domenica 21 novembre 2010

Congresso della Federazione / Salvi:"Cambiare si deve, la Storia non è finita"."


di Romina Velchi

La Federazione della sinistra va. A zig zag, dice qualcuno, ma va. E non suoni strano che a dare la carica alla platea sia un signore settantenne, ancorché stimato costituzionalista, come Gianni Ferrara: «E’ una buona giornata, confortante e non dobbiamo essere timidi, incerti, esitanti. Il percorso lo stiamo facendo e dobbiamo ritenerlo irreversibile, sennò saremo spazzati via - prosegue Ferrara -. Il futuro è denso di molti pericoli e poche chance, ma la sfida di esserci è cruciale. I comunisti ci sono, nessun muro ci ha seppellito. Possiamo non combattere?».
Ecco, se la federazione della sinistra nasce principalmente per ridare sostanza alla domanda di unità, allora il congresso che si è aperto ieri (anche se “anomalo” e criticato viste le modalità con cui si sta svolgendo) è il segno che si è sulla buona strada. Perché chi si riconosce nella nuova creatura politica (né partito, né semplice movimento) è proprio a questo che pensa: possiamo non combattere? E, soprattutto, dal dibattito del primo giorno emerge la comune analisi della situazione (politica, economica, sociale) e la comune affermazione che senza una sinistra comunista e anticapitalista non potrà arrivare alcuna risposta. Ciò che fa dire che la costruzione di un soggetto politico con una «massa minima di attrazione» (per dirla con Vittorio Agnoletto) è a portata di mano. No, proprio non «sembra di stare a Xfactor» (provoca Andrea Rivera, chiamato ad una pre-apertura sui generis dei lavori del congresso e che invita a non nominare più Berlusconi per non finire come il barone Lamberto «che visse due volte»). No, qui c’è la politica con la “p” maiuscola, quella che cerca di essere utile alle persone cambiando lo stato di cose presente.
«Cambiare si deve, la storia non è finita» esordisce infatti Cesare Salvi, che svolge la relazione di apertura in quanto attuale portavoce della Fds (farà anche le conclusioni). Basta vedere il disastro provocato dal neoliberismo, che ci ha portato ad una crisi tale che rischia di scomparire persino l’Europa. Un liberismo il cui volto peggiore è proprio quello italiano: attacco ai diritti, al lavoro, a conquiste cinquantennali, alla Costituzione. Un liberismo che va sconfitto al più presto. E per farlo serve l’unità principalmente delle forze che hanno aderito alla manifestazione Fiom del 16 ottobre e di quelle che si riconoscono nella Costituzione repubblicana.
Il messaggio è soprattutto a Vendola: dopo i «risentimenti» e i «sentimenti», avverte Salvi, è l’ora della politica. Se è vero che i sondaggi dicono che il centrosinistra unito ha più voti di Berlusconi e Bossi e se è vero che la vittoria di Pisapia alle primarie di Milano è principalmente il risultato dell’alleanza tra Fds e Sel, allora ecco la proposta a Vendola: un «impegno comune per un programma condiviso per le prossime amministrative. Perché uniti si vince» (mentre di «affabulatori» e di «fabbriche» non si sente alcun bisogno, diranno molti interventi).
Quanto al Pd (in platea c’è il coordinatore Migliavacca), Salvi mette in guardia dal governo tecnico a tutti i costi: «No grazie, abbiamo già dato», dice tra gli applausi. Meglio, molto meglio un’alleanza democratica: «Il Pd assuma l’iniziativa, noi ci siamo».
All’Ergife di Roma (proprio là dove dodici anni fa si consumò lo strappo tra Bertinotti e Cossutta) ora c’è, come recita lo slogan, la sinistra «del lavoro, della democrazia, dell’unità». Ed è attorno a queste tre parole d’ordine che si svolge il dibattito (del quale è impossibile dare conto qui interamente, anche per ragioni di chiusura in tipografia). Parole d’ordine che possono essere declinate in molti modi. Parla Landini, segretario Fiom, a conferma che l’obiettivo della Fds «è ridare al lavoro una grande forza della sinistra» che lo sappia rappresentare (Salvi), ma parlano anche studenti precari e soprattutto gli immigrati. Sonia e Ismail raccontano di razzismo e indifferenza, di sfruttamento e ipocrisia: «Gli immigrati di Brescia – ci ricorda Ismail – sono prima di tutto lavoratori». Non per caso Giovanni Russo Spena sottolinea come «l’autorganizzazione dei migranti va messa al centro» dell’azione della Fds. E che cos’è la democrazia se non sa assicurare un tetto come si deve sulla testa delle persone e lascia che gli sfratti per morosità si moltiplichino alla velocità della luce? Lo ribadisce Walter De Cesaris (Unione Inquilini) sottolineando che «nella crisi qualcuno ingrassa».
E la democrazia per nulla si sposa con la criminalità organizzata, con le «mafie borghesi», come le chiama Russo Spena, che riciclano denaro «nei santuari della finanza», proprio lì dove si è formato il patrimonio di Berlusconi. E’ per questo che il congresso della Fds si scalda e si commuove quando viene proiettato un frammento del film “I cento passi” su Peppino Impastato e quando sul palco sale il fratello Giovanni, al quale Salvi consegna la tessera della Federazione.
E’ il tema dell’unità, però, quello che, come ovvio, tiene banco. A partire dall’analisi della vittoria di Pisapia. Una vittoria, certo, ma che non deve far dimenticare le difficoltà, come quella di riuscire a rimandare all’esterno un’immagine positiva, non quella di un’«unione di comunisti sconfitti». «Radicamento nelle lotte e apertura all’esterno – dice Nello Patta, ma non solo lui - sono le basi indispensabili per l’autonomia del nostro progetto, affinché non appaia solo come una scialuppa di salvataggio». Anche per Bruno Casati, il successo di Pisapia è un «piccolo segno di vitalià», ma non si deve trascurare il «forte problema di identità, da ricostruire con pazienza».
Oggi parleranno i quattro segretari e si svolgeranno le votazioni sullo statuto. Si sceglie anche il nuovo simbolo, che conterrà, anticipa Salvi, la falce e martello. Perché «quando si rompe con il proprio passato, tutto può succedere».
Da Liberazione del 20/11/2010

Nessun commento:

Posta un commento

Lettori fissi