giovedì 30 dicembre 2010

La FIOM convoca lo sciopero il 28 gennaio, per i diritti di tutti



di Fabio Sebastiani
Sciopero di otto ore il 28 gennaio, una raccolta capillare di firme in difesa della libertà sindacale «per tutti» e un appello alle imprese a non «seguire la Fiat».
La “Federazione impiegati operai metallurgici” risponde così all’accordo separato di Mirafiori. Ieri, mentre a Roma veniva messa la “pietra tombale” su Pomigliano d’Arco, completando l’accordo di giugno con la parte contrattuale, il Comitato centrale decideva di inaugurare il 2011 con una lunga serie di “feste di piazza” (102 voti a favore e 29 astenuti). A febbraio, poi, l’assemblea nazionale dei delegati che tirerà le somme.
Le mobilitazioni saranno una per ogni regione d’Italia che deciderà di protestare non solo contro l’odiato Sergio Marchionne, ma contro l’attacco al contratto nazionale e ai diritti scritti nella Costituzione italiana. Insomma, sarà il primo passo di quello sciopero generale che la Cgil si ostina a non convocare e che la Fiom continua ad ispirare.
La stessa presa di posizione dello Spi-Cgil, che all’indomani dell’intervista della segretaria generale della Cgil Susanna Camusso sulle pagine di Repubblica, a fianco delle tute blu testimonia di una situazione nella confederazione di Corso d’Italia che va lentamente mutando.
«Siamo oltre il puro accordo separato», sottolinea il segretario generale della Fiom Maurizio Landini aprendo la conferenza stampa a margine dei lavori del Comitato centrale. E non ha tutti i torti. Dopo il fallimento della strategia di contenimento della Fiat che faceva perno su un ruolo più determinato da parte della Confindustria, e dopo la sostanziale tenuta di Berlusconi, oggi la Cgil si trova a dover dipanare una matassa ben più complicata.
Il quadro, dopo le firme di Mirafiori, è due spanne oltre lo stesso accordo separato del gennaio del 2009. L’esempio Fiat, che in un colpo solo peggiora sia le condizioni di lavoro che la stessa agibilità sindacale, potrebbe essere seguito da altre aziende: prima quelle del settore automotive, poi dalle altre grandi aziende (Eni, Finmeccanica) e, infine, dagli altri settori in difficoltà a causa della crisi economica. Di fronte a un accordo che, alla fine, cancella la rappresentanza sindacale, e quindi la possibilità stessa, come sottolinea con decisione lo stesso Landini, di trovare «una mediazione» tra due parti avverse, non c’è da arzigogolare troppo. «Quell’accordo è un pericolo per il nostro paese», dice Landini. E a chi obietta che uno sciopero generale metterebbe in difficoltà Federmeccanica, che non ha le stesse posizioni della Fiat, il leader della Fiom risponde che la Fiom le sue proposte sulla rappresentanza le aveva già fatte. E la risposta è stato l’accordo di Mirafiori. «Federmeccanica non è d’accordo con la Fiat? Lo dicesse apertamente», aggiunge Landini. La disponibilità ad innovare da parte dei metealmeccanici della Cgil c’è, ma ora quello che si sta palesando è uno scontro politico bello e buono. Giorgio Cremaschi, presidente del Comitato centrale della Fiom, non risparmia nulla a Cisl e Uil. «Non è mai successo dal ’45 ad oggi che un sindacato italiano firmasse l’esclusione di un altro sindacato. È una macchia indelebile sulla storia di Cisl e Uil. Per noi non contano più niente. Sono fuori dalla cultura democratica sindacale dell’Italia costituzionale».
Tra i temi caldi al Comitato centrale, la posizione da tenere sul referendum a Mirafiori. Alla fine è passata la tesi di lasciare un certo margine di manovra ai lavoratori, i quali, così come ha sottolineato Giorgio Airaudo, hanno già deciso di dar vita ai “Comitati per il No” all’accordo. La Fiom, da parte sua, non riconosce il referendum. Come già nel caso di Pomigliano, oltre ad avere una premessa ricattatoria (“se non passa l’accordo non faccio l’investimento”, aveva detto Sergio Marchionne) di fatto riguarda alcuni diritti indisponibili dei lavoratori, come il diritto di sciopero.
Per Fausto Durante (tra i 29 astenuti a fronte di 102 voti a favore e nessun contrario, ndr) «la linea di Landini non ha impedito a Fiat di procedere nè evitato gli accordi separati che non ci sono in nessuna altra categoria». Ora servirebbe «una battaglia politica forte per il “No” al referendum, ma con la disponibilità ad accettare un eventuale esito favorevole all’accordo, con una «firma tecnicache permetta alla Fiom di entrare nelle rappresentanze aziendali e continuare il suo impegno all’interno dello stabilimento».

(Da Liberazione del 30 Dicembre 2010)

mercoledì 29 dicembre 2010

Concessioni idroelettriche: domande contro corrente a Sertori





Durante questi ultimi giorni del 2010 l'amministrazione leghista di Sertori è tornata a sbandierare la sua operazione sulle concessioni idroelettriche come la chiave per il Paradiso in Terra.
Noi della Federazione della Sinistra di Sondrio ci permettiamo di avere qualche perplessità, e di porre qualche domanda controcorrente al Presidente Sertori (e a chiunque sia interessato a rispondere).

L’approvazione in Regione dell’art. 53 bis sulle grandi concessioni è stato presentato come una vittoria storica del territorio, si aprirebbe una nuova pagina nel rapporto tra provincia e aziende idroelettriche, finalmente saremmo “padroni a casa nostra”. Ma è proprio così? Una serie di considerazioni ci porta a respingere la retorica con cui, con poche eccezioni, si è voluto commentare il voto di lunedì scorso. Anche perché si tratta di una retorica che occulta alcuni dati di cui l’opinione pubblica provinciale dovrebbe invece essere informata. Rivolgiamo pertanto le seguenti domande sperando che qualcuno dei protagonisti della trattativa si senta in dovere di rispondere pubblicamente.

