per la definizione di standard minimi di uniformità”.

Il nostro giudizio: non c’è alcuna assicurazione che il contratto di apprendistato venga utilizzato al posto delle forme precarie e si fa ancora troppo poco per garantire che sia uno strumento reale di formazione e accesso al lavoro.


Per chi ha un contratto di lavoro dipendente a termine

Si introduce una nuova regolamentazione teoricamente finalizzata a contenere gli abusi dei contratti a termine (contratto a tempo determinato, contratto intermittente o a chiamata, contratto in somministrazione, contratto di staff leasing..)
-Il datore di lavoro pagherà una quota maggiore di contributi (+1,4%) che andranno a finanziare gli ammortizzatori sociali (la nuova ASPI), a meno che non si tratti di lavoro stagionale o sostituzione di personale. Questo dovrebbe rendere meno conveniente l’utilizzo di queste forme di contratto e incentivare la conversione a tempo indeterminato, poiché parte di questi contributi viene resa all’impresa una una volta stabilizzato il lavoratore.
-Il tempo massimo, comprese proroghe e rinnovi, di un contratto a tempo determinato è tornato ad essere 36 mesi. Inoltre rispetto alla normativa precedente si considera nei 36 mesi anche eventuali periodi in somministrazione.
-Si allunga la distanza tra un contratto a termine e quello successivo (60 giorni o 90 giorni a seconda se il contratto è inferiore o superiore a 6 mesi, prima era 20 giorni e 30 giorni): quindi sarà più difficile eludere la normativa attraverso nuovi contratti, una volta terminati i 36 mesi.
-Si raddoppia il termine imposto dal collegato lavoro per consentire al lavoratore di fare ricorso su un contratto a termine illegittimo (da 60 a 120 giorni).
-Le novità non sono tutte positive: fino ad oggi per poter attivare un contratto a termine il datore di lavoro deve indicare le “causali” che ne giustificano l’utilizzo, con la riforma non sarà più necessario indicare le causali per il primo contratto.
-Nel mondo dei contratti a termine esiste anche il lavoro a chiamata (il datore di lavoro ti chiama quando ha bisogno..). Con la riforma si interviene soltanto prevedendo l’obbligo di effettuare una comunicazione agli uffici del lavoro prima di attivare il contratto, per consentire verifiche su eventuali irregolarità.
-Sul lavoro in somministrazione (sia quello a tempo determinato che indeterminato) non ci sono particolari cambiamentiViene eliminata la possibilità di sottopagare i soggetti svantaggiati e percettori di ammortizzatori. Questo provvedimento si è reso necessario poiché il Governo ha recentemente eliminato le causali per assumere in somministrazione questi soggetti: il mix, come avevamo denunciato, avrebbe potuto essere micidiale!
Il nostro giudizio: alcuni interventi sono positivi, anche se non risolutivi dell’abuso dei contratti a termine. L’eliminazione della causale è una gigantesca contraddizione e rischia di vanificare le cose positive. Infine non viene cancellato il lavoro a chiamata e di fronte ad un lavoro dichiaratamente usa e getta l’obbligo di comunicazione amministrativa appare ridicolo.
Stesso discorso per il contratto di somministrazione: non c’è nessun miglioramento e non viene cancellato lo staff leasing (somministrazione a tempo indeterminato) che ancor di più oggi può diventare la frontiera delle aziende che vogliono esternalizzare presso le agenzie interinali i propri lavoratori.


