sabato 27 agosto 2011

Libia: liberata o colonizzata?


di Fabio Amato (responsabile esteri Rifondazione)
su Liberazione del 24/08/2011
Gli oltre ventimila bombardamenti umanitari della Nato sembrano essere riusciti, dopo 5 mesi, ad aver ragione del regime di Gheddafi. Un epilogo in gran parte scontato, dopo la decisione del consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite di dare il via libera ai raid della Nato, spacciati per difendere i civili, ed invece utilizzati per sostenere i bengasini contro il regime di Gheddafi. Un precedente molto pericoloso, contrario allo spirito stesso della carta dell'Onu, che temiamo possa in futuro essere usato per promuovere altre ed interessate guerre umanitarie. In queste ore la guerra continua anche nei media, dove si era giocata anche gran parte della iniziale propaganda a sostegno dell'intervento di Francia, Gb, Usa e Nato poi. Notizie di arresti e di conquiste poi smentite, voci che danno in fuga Gheddafi salvo poi sentire dalla sua voce la sua volontà di non lasciare la Libia e Tripoli.
Questa di Libia è stata una guerra particolare. Le potenze occidentali e la Nato l'hanno combattuta dalla distanza di sicurezza della loro prepotente e inarrivabile superiorità aerea. Da lì hanno aiutato l'avanzata dei ribelli, hanno mano a mano distrutto le infrastrutture libiche e la possibilità delle truppe lealiste di poter combattere alla pari con quelle ribelli, nel frattempo addestrate e rifornite di armi dagli alleati occidentali.
Non sappiamo quale sarà il futuro della Libia. Di sicuro quello che hanno in mente le potenze occidentali che, pur con i bilanci dei loro stati in rosso, non hanno esitato a spendere milioni di dollari ed euro per conquistare la Libia, è sicuramente quello di un paese da rapinare delle sue immense ricchezze. Chi ne sarà il futuro padrone o gestore dovrà essere ben consapevole che l'aiuto offerto dalla Nato non è né gratis né per spirito umanitario. Questo va ricordato a quanti, troppi, anche nei nostri paesi e nel movimento pacifista, hanno esitato a condannare l'aggressione della Nato.
Non sono le ragioni della democrazia a muovere i cacciabombardieri. Sono quelle di un disegno neo coloniale, che ha scelto la Libia perché era l'anello più debole militarmente e senza alleati internazionali, per le tante piroette che nei decenni avevano visto Gheddafi allearsi e scaricare molti, se non tutti. E' rimasto vittima della sua ultima svolta. Quella dell'alleanza con l'Occidente.
Nel mondo arabo in subbuglio, coloro che stanno per ora dettando l'agenda sono le petromonarchie del golfo. Regimi dispotici ma alleati da sempre degli Stati Uniti, con cui le famiglie al potere sono legate da profondi intrecci di affari: sono costoro che stanno determinando il futuro assetto della regione. Usando a loro favore le ribellioni dei popoli a regimi personali e dispotici. Non è un caso che Baherein e Yemen, i cui regimi sono amici dei sauditi, abbiano potuto reprimere le ribellioni interne senza interferenza alcuna. O che un altro paese chiave dell'area, la Turchia, possa bombardare nel nord dell'Iraq i villaggi kurdi senza udire voci di sdegno o cori di disapprovazione dal blocco mediatico.
Per il futuro della Libia, al momento coloro che si conoscono sono le facce note del Cnt, il consiglio di transizione nazionale, ovvero quelle di ex sgherri del regime di Gheddafi. Nessuno di questi, da Jalil a Jibril, può presentarsi come estraneo a quanto accaduto in Libia negli ultimi anni e durante il regime di Gheddafi. Jallud da vent'anni oramai è fuori dai giochi, ed è la carta che il nostro paese tenta di giocare per non rimanere ai margini nella ridefinizione degli assetti di potere futuri. Crediamo che nonostante le rassicurazioni che il Cnt ha voluto dare all'Italia e all'improbabile Ministro degli Esteri Frattini, saranno Sarkozy e Cameron a presentarsi come liberatori e ad ottenere per loro la gran parte della torta.
Ma resta da vedere se l'equlibrio che finora i clan e le forze antigheddafi hanno trovato fra di loro reggerà nei prossimi mesi e giorni. Se invece non si apriranno, come è purtroppo probabile, scontri e competizioni per il potere. Resta da vedere se rimarranno o meno forze fedeli a Gheddafi che non accetteranno la resa.
I ribelli festeggiano la fine di un regime. Se questo sarà l'inizio di un futuro migliore per il popolo o dell'incubo dell'aprirsi di uno scontro di potere senza esclusione di colpi, di una guerra civile che veda moltiplicarsi le sofferenze del popolo libico, lo sapremo solo nei prossimi mesi. Abbiamo visto come le guerre in Iraq, Afghanistan, Kosovo sono finite. Vedremo se la Libia sarà dei libici o delle potenze neocoloniali. Quelle che premono per scongelare le sue enormi ricchezze finanziarie, affamate di soldi come sono in questi tempi di capitalismo in crisi. Temiamo di no. Temiamo che il popolo libico sarà la preda di questo nuovo colonialismo umanitario.