Federalismo idroelettrico: una strada tutta in discesa?
Il 53 bis viene presentato come una corazzata inaffondabile, nella realtà presta il fianco a tutta una serie di contestazioni. L’affidamento diretto delle concessioni ad una società mista pubblico-privato partecipata dalla Provincia è o non è una palese violazione dei principi comunitari in tema di libera concorrenza? Sono da escludere l’intervento del garante e l’apertura di procedure di infrazione da parte della Commissione europea? Alcuni passaggi della legge, quelli relativi alle procedure per le gare, vanno o non vanno ad incidere su materie di competenza esclusiva dello stato? Se queste debolezze dal punto di vista giuridico ci sono, è possibile che aprano la strada a ricorsi, come del resto si è visto in questi anni tutte le volte in cui il legislatore ha introdotte delle clausole finalizzate alla creazione di corsie preferenziali per i concessionari uscenti? L’art. 53 bis prefigura o no un percorso preferenziale per gli attuali gestori? Perché si offre all’opinione pubblica la certezza di un risultato sicuro, perché si vende la pelle dell’orso prima ancora di averlo preso? Perché non si è scelto un approccio meno propagandistico e non ci si è mossi con una maggiore cautela? Forse perché si è furbamente pensato che valeva la pena di giocare sull’effetto annuncio?

C’è un effetto annuncio anche sul versante delle risorse economiche? Siamo veramente all’inizio dell’età dell’oro?
Per quanto riguarda i benefici economici che deriverebbero dalla partecipazione della Provincia alla società mista, sono stati dati in pasto all’opinione pubblica provinciale cifre contradditorie. Prima si è puntato alto e si è detto che la partecipazione della Provincia alla società mista avrebbe portato nelle casse degli enti locali qualcosa come 100 milioni di euro, poi l’utile è stato ridimensionato. Si è comunque creata tra la popolazione l’idea che di soldi ne arriveranno e molti. E che di ciò va ringraziata la Lega. Perché oggi nessuno più si azzarda a sparare numeri? Forse perché si sono fatti i conti senza pensare che la distribuzione degli utili sarà decisa non dalla Provincia ma dalle multinazionali dell’energia in maggioranza nel consiglio di amministrazione? Che ne sarà degli utili nel caso la governance dell’azienda dovesse per esempio decidere un impegnativo piano di investimenti per l’ammodernamento degli impianti?

Perché un condono tombale sul pregresso?
Tutti ricordano le polemiche degli anni passati sull’utilizzo improprio delle risorse idriche da parte delle aziende in violazione delle concessioni e dei disciplinari. Qualcuno ha anche provato a calcolare i sovrapprofitti che sono derivati alle società idroelettriche da queste pratiche scorrette. Come mai questa questione non è entrata nel dibattito politico sul rinnovo delle concessioni? Si pensa male o ci si azzecca se si considera l’art. 53 bis il condono tombale di tutta questa materia?

A chi il demanio idrico? Alla Provincia o alla Regione?
Si fa un gran parlare di federalismo idroelettrico. Grazie alla Lega i valtellinesi e i valchiavennaschi sarebbero diventati padroni delle dighe, ma non si dice che quello che veramente conta è il potere concessorio e cioè il potere di rilasciare le concessioni. Questo potere rimane tutto nelle mani della Regione. Perché qualcuno non spiega all’opinione pubblica come mai su una questione così importante la provincia non ha alcuna voce in capitolo?

Perché Belluno sì e Sondrio no?
La Provincia di Belluno va al confronto con le imprese idroelettriche avendo la titolarità del demanio idrico e perciò delle concessioni. Perché Sondrio che ha le stesse caratteristiche di provincia prevalentemente montana si presenta allo stesso appuntamento senza questo potere contrattuale? Perché il centrodestra della nostra provincia tace su questa questione? Perché nel 2003 l’allora presidente della provincia Provera non colse l’opportunità offerta dalla legge di chiedere alla Regione il trasferimento delle competenze in materia di demanio idrico? Se le chiese, da chi gli furono rifiutate?

Chi comanderà nella partecipata? La Provincia o le multinazionali?
Come previsto dall’art. 53 bis la futura società energetica nasce con una partecipazione minoritaria della Provincia. E’ credibile uno scenario nel quale le scelte decisive relative agli investimenti e alla distribuzione degli utili non saranno nelle mani di spa potentissime, tutte dentro le logiche di valorizzazione del capitale e di massimizzazione dei profitti dei grandi gruppi energetici?

Non è che si potranno creare conflitti di interesse?
Nella presentazione al grande pubblico della norma che dovrà regolamentare l’idroelettrico è stata posta molta enfasi sul tema delle risorse economiche che arriveranno, mentre poca o nessuna attenzione è stata posta ai temi di ordine ambientale e paesaggistico che ruotano attorno alla questione acque, quasi che questi temi fossero tutto sommato un argomento di secondaria importanza. Non un cenno ad esempio al ruolo di controllo che gli enti locali dovrebbero esercitare sui prelievi ecc. Se la sensibilità ambientale del ceto politico al governo in provincia è questa, cosa ci si potrà aspettare dagli uomini che saranno nominati dalle istituzioni dentro il consiglio di amministrazione della società mista? Non è che si creerà una complicità tra management delle multinazionali e uomini di nomina politica, il primo interessato a fare profitti turbinando la maggior quantità possibile di acqua e i secondi altrettanto interessati a fare altrettanto per riempire le casse degli enti locali svuotate dalle politiche di rigore del governo Berlusconi?

A chi giova il partenariato?
La scelta di andare ad una società mista di tipo cogestivo può essere vista sia come un accomodamento compromissorio tra interessi diversi (quelli del territorio, quelli delle istituzioni, quelli delle società idroelettriche ecc.) sia come una soluzione nella quale si afferma la prevalenza di uno dei portatori di interessi. Nel caso delle acque della provincia di Sondrio, il modello di società proposto fotografa una situazione di equilibrio oppure c’è uno sbilanciamento a favore dell’uno o dell’altro degli stakeholders in campo?

Perché non un’altra scelta?
Altre province alle prese con lo stesso problema nostro hanno seguito percorsi diversi. C’è chi, come Trento, ha optato per soluzioni di partenariato ma dentro la cornice di una spa a capitale prevalentemente pubblico, c’è chi è andato semplicemente a trattativa cercando di ottenere il massimo sia in termini di risorse sia in termini di tutela ambientale. Nel caso della provincia di Sondrio quali sono le convenienze che stanno dietro alla scelta che è stata fatta? Si è pensato ad altre soluzioni che meno ci esponessero al rischio connesso alla partecipazione ad una spa? Dal punto di vista di evitare situazioni di conflitti di interesse non sarebbe stata preferibile una formula meno aleatoria che assegnasse alla Provincia funzioni di controllo e di vigilanza evitando di imbarcarla nella gestione?