Per chi ha un lavoro a progetto, a partita iva, in associazione in partecipazione, con il voucher

-Per quanto riguarda il contratto a progetto si dichiara di puntare ad una definizione più stringente di progetto per evitare il ricorso a questo contratto in sostituzione del lavoro dipendente; in questa direzione si elimina il concetto di programma di lavoro e la possibilità per il committente di recedere prima della conclusione del progetto.
-Sempre in questa direzione si limita questa tipologia a mansioni che non siano esecutive o ripetitive e ad attività che non siano analoghe a quelle di un dipendente (fatte salve elevate professionalità….). Tali indici possono rilevare l’assenza di progetto e quindi in caso di ricorso al giudice la conversione del contratto di lavoro a tempo indeterminato.
-Per quanto riguarda la collaborazione con partita iva si introduce alcuni criteri per identificare i casi in cui il ricorso diventa impropriamente coordinato e continuativo: 6 mesi massimo durata della prestazione, 75% dei corrispettivi fatturati dallo stesso committente, postazione di lavoro presso la sede del committente. In caso di presenza di uno di questi indici si configura un utilizzo improprio della partita iva e quindi è possibile ricorrere al giudice per ottenere il riconoscimento del rapporto di lavoro dipendente a tempo indeterminato.
-Per quanto riguarda l’associazione in partecipazione i criteri sono molto più chiari e stringenti: questo contratto d’ora in poi sarà utilizzabile soltanto tra familiari entro il 1° grado o coniugi.
-Per quanto riguarda l’utilizzo di buoni lavoro (o voucher) si parla di un generico impegno a restringere il loro campo di utilizzo.
-Infine si punta a limitare la convenienza economica di queste tipologie uniformando i contributi a quelli dei dipendenti (per chi è iscritto alla gestione separata INPS si passa dal 27% si arriva al 33% nel 2018). Questa è una grande beffa, poiché come accaduto in passato, saranno i collaboratori a pagare questo aumento attraverso la riduzione dei propri compensi che come noto non sono vincolati ai minimi retributivi che valgono per i lavoratori dipendenti.
Per le partite iva ancora peggio infatti i contributi vengono tutti versati la prestatore e non c’è alcuna ripartizione con il committente.
Il nostro giudizio: i criteri scelti per evitare l’utilizzo improprio di collaborazioni e partite iva sono deboli, perché ancora troppo ambigui (che significa parlare di elevate professionalità nel contratto a progetto? Come identificare i 6 mesi nelle prestazioni a partita iva visto che non esiste un contratto scritto?) e soprattutto utilizzabili esclusivamente ex post attraverso il ricorso al giudice, che spesso risulta una strada difficilmente percorribile per i collaboratori.
Bisognerà inoltre valutare quale effetto deterrente potranno avere i controlli dei servizi ispettivi, considerato che le scarse risorse umane destinate a questa attività ci rendono poco ottimisti..).
Se questi punti rappresentano un passo in avanti di cui bisognerà valutare l’effettiva efficacia
l’aumento dei contributi, senza aver introdotto un livello minimo di compenso collegato ai contratti nazionali di lavoro, è un grave peggioramento nella condizione dei parasubordinati e dei prestatori a p.iva. Il costo aggiuntivo con tutta probabilità sarà pagato dai lavoratori di tasca propria, vedendo ridotti i già miseri compensi.


Per i precari che perdono il lavoro

Viene introdotta l’ASPI il nuovo sussidio di disoccupazione.
-Al contrario di quanto annunciato la platea a cui sarà destinata l’ASPI è sostanzialmente la stessa di prima. Le uniche tipologie a cui l’ASPI viene estesa rispetto alla vecchia indennità sono gli apprendisti e gli artisti. Rimangono fuori collaboratori a progetto, assegnisti di ricerca, partite iva etc..
-Anche i restrittivi requisiti di accesso rimangono gli stessi: 2 anni di anzianità assicurativa INPS e almeno 52 settimane di contribuzione nell’ultimo biennio.
-I nuovi criteri di calcolo rendono l’importo dell’ASPI quasi sempre superiore rispetto alla precedente indennità; la durata sarà di 12 mesi per chi ha meno di 55 anni e 18 mesi per gli altri.
-La MINI-ASPI invece dovrebbe occuparsi dei trattamenti brevi e assolvere il compito della precedente indennità a requisiti ridotti. La platea di tipologie destinatarie è la stessa dell’ASPI i requisiti di accesso sono meno restrittivi (almeno 13 settimane di contribuzione nell’ultimo anno) ma ovviamente la durata del trattamento è molto inferiore (la metà dei mesi di contribuzione nell’ultimo anno).
-Per le figure escluse dall’ASPI e dalla MINI-ASPI (collaboratori, p.iva etc…) “si rafforzerà e porterà a regime” il meccanismo una tantum oggi previsto (attualmente l’una tantum prevede la corresponsione del 30% di quanto percepito nell’ultimo anno, con requisiti di accesso ristrettissimi e molto selettivi).
Il nostro giudizio. La tanto sbandierata universalità nella nuova ASPI è una palese truffa. Infatti i requisiti di accesso (2 anni e 52 settimane) rimangono così restrittivi da lasciare fuori i più giovani, ovvero coloro che lavorano da poco oppure non possono sommare periodi con diverse forme di lavoro (solo la MINI-ASPI sarà accessibile per chi ha una bassa anzianità). Inoltre permane l’esclusione dei lavoratori a progetto, assegni di ricerca, partita iva etc.. ovvero dei lavoratori più esposti. La riproposizione dell’una-tantum conferma un modello che ha il sapore dell’elemosina e che discrimina in maniera sbagliata tra diverse tipologie di lavoro.