Dallo sciopero Generale all'opposizione sociale


di Giorgio Cremaschi (Liberazione del 24/08/2011) 
Solo tre settimane fa la signora Emma Marcegaglia parlava come portavoce di tutte le parti sociali, compresa la Cgil. Ora questa stessa organizzazione proclama per il 6 settembre uno degli scioperi generali più veri e duri nella storia del Paese. Tra questi due fatti di segno diametralmente opposto non c'è solo di mezzo la manovra disastrosa del governo. La decisione della Cgil è il segno della crisi totale della concertazione, della complicità, della politica di patto sociale. 
Nonostante le affermazioni del presidente della Repubblica, che ha scelto comunque una delle platee più faziose, quella di Comunione e Liberazione, per esternare il suo appello alla coesione nazionale, l'Italia oggi ha bisogno prima di tutto di un vero conflitto sociale. 
La manovra economica unisce le rappresaglie contro il lavoro di un governo che oramai ha concluso la sua storia politica, con il disegno dei poteri forti dell'economia, in Italia e in Europa, di uscire dalla crisi con una radicalizzazione a destra del sistema economico sociale. E' inutile nasconderlo o far finta che non sia così. In queste settimane abbiamo assistito a un confronto surreale ove l'opposizione sembrava volere prima di tutto il taglio delle pensioni mentre la maggioranza invece preferiva l'aumento delle tasse per gli stipendi più alti. Nessuno parlava davvero della distruzione del contratto nazionale, dello statuto dei lavoratori, dei diritti del lavoro e, ancor di più, nessuno parlava davvero di una tassazione che colpisca i patrimoni, le grandi ricchezze, la speculazione. 
Così questa crisi si è avvitata in un confronto tra due destre. Quella liberale che proponeva qualche piccola penalizzazione per i ricchi in cambio del liberismo selvaggio per tutti e quella populista che invece preferiva scaricare tutto sugli enti locali e sui dipendenti pubblici. Alla fine ne è venuta fuori una salsa mefitica, di cui una sola cosa è chiara: il 98 per cento di tutti i costi della crisi sono pagati dal mondo del lavoro. La Cgil di fronte a questo ha scelto di fare uno sciopero vero in tempi rapidi per farsi sentire sul serio. 
E' un segnale importante che deve essere raccolto. Tuttavia è chiaro che questa scelta pratica è in totale contraddizione con i balletti, i documenti, gli incontri del consorzio delle parti sociali. Già la parola parti sociali è un'insopportabile retaggio democristiano. Non ci sono le parti sociali; ci sono i ricchi e i poveri, i padroni e i lavoratori, gli speculatori finanziari e le vittime della crisi. Non sono tutti nella stessa barca. Ora lo sciopero ristabilisce un minimo di senso della realtà in un momento drammatico ma è chiaro che a questa svolta nei comportamenti deve corrispondere un'analoga svolta sul piano della strategia. Mai più, neanche ai tavoli del caffè, la Cgil dovrà affidare alla signora Emma Marcegaglia o a chi per essa il ruolo di portavoce. 
L'accordo del 28 giugno, che il governo ha trasformato in un decreto liberticida deve essere disconosciuto dalla Cgil che deve ritirare la propria firma. Occorre che la crisi la paghino davvero i ricchi e la finanza e occorrono misure immediate a favore del lavoro. Per questo non si può pensare che Monti e Draghi siano un'alternativa a Berlusconi. Essi sono semplicemente l'espressione di un liberismo radicale, tanto più coerente di quello di Berlusconi, quanto più pericoloso. Non si tratta più di inseguire parti sociali o accordi unitari con Cisl e Uil che ancora una volta hanno mostrato di essere dall'altra parte. Bisogna invece organizzare una vera e forte opposizione sociale in grado di mettere in crisi la manovra e per questa via far cadere da sinistra questo governo. 
Questo sciopero è dunque un primo segnale di una svolta. Adesso sta a noi fare in modo che le cose cambino davvero. Bisogna in primo luogo che la giornata di lotta sia di quelle che si ricordano. Bisogna fermare il Paese per fermare la manovra e poi si deve partire da qui per dire definitivamente basta con le politiche di concertazione e complicità che ci hanno condotto a questo disastro.