Provincia di Sondrio: segnali di ripresa economica, ma resta la crisi

Netto cambiamento rispetto ai lunghi periodi di riposo dello scorso anno
Sorride l’alimentare, i problemi permangono nel settore chimico e tessile

Meno ferie per le tute blu, vacanze di Natale ancora lunghe per tessili e chimici. È evidente, nelle fabbriche della provincia di Sondrio, il cambiamento rispetto a dodici mesi fa, quando diverse industrie, anche nel settore metalmeccanico, avevano puntato su tre settimane di stop per i propri dipendenti. Ora fra i meccanici i giorni di riposo sono molti meno. Nel chimico e nel tessile tutto sembra andare come l’anno scorso, con le aziende che devono affrontare difficoltà rilevanti e resteranno chiuse fino a dopo l’Epifania. Nel complesso sorride il comparto alimentare, un settore che ha visto pochissime ore di cig.
Poche ferie per le tute blu - «Dobbiamo osservare che questo periodo viene gestito diversamente dall’anno scorso - spiega dalla Fim-Cisl il segretario Davide Fumagalli -. Nel 2009 durante le vacanze di Natale c’erano state nella maggior parte dei casi tre settimane di ferie, con la chiusura
degli stabilimenti. Oggi in alcuni stabilimenti, ad esempio in Alexia e Siderval, le ferie sono state ridotte rispetto all’anno scorso in modo rilevante. In altre fabbriche come Ge e Dresser si resterà a casa soltanto nei giorni di festa, in altre ancora - come Fic e Riello - si rimane sulle due settimane. Non abbondano la ferie neanche alla Carcano, dove nel 2010 c’è stato un record nella produzione. Nel complesso questa tendenza è un segnale da non sottovalutare: qualcosa è cambiato negli ultimi dodici mesi. Ma i problemi non sono finiti. Non è possibile sostenere che il 2011 sarà privo di difficoltà.
Si lavora con una visibilità minima, di pochissime settimane, cercando di soddisfare i clienti in tempi rapidi».
2010, record di cassa - Ma i segnali incoraggianti in arrivo dal metalmeccanico non sono sufficienti per allontanare le preoccupazioni. È stato un anno da record per gli ammortizzatori sociali in provincia di Sondrio. Sono state ben 1.423.000, infatti, le ore autorizzate tra cassa ordinaria, straordinaria e in deroga. Nella storia della cig dal 2007 ad oggi (anche se va precisato che per il 2010 i dati arrivano solo fino a novembre), c’è stata una costante crescita.
Nel 2007 le ore totali autorizzate fra cigo (188mila) e cigs (150mila) erano state 339mila. Nei dodici mesi successivi erano state 389 mila: 261mila di ordinaria, 126mila di straordinaria e 1323 ore in deroga. Il primo boom risale al 2009, con 1.252.000 ore: 926mila di cigo, 174mila di cigs e 150mila in deroga. Nel 2010 si è saliti a 1.423.000 ore: 715mila di ordinaria, 273mila di cigs ben 434mila in deroga. Le ore di cigo effettivamente utilizzate sono state circa la metà di quelle autorizzate.
Il lavoro che non c’è - Secondo le stime dei sindacati nell’industria in tre anni si sono persi più di mille posti.
Intanto trovare una nuova occupazione è sempre più difficile. Un caso significativo è quello della Mc di Cosio Valtellino, una delle prime aziende colpite in modo durissimo dalla crisi degli ultimi anni. Su 84 dipendenti solo una ventina ha trovato una nuova occupazione, anche se spesso con contratti a tempo determinato. La maggior parte invece è ancora in cassa integrazione almeno fino ad aprile 2011. Poi ci sarà la chiusura e così a seconda dell’età si passerà alla mobilità: un
anno per chi ha meno di 40 anni, due fino a 50 e tre anni per chi ha più di 50 anni.

(Articolo di Stefano Barbusca su La Provincia di Sondrio del 28/12/2010)

Raphael Rossi: un giovane comunista contro la corruzione


di Vittorio Bonanni su Liberazione del 16/11/2010


All’Amiat di Torino d’accordo col Prc bloccò l’acquisto di mezzi inutili e costosi


Questa è la storia dell’impegno civile di un uomo di sinistra, della sua coerenza e della voglia di qualcuno di far apparire invece quell’impegno come un fatto soltanto individuale, estraneo ad ogni cultura politica. Stiamo parlando di Raphael Rossi, 35 anni, specializzato in sistemi per la raccolta differenziata e fino a quattro mesi fa vicepresidente dell’Amiat (la municipalizzata per la raccolta di rifiuti a Torino). Rossi è un militante di Rifondazione comunista, a quell’epoca in giunta con il sindaco Chiamparino. Si accorge che i vertici aziendali stanno organizzando l’acquisto di macchinari inutili e costosi – la cifra è di circa 4 milioni di euro – e lui, malgrado degli evidenti tentativi di coinvolgerlo nell’affare con la promessa di tangenti – respinge ogni tentativo di corruzione e si avvale della sua competenza per bloccare tutto. Contatta polizia e magistratura che lo invitano a simulare l’acquisto e così in questo modo otto persone vengono arrestate e rinviate a giudizio per i reati di corruzione e turbativa d’asta. Il prossimo 13 dicembre ci sarà l’udienza preliminare con Rossi testimone d’accusa. La vicenda viene resa pubblica da Report e da il Fatto Quotidiano. Il quale però, attraverso una delle sue firme migliori, quella di Marco Travaglio, accusa innanzitutto il comune di Torino di non aver sostenuto Rossi e il Prc di aver abbandonato il suo uomo, non più riconfermato nel Cda dell’Amiat, perché «come nella migliore cultura mafiosa chi collabora con la giustizia si rende inaffidabile nel suo ambiente». Parole grosse quelle di Travaglio che nel tentativo di non fare sconti a nessuno alla fine non vuole riconoscere che l’illegalità non trova a sinistra un terreno fertile. Immediata è stata la reazione di Rifondazione comunista e del suo segretario provinciale Renato Patrito, che ha chiesto al Fatto la pubblicazione di una replica, cosa avvenuta venerdì scorso: «Io ho spiegato i fatti, e cioè che Rossi fin da subito era stato accompagnato dal sindaco Chiamparino e dal vice-sindaco De Allessandri per raccontare il caso Amiat appena la magistratura diede il consenso e che la sua ricoferma non avvenne unicamente per due ragioni: uno, di prassi, perché aveva già fatto due mandati; l’altro politico, perché il suo partito, ovvero Rifondazione, nel frattempo era passato all’opposizione. Comunque non fu mai lasciato da solo», dice Patrito. Travaglio, nel rispondere alla replica, sostiene di aver scritto quello che gli era stato detto. «In altri termini non fa un buon servizio come giornalista – precisa il segretario torinese – perché evidentemente quello che gli è stato detto lo avrebbe dovuto verificare. Voglio fare presente che Raphael fu tutelato fin dal momento in cui avvenne il fatto nell’aprile del 2009. Aveva ancora quasi un anno di mandato e di nomina e viveva in Amiat un clima pesante, negativo, di isolamento. Io mi feci carico di andare dal vicesindaco che ha la delega alle ex municipalizzate chiedendo se era possibile in qualche modo ovviare a questa situazione spostandolo di lì, riconoscendo il ruolo positivo che aveva svolto per la sua città, che grazie a lui aveva fatto risparmiare quattro milioni e mezzo di euro. Mi si rispose che non era possibile perché, essendo passati noi all’opposizione, non avevamo più diritto di discutere delle nomine». Abbiamo sentito anche lo stesso Raphael sulla vicenda il quale ci ha voluto segnalare il ritardo con il quale Rifondazione ha presentato in consiglio comunale una mozione, battuta nel tempo dalla Lega e da Sinistra e Libertà: «Hanno atteso venticinque giorni per farlo e dopo l’invio di una mia lettera di fuoco indirizzata al segretario Patrito». Il quale conferma il ritardo del suo partito su questo aspetto: «Raphael dice una cosa vera. Effettivamente abbiamo avuto un ritardo di una decina di giorni nella presentazione della mozione per fattori contingenti non voluti dalla segreteria provinciale e praticati dal gruppo con delle giustificazioni insufficienti. Io successivamente ho criticato pubblicamente questo ritardo, ma questo ritardo c’è stato. Devo dire però che questa mancanza, seppur non voluta, ha aiutato una migliore formulazione perché ci ha consentito di riprendere un dettato dell’Anci di pochi giorni fa che abbiamo fatto nostro relativamente al rapporto tra enti locali, comuni e corruttela, mafia e quant’altro. E’ un dettato importante che è stato votato da tutti i comuni d’Italia e che quindi sicuramente rende la mozione più completa. E mette in difficoltà il Partito democratico».