Per le giovani donne

Si dichiara di introdurre provvedimenti contro la pratica delle dimissioni in bianco; si prevede un congedo di paternità obbligatorio di almeno 3 giorni; si prevede l’erogazione di un voucher per i servizi di baby-sitting per gli 11 mesi successi all’astensione obbligatoria (al posto dell’astensione facoltativa), il cui importo dipenderà dai parametri ISEE della famiglia.
Il nostro giudizio. Non ci si spreca!! Seppur si tratta di un segnale che va nella direzione giusta non ci si spreca ad introdurre un congedo obbligatorio di soli 3 giorni…Poi ci pare contraddittorio prevedere il voucher per i servizi di baby-sitting e contemporaneamente mettere in ginocchio il welfare comunale e ridurre l’offerta dei nidi pubblici.
Rispetto al contrasto alle dimissioni in bianco vedremo l’efficacia del nuovo testo, per ora viene affermato che la legge 188 (approvata e subito abrogata) era per le imprese troppo onerosa!!!


Per chi ha un contratto part-time

-Si introduce la facoltà di ripensamento (per motivi personali che la legge dovrà stabilire) per il lavoratore o la lavoratrice che vogliano modificare la collocazione temporale della propria prestazione lavorativa.
-Inoltre il datore di lavoro che vuole modificare la collocazione temporale della prestazione del lavoratore in part time (per i part time verticali o misti) dovrà effettuare una comunicazione all’ufficio del lavoro, così da consentire eventuali controlli volti a sanzionare l’utilizzo irregolare di questa forma
Il nostro giudizio. Si tratta di norme positive poiché attualmente il datore di lavoro può modificare arbitrariamente la collocazione temporale della prestazione del lavoratore e della lavoratrice part time (attraverso l’uso delle così dette “clausole elastiche”). Questo ha reso difficilmente conciliabile il lavoro part time con altre attività o con altri tipi di impegni privato.


Per chi è in cerca di occupazione

……………..
Il nostro giudizio. Su questo non c’è proprio nulla, nessuno straccio di politica industriale, nessun investimento, nessun progetto di innovazione e sviluppo… eppure il Ministro ha affermato che la riforma del lavoro ridurrà la disoccupazione fino al 4% (chissà come!).
A meno che non si pensi che eliminare l’art.18 moltiplichi posti di lavoro, su questo la fantasia non ha avuto limiti…
Inoltre va segnalato che nella riforma ci sono ben due paragrafi che si occupano di politiche attive per chi cerca lavoro e servizi all’impiego, il cui contenuto purtroppo è piuttosto generico a parte il giusto principio di raccordare politiche passive e attive (cioè trattamento di disoccupazione e servizi per la ricerca di lavoro).
Sarebbe bello se questo significasse un sussidio anche per i giovani in cerca di prima occupazione, così come accade in tutti i paesi europei, oltre all’accompagnamento che dovrebbero fare i centri per l’impiego.

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