domenica 14 agosto 2011

Ferrero: una manovra costituente

Una manovra costituente
di Paolo Ferrero (Segretario Nazionale del Partito della Rifondazione Comunista)

Quella varata dal governo Berlusconi, sotto dettatura dalla BCE e dalla Germania, non è solo una manovra economica. E’ una grande rivoluzione conservatrice che usa il potere dello stato per stravolgere i rapporti tra le classi sociali e uscire dal compromesso democratico che ha caratterizzato il secondo dopoguerra.

Nella manovra si privatizza tutto il possibile e si demolisce il welfare. Nessuno capirà più perché bisogna pagare le tasse ad uno stato che non ti da nulla in cambio o che ti obbliga a pagare una altra volta i servizi attraverso le tariffe.
Nella manovra si accoglie in pieno la richiesta della FIAT di demolire il contratto nazionale di lavoro aprendo la strada ad una pesantissima ulteriore riduzione salariale e frantumazione della classe.
Nella manovra di attaccano in modo pesante i lavoratori pubblici, si aumenta l’età per andare in pensione, soprattutto per le donne ma non solo.
Nella manovra si demolisce il sistema delle autonomie locali e delle regioni e si usa la polemica contro la casta per tagliare la democrazia nel paese.
Nella manovra si modificherà la Costituzione per rendere eterne le politiche neoliberiste che sono già state costituzionalizzate a livello europeo.
Parallelamente non si toccano i ricchi, quel decimo che possiede la metà della ricchezza italiana, non si tocca l’evasione fiscale e non si prende nessuna misura contro la speculazione finanziaria, nemmeno col divieto di vendita allo scoperto che altri paesi europei applicano normalmente.
Una manovra ingiusta, recessiva, che non colpisce la speculazione e che scardina la democrazia del paese.
Contro questa manovra occorre costruire il massimo di opposizione possibile.
Per essere efficaci non basterà però pronunciarsi contro i tagli. Infatti la manovra è stata costruita e giustificata in nome dell’emergenza e della necessità di battere la crisi e la speculazione. In assenza di una spiegazione generale diversa, è molto probabile che le singole persone siano contrarie alla manovra ma che poi pensino non ci sia null’altro da fare perché “i mercati hanno deciso così”, “l’Europa ha deciso così”, ecc. Vi è cioè una ideologia dominante – condivisa da quasi tutto l’arco politico e dai mezzi di comunicazione di massa – che deve essere messa in discussione pena l’inefficacia della nostra azione politica.
Il primo punto per essere efficaci contro la manovra è quindi spiegare che questa manovra non serve a nulla contro la speculazione e che per battere questa occorre rimettere regole ai mercati finanziari. Nei giorni scorsi abbiamo avanzato varie proposte che qui non riprendo.
Il secondo punto è di spiegare che la manovra è recessiva e quindi aggraverà la crisi, portandoci in una situazione di tipo Greco. La manovra aggrava la crisi e porta i conti pubblici allo sfascio in quanto riduce il PIL e le tendenzialmente le entrate fiscali.
In terzo luogo occorre prospettare una alternativa a questa manovra. La nostra proposta di una tassa sui grandi patrimoni al di sopra del milione di euro può portare 20 miliardi di entrate, così come altri miliardi possono arrivare dalla nostra proposta di dimezzare le spese militare e gli stipendi delle caste. La nostra battaglia contro la manovra deve quindi essere fatta in nome di altre misure da proporre, comprensibili a livello di massa.
In quarto luogo occorre spiegare a cosa serve la manovra dal punto di vista delle classi dirigenti italiane. Questa manovra serve a tagliare ulteriormente il costo del lavoro e a trasformare i lavoratori in servi senza diritti. Nella crisi della globalizzazione neoliberista le nostre classi dirigenti ritengono che l’Italia deve essere più povera, deve ridurre drasticamente il livello di vita medio, salvaguardando i privilegi di quel dieci per cento che deve continuare a farsi i fatti propri. Deve diventare una specie di “enclave cinese” che produce in subfornitura per la Germania, così come pensa la Lega Nord da tempo.
Dobbiamo quindi costruire l’opposizione a questa manovra nella consapevolezza che si tratta di una manovra costituente e che per sconfiggerla occorre rompere la cappa ideologica che la giustifica. Occorre cominciare da subito e nel giornale di oggi troverete un primo manifesto da utilizzare “artigianalmente”. Occorre cominciare dai territori, organizzando assemblee di spiegazione, volantinaggi, informazione. Occorre avere chiaro che non basta gridare allo scandalo ma occorre spiegare bene e prospettare l’alternativa. Per questo la costruzione di una campagna sulla patrimoniale che indichi una possibile soluzione diversa è un punto centrale della nostra azione nelle prossime settimane. Ovviamente chiediamo lo sciopero generale, appoggeremo ogni iniziativa di mobilitazione a partire da quelle già decise dal sindacato di base e operiamo per costruire mobilitazioni politiche nazionali. Questa volta però occorre lavorare prima nei territori, con la gente, per spiegare che l’alternativa esiste e fornire un punto di vista chiaro sulla crisi e su come uscirne.