Della vicenda ha parlato anche Report, nella puntata "C'è chi dice no": http://www.report.rai.it/dl/Report/puntata/ContentItem-5ebb7968-9e8e-46b6-b4d3-91c60050e83b.html

domenica 28 novembre 2010

Arriva lo Statuto dei Lavori: il cerchio si chiude

Arriva lo Statuto dei Lavori: il cerchio si chiude
Oggi entra in vigore il Collegato Lavoro, di cui si è scritto in lungo e in largo. Altro ci sarebbe da scriverne, ma la verità è che qui non si fa in tempo a parare un colpo che subito arriva una nuova fregatura.
Lo Statuto dei Lavori è una grossa fregatura e proprio per questo, anche se la sua entrata in vigore non è imminente, conviene prenderlo per tempo. Di che si tratta? Al momento, di un disegno di legge-delega che il Ministro del Lavoro Sacconi ha presentato alle “Parti sociali” (sindacati e Confindustria) alcune settimane fa, con l’obiettivo dichiarato di “aggiornare” lo Statuto dei Lavoratori.
Essendo una legge-delega, il progetto è tutt’altro che definito: l’idea è che il Parlamento affidi al Governo il compito di elaborare la disciplina, delineando soltanto i principi generali. Ma questi principi generali non lasciano dubbi sulle finalità della riforma. Nelle parole della relazione che accompagna il testo:
Al lavoro stabile e per una intera carriera si contrappongono oggi sempre più frequenti transizioni occupazionali e professionali che richiedono tutele più adeguate. I mutamenti del mondo del lavoro implicano l’insorgere di esigenze che spiazzano un sistema di tutele ingessato – perché fatto di norme rigide sulla carta quanto ineffettive e poco adattabili alla mutevole realtà del lavoro – suggerendo l’introduzione di assetti regolatori maggiormente duttili e la definizione di diritti universali e di tutele di matrice promozionale.
In sostanza, si dice, dal momento che le leggi attuali, e in particolare lo Statuto dei Lavoratori del 1970, non sono sufficienti a tutelare efficacemente i lavoratori “flessibili”, le leggi stesse devono diventare “duttili” per poter assicurare una tutela omogenea tra lavoratori stabili e precari. Ecco un’ulteriore conferma, qualche riga sotto:
La verità è che l’attuale sistema normativo del diritto del lavoro non soddisfa pienamente nessuna delle due parti del contratto di lavoro. Non i lavoratori che, nel complesso, si sentono oggi più insicuri e precari. Né gli imprenditori ritengono il quadro legale e contrattuale dei rapporti di lavoro coerente con la sfida competitiva imposta dalla globalizzazione e dai nuovi mercati.
Anche dopo le recenti innovazioni apportate dalla legge Treu e, più ancora, dalla legge Biagi è palese, e non solo nei settori maggiormente esposti alla competizione internazionale, l’insofferenza verso un corpo normativo sovrabbondante e farraginoso che, pur senza dare vere sicurezze a chi lavora, rallenta inutilmente il dinamismo dei processi produttivi e l’organizzazione del lavoro.
L’argomentazione del Ministro in sostanza è questa: “lo Statuto dei Lavoratori e tutte le altre leggi che regolamentano il mercato del lavoro serviranno forse a difendere i lavoratori stabili, ma non sono valide per i precari, che sono al di fuori del loro campo di applicazione e infatti crescono costantemente di numero. Allo stesso tempo, quelle regole e in primis lo Statuto dei Lavoratori con quel suo antiquato articolo 18, servono soltanto a vincolare le aziende impedendo loro di essere competitive sul mercato globale.”
Ed ecco ora lo stesso ragionamento al netto della squallida ipocrisia che cerca di coprirlo: “Abbiamo introdotto la precarietà prima con la legge Treu (sui contratti a termine: grazie al Centrosinistra) poi con la legge Biagi (per tutto il resto: grazie alla Destra) ormai da sette lunghi anni. In questo modo il mercato del lavoro si è destrutturato e polverizzato abbastanza da rovinare la vita a milioni di persone, soprattutto giovani, ma non ancora abbastanza da consentire alle aziende di fare tutti, ma proprio tutti i loro porci comodi. Insomma, per poter affrontare degnamente (degnamente? mica tanto) la sfida del mercato globale, i padroni di casa nostra devono essere liberi di assumere e licenziare quando cazzo gli pare, senza dover rendere conto a nessuno, senza dover spiegare il perché, tantomeno a dei giudici. Tanto precari lo siete già, esserlo un po’ di più non vi cambia la vita.”
Si nota il difetto logico? “Siccome l’art. 18 non si applica ai precari, e siccome ormai i precari sono sempre di più, aboliamo l’art. 18″. Come se fosse colpa di quella legge se non si applica ai precari! Come se fosse colpa dello Statuto se i Governi passati hanno introdotto forme sempre più estese di precarietà del lavoro!
La colpa invece è tutta dei Governi che si sono susseguiti negli ultimi (almeno) dieci anni, seguendo un disegno coerente di cancellazione della stabilità del lavoro, operando così nei fatti una colossale redistribuzione dei rischi d’impresa dalle aziende ai lavoratori, mentre i redditi seguivano il percorso inverso, dalle tasche dei lavoratori a quelle dei loro padroni. Prima, con l’introduzione massiccia dei contratti precari, hanno creato un’area sempre più vasta in cui fosse disapplicato lo Statuto dei Lavoratori; adesso, una volta diffuso come un virus il fenomeno della precarietà in modo da renderlo, agli occhi degli stessi lavoratori, un modo del tutto normale di pensare la propria vita, si propongono di eliminare le tutele anche a chi continuava ad averle, precarizzando l’intero sistema con tutti gli strumenti disponibili. Tra questi, la cancellazione della fuzione di garanzia dei contratti collettivi, che si vogliono sempre più decentrati a livello territoriale (il ritorno delle gabbie salariali) e perfino aziendale. Il cerchio si chiude, insomma, ed è come il recinto in cui sono rinchiusi gli animali da mandare al macello.
La legge-delega, per inciso, è lo strumento che consente il massimo arbitrio al Governo e il minor controllo parlamentare – non che questo Parlamento avrebbe difficoltà a votare a larghissima maggioranza, se non all’unanimità, un progetto del genere. Non a caso, appena il giorno prima della presentazione del disegno di legge-delega, il Senato ha approvato con 14 contrari e 12 astenuti (tra l’altro, tutti della maggioranza), unordine del giorno che impegna il Governo a prendere provvedimenti per sostenere la crescita della produttività
che è anche condizione per attrarre investimenti esteri, attraverso nuove regole per le relazioni industriali che tengano conto dell’esperienza di Pomigliano d’Arco e modelli contrattuali che sviluppino la contrattazione decentrata di secondo livello e coinvolgano i lavoratori nei risultati dell’impresa; l’effettiva premialità per la responsabilità e il merito anche nelle amministrazioni pubbliche; un nuovo codice del lavoro semplificato, anche sulla base delle proposte del disegno di legge Senato 1873.
“Nuove regole per le relazioni industriali che tengano conto dell’esperienza di Pomigliano d’Arco”! L’ordine del giorno, tra parentesi, porta la firma di Francesco Rutelli e altri appartenenti al campo del “Centrosinistra”. Ma che cos’è questo “disegno di legge Senato 1873″? Lo troviamo sul sito del Senatore Pietro Ichino, giuslavorista di punta del Partito Democratico: è una sorta di precursore dello Statuto dei Lavori, in termini del tutto analoghi a quelli annunciati dal Ministro Sacconi. Converrà però parlarne nei prossimi giorni in un altro post, interamente dedicato alle proposte del Partito Democratico in materia di lavoro.
www.avvocatlaser.net

giovedì 25 novembre 2010

Contro Marchionne e Berlusconi, per lo sciopero generale, in piazza con la CGIL.



Intervista ad Oliviero Diliberto di Antonio Calitri su Italia Oggi del 25 novembre 2010
Sergio Marchionne va temuto al pari di Silvio Berlusconi perché è una persona per bene e per questo può insidiare nella sinistra il suo modello, fallimentare per l’Italia. Fallimentare per i diritti dei lavoratori e per il paese ma anche dal punto di vista dell’economia e del marketing, perché puntare sulla Panda quando il mondo si divide tra auto cinesi a basso costo e auto di qualità tedesca, è perdente. A parlare così è Oliviero Diliberto, appena eletto portavoce nazionale della Federazione della Sinistra, che dopo aver accennato, nel congresso che lo ha acclamato, al nuovo obiettivo che deve combattere una sinistra unita, spiega in escusiva a ItaliaOggi perché il modello dell’amministratore delegato della Fiat va temuto. Anche più di una possibile scesa in campo di Luca Cordero di Montezemolo. E illustra anche le sue ricette di economia e politica industriale per tentare l’impossibile e dopo aver unito Comunisti Italiani, Rifondazione Comunista e Socialismo 2000 tentare di mettere insieme anche Sel di Nichi Vendola e una parte del Pd.
Domanda. Professor Diliberto, davvero pensa che Marchionne sia un nemico come Berlusconi?
Risposta. Assolutamente no. Non penso minimamente che Marchionne sia come Berlusconi. Sconfiggere Berlusconi alle prossime elezioni sarà difficilissimo, tuttavia c’è un largo movimento che lo vuole mandare via, compresi gli industriali che sono stati scontentati.
D. Marchionne invece?
R. Marchionne è diverso ed è molto insidioso. È una persona per bene, che si presenta bene. Che non si circonda di escort. Che non è il rappresentante di una destra volgare.
D. E allora perché avercela con lui?
R. Perché quello che propone Marchionne è peggio di un crimine, è un errore. La logica dello scambio che ci propone, lavoro contro diritti per tenere aperta Fabbrica Italia è sbagliata non solo moralmente ma giuridicamente e anche dal punto di vista economico.
D. Si spieghi meglio?
R. Marchionne è per l’inversione della gerarchia delle fonti del diritto. Un contratto tra privati diventa più importante della prima fonte che è la Costituzione. È una cosa aberrante che può valere negli Stati Uniti dove non hanno la Costituzione, non per l’Italia. Abolire il diritto allo sciopero che è sancito dalla Costituzione ne è uno degli esempi.
D. Diceva che anche economicamente è errato. Cosa c’è di sbagliato nel volere fabbriche più produttive?
R. Comprimere il costo del lavoro non porta a fare auto migliori. Oggi il costo del lavoro su un’auto incide dal 3,5% al 6%. Seppure, per paradosso, si riuscisse a ridurlo della metà, ci sarebbe una riduzione dell’1,75% cioè niente. Tanto e vero che in Europa le altre case produttrici hanno ripreso a vendere mentre la Fiat no. La Fiat non ha il problema del costo del lavoro ma dei modelli sbagliati. Marchionne sta puntando sulla Panda che dovrebbe uscire tra qualche anno da Pomigliano. Tra due anni però in Italia arriverà l’utilitaria cinese da 4 mila euro. Dall’altra parte del mercato i tedeschi stanno preparando utilitarie di grande qualità. In mezzo a queste due aree la Panda sarà schiacciata. Non sarà che Marchionne non è così bravo come qualcuno ha pensato, anche a sinistra.
D. Il problema Pomigliano però esiste ed esiste da prima che arrivasse Marchionne. L’assenteismo, le continue interruzioni di lavoro, le Alfa che uscivano difettate compromettendo l’immagine internazionale del marchio hanno danneggiato la Fiat prima dell’arrivo del manager. Qualcosa bisognerà pur farla?
R. Se il problema è l’assenteismo, si combatta in altra maniera, applicando le regole. Più che abolire il diritto di sciopero, si facciano tutti i controlli sui lavoratori. Ma nella legalità.
D. Sì, ma dalla Fiat si lamentano dell’assenteismo anomalo, quello che scoppia quando c’è una partita e arrivano 600 certificati medici.
R. La storia la conosco ed è esistita. Ma si tratta di una storia vecchia e riguarda le vecchie generazioni. I nuovi assunti di Pomigliano, dati alla mano sono meno assenteisti hanno percentuali di assenteismo molto basse. E su di loro si può ancora lavorare.
D. Ad ogni modo, senza Marchionne la Fiat non si sarebbe salvata e oggi ci sarebbero state dicine di migliaia di operai per strada_
R. Questo senza dubbio gli va riconosciuto”
D. Quindi è diventato un nemico dopo il salvataggio?
R. Marchionne non è un nemico, me ne guarderei bene. Io mi sono ripromesso di non lavorare per una sinistra contro qualcuno. Il problema è che l’affascinazione nei suoi confronti c’è anche nel centrosinistra. Esponenti del Pd mi dicono di accettare la sfida per vincere.
D. Lo disse anche Bertinotti.
R. Che ora non è più con noi.
D. È dall’altra parte, con Vendola con il quale volete lavorare.
R. Vendola ha manifestato con me a Pomigliano. Io ho risposto all’appello che ha fatto 15 giorni fa a Firenze, per passare dai risentimenti ai sentimenti. E la sfida di Marchionne ci offre la possibilità di unirci per un nuovo modello.
D. Quale? Come salviamo l’Italia in questo contesto tra globalizzazione e crisi?
R. Credo che serva un nuovo modello di sviluppo che punti sul nuovo lavoro e sulla società della conoscenza. Dobbiamo rendere i nostri lavoratori migliori di quelli dei paesi dove si delocalizza, anche perché non potranno mai essere competitivi a livello di costi, né possiamo trasformarli in automi lobotomizzati”.
D. E allora, come si rendono migliori?
R. Evitando la formazione professionale tradizionale, che non serve a niente, e puntando su una nuova scuola e sull’aumento dell’obbligo scolastico a 18 anni. Collegato a questo poi è il secondo punto, quello della trasformazione della società manifatturiera in società del sapere. Bisogna puntare sulla filiera della cultura, sulla scuola e sui brevetti. Nella classifica dei brevetti industriali in passato l’Italia è stata al primo posto mentre oggi è penultima. E senza innovazione non si va da nessuna parte mentre esiste un enorme mercato come quello cinese che può essere una grande opportunità.
D. Concludiamo con la politica. Lei dice che dobbiamo temere Marchionne e il suo modello, ma in campo sembra voglia scendere Luca Cordero di Montezemolo. Va temuto anche lui?
R. Spero che non si arrabbi ma io temo di più Marchionne perche è più bravo. Perché non ha ambizioni politiche in senso stretto e perché viene da un altro mondo. Montezemolo non so cosa farà ma è un consumato navigatore di aziende e di politica italiana.

domenica 21 novembre 2010

Congresso della Federazione / Salvi:"Cambiare si deve, la Storia non è finita"."