sabato 13 agosto 2011

La manovra di Berlusconi contro il popolo

«Pur nella vaghezza che la caratterizza della manovra si capisce una cosa sola e cioè che identica a quelle che hanno portato la Grecia al disastro nel corso dell'ultimo anni ed è brutalmente recessiva. Con una manovra così il PIL l'anno prossimo è destinato a scendere di almeno un punto perchè riduce di molto le risorse disponibili per i consumi». Lo dice il segretario di Rifondazione Comunista Paolo Ferrero. «A questo punto - aggiunge - la domanda obbligatoria è: a cosa serve la manovra? Abbiamo visto nei giorni scorsi che la speculazione la si blocca con l'acquisto diretto dei titoli di stato da parte della BCE. Abbiamo visto in questi giorni che la speculazione al ribasso la si limita pesantemente impedendo la vendita dei titoli allo scoperto. Quindi, a cosa serve una manovra pesantemente recessiva ? Non serve all'economia italiana ed è contro gli italiani. Questa manovra non s'ha da fare perchè risponde solo ai dictat dei finanzieri della BCE e della Germania, quelli che hanno già demolito la Grecia, e che vogliono demolire anche l'Italia».

I punti della manovra antisociale:

NIENTE TAGLI A STIPENDI
Il documento non contierrebbe la riduzione degli stipendi dei dipendenti pubblici.
RENDITE FINANZIARIE
Aumento al 20% della tassazione su tutte le rendite finanziarie, esclusi gli interessi dei titoli di stato che restano al 12,5%. Questa misura è stata confermata dal ministro Tremonti.
PRIVATIZZAZIONI
Nella manovra è stato inserito anche un meccanismo “molto efficace” per la privatizzazione dei servizi pubblici. Lo ha detto il ministro Tremonti spiegando che il sistema consentirà alle amministrazioni che procederanno alle privatizzazione di sbloccare risorse per gli investimenti. “Un meccanismo molto efficace – lo ha definito il ministro – per i servizi pubblici: se smobilizzi puoi fare investimenti”.
MINISTERIPrevisto un taglio di 6 miliardi di euro nel 2012 e 2,5 nel 2013.
ENTI LOCALI
Verranno ridotti 6 miliardi di trasferimenti nel 2012 e 3,5 nel 2013. Per le regioni il peso della riduzione dei fondi è pari a 1 miliardo di euro. La sanità non verrà toccata.
PERDITE
Riduzione per le società al 62,5% della possibilità di abbattimento delle perdite.
RINNOVABILI
Torna l’ipotesi del taglio del 30% degli incentivi. Non potranno essere superiori alla media di quelli erogati negli altri Paesi d’Europa. Ma stando ad altre fonti il punto in un secondo momento sarebbe stato stralciato.
MERCATO ELETTRICO
L’ipotesi è quella della divisione in tre macrozone (Nord, Centro, Sud).
SERVIZI PUBBLICI LOCALI
Si punta alla liberalizzazione e verranno incentivate le privatizzazioni.
FONDI FAS
Saranno anticipate di un anno le riduzioni del Fas, il Fondo per le aree sottoutilizzate.
DELEGA FISCALE
“Noi chiediamo al Parlamento la delega per la riforma assistenziale e fiscale non più sul 2012 ma sul 2011 e nel corso del 2012 pensiamo di ottenere risparmi assolutamente realizzAbili per 4 miliardi. Nel caso non fosse possibile realizzare quell’obiettivo la garanzia di salvaguardia e una corrispondente riduzione di regime di tax expenditure”. Lo ha detto il ministro dell’economia, Giulio tremonti al termine del Cdm.
ACCORPAMENTO PER 1500 COMUNI
Sono circa 1.500 i comuni per i quali sarà reso obbligatorio l’accorpamento, in base ai criteri previsti dalla manovra. Si tratta dei comuni sotto i 1000 abitanti.