di Romina Velchi

La Federazione della sinistra va. A zig zag, dice qualcuno, ma va. E non suoni strano che a dare la carica alla platea sia un signore settantenne, ancorché stimato costituzionalista, come Gianni Ferrara: «E’ una buona giornata, confortante e non dobbiamo essere timidi, incerti, esitanti. Il percorso lo stiamo facendo e dobbiamo ritenerlo irreversibile, sennò saremo spazzati via - prosegue Ferrara -. Il futuro è denso di molti pericoli e poche chance, ma la sfida di esserci è cruciale. I comunisti ci sono, nessun muro ci ha seppellito. Possiamo non combattere?».
Ecco, se la federazione della sinistra nasce principalmente per ridare sostanza alla domanda di unità, allora il congresso che si è aperto ieri (anche se “anomalo” e criticato viste le modalità con cui si sta svolgendo) è il segno che si è sulla buona strada. Perché chi si riconosce nella nuova creatura politica (né partito, né semplice movimento) è proprio a questo che pensa: possiamo non combattere? E, soprattutto, dal dibattito del primo giorno emerge la comune analisi della situazione (politica, economica, sociale) e la comune affermazione che senza una sinistra comunista e anticapitalista non potrà arrivare alcuna risposta. Ciò che fa dire che la costruzione di un soggetto politico con una «massa minima di attrazione» (per dirla con Vittorio Agnoletto) è a portata di mano. No, proprio non «sembra di stare a Xfactor» (provoca Andrea Rivera, chiamato ad una pre-apertura sui generis dei lavori del congresso e che invita a non nominare più Berlusconi per non finire come il barone Lamberto «che visse due volte»). No, qui c’è la politica con la “p” maiuscola, quella che cerca di essere utile alle persone cambiando lo stato di cose presente.
«Cambiare si deve, la storia non è finita» esordisce infatti Cesare Salvi, che svolge la relazione di apertura in quanto attuale portavoce della Fds (farà anche le conclusioni). Basta vedere il disastro provocato dal neoliberismo, che ci ha portato ad una crisi tale che rischia di scomparire persino l’Europa. Un liberismo il cui volto peggiore è proprio quello italiano: attacco ai diritti, al lavoro, a conquiste cinquantennali, alla Costituzione. Un liberismo che va sconfitto al più presto. E per farlo serve l’unità principalmente delle forze che hanno aderito alla manifestazione Fiom del 16 ottobre e di quelle che si riconoscono nella Costituzione repubblicana.
Il messaggio è soprattutto a Vendola: dopo i «risentimenti» e i «sentimenti», avverte Salvi, è l’ora della politica. Se è vero che i sondaggi dicono che il centrosinistra unito ha più voti di Berlusconi e Bossi e se è vero che la vittoria di Pisapia alle primarie di Milano è principalmente il risultato dell’alleanza tra Fds e Sel, allora ecco la proposta a Vendola: un «impegno comune per un programma condiviso per le prossime amministrative. Perché uniti si vince» (mentre di «affabulatori» e di «fabbriche» non si sente alcun bisogno, diranno molti interventi).
Quanto al Pd (in platea c’è il coordinatore Migliavacca), Salvi mette in guardia dal governo tecnico a tutti i costi: «No grazie, abbiamo già dato», dice tra gli applausi. Meglio, molto meglio un’alleanza democratica: «Il Pd assuma l’iniziativa, noi ci siamo».
All’Ergife di Roma (proprio là dove dodici anni fa si consumò lo strappo tra Bertinotti e Cossutta) ora c’è, come recita lo slogan, la sinistra «del lavoro, della democrazia, dell’unità». Ed è attorno a queste tre parole d’ordine che si svolge il dibattito (del quale è impossibile dare conto qui interamente, anche per ragioni di chiusura in tipografia). Parole d’ordine che possono essere declinate in molti modi. Parla Landini, segretario Fiom, a conferma che l’obiettivo della Fds «è ridare al lavoro una grande forza della sinistra» che lo sappia rappresentare (Salvi), ma parlano anche studenti precari e soprattutto gli immigrati. Sonia e Ismail raccontano di razzismo e indifferenza, di sfruttamento e ipocrisia: «Gli immigrati di Brescia – ci ricorda Ismail – sono prima di tutto lavoratori». Non per caso Giovanni Russo Spena sottolinea come «l’autorganizzazione dei migranti va messa al centro» dell’azione della Fds. E che cos’è la democrazia se non sa assicurare un tetto come si deve sulla testa delle persone e lascia che gli sfratti per morosità si moltiplichino alla velocità della luce? Lo ribadisce Walter De Cesaris (Unione Inquilini) sottolineando che «nella crisi qualcuno ingrassa».
E la democrazia per nulla si sposa con la criminalità organizzata, con le «mafie borghesi», come le chiama Russo Spena, che riciclano denaro «nei santuari della finanza», proprio lì dove si è formato il patrimonio di Berlusconi. E’ per questo che il congresso della Fds si scalda e si commuove quando viene proiettato un frammento del film “I cento passi” su Peppino Impastato e quando sul palco sale il fratello Giovanni, al quale Salvi consegna la tessera della Federazione.
E’ il tema dell’unità, però, quello che, come ovvio, tiene banco. A partire dall’analisi della vittoria di Pisapia. Una vittoria, certo, ma che non deve far dimenticare le difficoltà, come quella di riuscire a rimandare all’esterno un’immagine positiva, non quella di un’«unione di comunisti sconfitti». «Radicamento nelle lotte e apertura all’esterno – dice Nello Patta, ma non solo lui - sono le basi indispensabili per l’autonomia del nostro progetto, affinché non appaia solo come una scialuppa di salvataggio». Anche per Bruno Casati, il successo di Pisapia è un «piccolo segno di vitalià», ma non si deve trascurare il «forte problema di identità, da ricostruire con pazienza».
Oggi parleranno i quattro segretari e si svolgeranno le votazioni sullo statuto. Si sceglie anche il nuovo simbolo, che conterrà, anticipa Salvi, la falce e martello. Perché «quando si rompe con il proprio passato, tutto può succedere».
Da Liberazione del 20/11/2010

Congresso della Federazione / Landini:"Una grande battaglia per la democrazia"


intervista di Stefano Galieni

Maurizio Landini, segretario generale della Fiom, ha riscosso nel suo intervento al congresso applausi scroscianti. Una platea attenta ha seguito l’evolversi del suo discorso, scaldandosi soprattutto nei passaggi in cui egli richiamava la necessità di un’ampia battaglia per la democrazia dentro e fuori i luoghi di lavoro e chiedeva risposte chiare da parte delle forze politiche che intendono interloquire con i lavoratori e le lavoratrici, riproponendo l’esigenza di arrivare presto allo sciopero generale non solo contro le politiche governative ma anche per fermare le scelte di Confindustria.
Che idea ti sei fatto di questo congresso e della Federazione?
Non posso che salutare con piacere tutti i processi che mirano a superare le divisioni a sinistra. Si tratta di costruire una unità necessaria per sconfiggere Berlusconi e farlo a partire dal merito. E’ necessario per poter espandere gli spazi di democrazia, per riaffermare i diritti, per produrre reali cambiamenti sociali. Deve essere una unità nel rispetto delle diverse soggettività, mettendo in campo partecipazione diffusa nelle decisioni che si prendono
Nel tuo intervento hai posto la questione della crisi delle forme della rappresentanza.
Per poter rappresentare i lavoratori e le lavoratrici affinché essi si riconoscano nella politica, bisogna essere chiari: alternatività a Berlusconi significa essere contro il collegato lavoro, contro la precarietà e le leggi che la producono, per una legge sulla rappresentanza nei luoghi di lavoro che consenta di poter votare per decidere se firmare o meno un accordo. Significa pensare ad un sistema solidale che preveda anche il reddito di cittadinanza: E combattere l’evasione fiscale, partendo dal fatto che il 90% del gettito Irpef viene da pensionati e lavoratori dipendenti. Bisogna chiedere un intervento pubblico in economia per combattere la crisi
Sull’intervento pubblico c’è una parte della sinistra molto riluttante
A volte ci sono preconcetti. Guardiamo la realtà. Ad esempio oggi il prodotto non è l’auto ma la mobilità, questo significa pensare ad un nuovo modello di società in cui l’intervento pubblico è indispensabile. C’è chi crede che dalla crisi si possa uscire con l’aumento dei consumi individuali. Non è vero, occorre investire in beni comuni, il nuovo modello di sviluppo deve essere produzione sociale. La crisi va affrontata curando la malattia che l’ha generata (bassi salari e prodotti non innovativi) e non la febbre.
Hai molto insistito sulla democrazia nei luoghi di lavoro.
Penso che si debba rompere con la tradizione delle decisioni delle organizzazioni sindacali che mettono in subordine le risposte dei lavoratori. Dobbiamo ristabilire il diritto dei lavoratori di votare sia i propri rappresentanti sia gli accordi proposti. E’ un passaggio necessario per stabilire una vera autonomia e costruire una unità di azione nel pluralismo sindacale. Questo serve anche ad uscire dalla logica degli accordi separati, per cui imprese e controparti si rivolgono al quel sindacato che è disposto a firmare senza fare troppe storie. Sappiamo bene che la frantumazione dei processi lavorativi si traduce anche nel fatto che in una stessa azienda non vale più la logica per cui allo stesso lavoro corrisponde lo stesso salario, ma quella degli appalti, e dei contratti diversificati. Democrazia significa anche riunificare i diritti, lottare per un unico contratto per l’industria, ragionare di diritti europei per costruire una proposta di stato sociale. Come vedi non sono solo temi di natura sindacale, ma politica. L’Europa oggi è unita solo dalla moneta e abbiamo da una parte la Germania e dall’altra la Grecia. Se la Fiat impone la Newco a Pomigliano o dove le fa comodo, non compie solo un attacco al sistema democratico ma cancella diritti e i lavoratori non vanno lasciati soli. Io mi auguro che cada Berlusconi ma non è detto che intanto Marchionne si fermi. La Fiat vuole trasferire la propria testa negli Usa e sta procedendo fabbrica per fabbrica. La politica deve intervenire per contrastare questo progetto, se si pensa che sia un problema che riguarda solo la Fiat io non ho più nulla da dire
Hai accennato un’autocritica anche rispetto al sindacato.
Quando ci siamo schierati con chi non voleva firmare l’accordo di Pomigliano, in molti ci hanno detto che sbagliavamo, che era un brutto accordo, ma da accettare perché al Sud non si possono perdere posti di lavoro. Se lo avessimo subìto come voleva la Fiat, anche il “no” della Fiom non avrebbe cambiato il risultato. Ora posso dire che lavoratori e Fiom avevano capito la logica della Fiat e dove avrebbe portato. C’è stata un’accelerazione dichiarata nelle scelte dell’azienda, hanno deciso di non avere neanche tavoli allargati di discussione, per cui bisogna cambiare pratiche e pensare a scelte strategiche. Per questo abbiamo scommesso sulla mobilitazione del 16 ottobre facendola diventare un momento centrale
Il 16 ottobre, dal palco hai fatto un discorso che abbracciava diversi temi, dalla guerra al welfare alla cultura, quasi un programma politico
L’autonomia del sindacato si fonda su un suo progetto di società da proporre in un rapporto paritario al governo, qualsiasi governo, e alle forze politiche. L’azione del sindacato deve essere coerente con un programma generale, le forze politiche debbono porsi il problema di rappresentare le lavoratrici e i lavoratori. Noi non intendiamo sostituirci alla politica, anzi, l’assenza e la frantumazione delle forze politiche con cui confrontarci ha già creato abbastanza problemi
Oggi, hai riproposto il tema dello sciopero generale.
Sì, e l’unico soggetto in grado di proporlo è la Cgil. La riuscita della mobilitazione del 27 novembre è condizione necessaria per rilanciare la proposta e cominciare a costruirla nelle difficoltà in cui ci troviamo. Le ultime scelte del governo rafforzano questo proposito, ma da qui al 14 dicembre vedremo
Nel parlare di estensione dei diritti hai pensato anche alle iniziative portate avanti dai lavoratori migranti a Brescia e a Milano?
Certo l’estensione dei diritti di cittadinanza è fondamentale. I lavoratori migranti non solo hanno un ruolo fondamentale nella produzione e nei servizi sociali ma debbono poter esigere diritti. Altrimenti prevale non solo lo scontro fra immigrati e autoctoni, ma anche quello che separa una regione dall’altra. Si tratta poi di una battaglia democratica, non è accettabile che una parte consistente della società non possa nemmeno scegliere chi la rappresenta politicamente
Oggi hai citato anche la situazione estrema dei lavoratori dell’Ilva.
Sì, una situazione molto dura. Dobbiamo ottenere per i lavoratori “somministrati” la stabilità occupazionale, per questo siamo disponibili ad un tavolo di trattativa con l’azienda o anche col governo
Gli immigrati sulla torre, i lavoratori di Taranto sono solo gli ultimi esempi di forme molto radicalizzate di scontro. Cosa ne pensi?
Sarò tradizionale ma credo che al di là della necessaria visibilità che debbono avere queste lotte, ragione per cui spesso si fanno scelte estreme, si debbono mettere in piedi iniziative in grado di resistere un giorno in più del padrone. Poi la nostra scelta, e lo stiamo dimostrando, è quella di esserci sempre, rispettando le scelte dei lavoratori ed evitando strumentalizzazioni delle loro iniziative dentro e fuori i luoghi di lavoro.

Da Liberazione del 20/11/2010

sabato 13 novembre 2010

Documento conclusivo del Primo Congresse Provinciale della Federazione della Sinistra

Dal documento:
La Federazione della Sinistra è la via d'uscita dall'inutilità della politica e dal compromesso a perdere come unica forma di contrattazione.
Al centro della nostra riflessione stanno il lavoro, i diritti di cittadinanza, la piena affermazione della democrazia sociale ed economica ed il superamento del capitalismo.
(...)
I nostri riferimenti ideali sono la storia del movimento operaio italiano, comunista e socialista, l'antifascismo, i movimenti per la pace, per l'ambiente, per l'internazionalismo, per i diritti delle donne e per i diritti civili.
(...)

Nelle nostri valli a forte egemonia leghista la Federazione della Sinistra propone di agire unitariamente campagne politiche per smascherare le contraddizioni della Lega. All’elettorato popolare deve essere denunciata la casta leghista e deve essere evidenziato come la Lega non sia in grado di risolvere nessuno dei problemi con i quali ha raccolto i voti.

(...) La destra va sconfitta a livello nazionale e a livello locale, è indispensabile lavorare alla crescita dell'opposizione politica e sociale, attraverso la partecipazione e la ricostruzione dell'azione politica collettiva e plurale, la valorizzazione delle lotte sociali e del movimento sindacale.
Anche a livello locale le forze democratiche non devono limitarsi ad una mera battaglia istituzionale cercando solo di incunearsi negli spazi generati dai conflitti Lega-PDL.
E’ tempo di aprire una stagione di vera opposizione partendo da campagne politiche nella società.
Il documento intero è scaricabile all'indirizzo

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