VIA PROVINCE SOTTO 300 MILA ABITANTI
Dalle prossime elezioni è prevista la soppressione delle Provincie sotto i 300.000 abitanti. I capoluoghi interessanti dal provvedimento, stando a una verifica informale, sarebbero i seguenti:
Ascoli Piceno, Asti, Belluno, Benevento, Biella, Caltanissetta, Campobasso, Carbonia-Iglesias, Crotone, Enna, Fermo, Gorizia, Grosseto, Imperia, Isernia, La Spezia, Lodi, Massa Carrara, Matera, Medio Campidano, Nuoro, Ogliastra, Olbia Tempio, Oristano, Piacenza, Pistoia, Prato, Rieti, Rovigo, Savona, Siena, Sondrio, Terni, Trieste, Verbano-Cusio-Ossola, Vercelli, Vibo ValentiaResta da capire la sorte di Aosta, provincia con meno di 300 mila abitanti ma di una regione a Statuto speciale.

La Reazione della FIOM:

Mobilitazione straordinaria fino allo sciopero generale per cambiare la manovra per decreto del governo e per una diversa uscita dalla crisi
 
Dichiarazione di Maurizio Landini Segretario Generale della Fiom-Cgil

Non era mai successo che per decreto legge un governo provasse a cancellare l'esistenza del Contratto Nazionale e aprisse alla libertà di licenziare. Inoltre il governo fa una legge "ad aziendam" pro Fiat violando principi costituzionali e la carta europea dei diritti dell'uomo.
Tutto ciò all'interno di una manovra economica classista che per decreto colpisce in particolare i lavoratori dipendenti sia privati che pubblici, i pensionati ed i giovani, attaccando i principi democratici del nostro paese e non affrontando i nodi e le ragioni che hanno prodotto il debito pubblico e la crisi del nostro Paese.
La Cgil deve trarre le dovute conseguenze dell'uso fatto dal governo dell'accordo interconfederale del 28 giugno 2011 e delle proposte delle parti sociali del 4 agosto 2011 e convocare urgentemente una riunione dei propri organismi dirigenti.
E' una manovra, quella del governo, iniqua e sbagliata che colpisce i diritti e il salario dei lavoratori dipendenti, taglia i servizi sociali erogati dai Comuni e dalle Regioni, non colpisce l'evasione fiscale e la corruzione, non introduce una vera patrimoniale ed una vera lotta alle speculazioni finanziarie e non delinea nessuna nuova azione di politica industriale affermando l'idea tragica per il Paese che per uscire dalla crisi bisogna tagliare i diritti, il Contratto Nazionale e lo Statuto dei lavoratori.
Una manovra in contrasto con il pronunciamento popolare avvenuto nei referendum dello scorso giugno, che riapre alla privatizzazione e liberalizzazione dei servizi pubblici.
Così il Paese non esce dalla crisi, ma se ne mette in discussione la sua stessa coesione sociale.
E' necessario pertanto mettere in campo fin dai prossimi giorni una campagna straordinaria di discussione e di mobilitazione in tutto il Paese, per cambiare radicalmente la manovra, compreso il ritiro dei provvedimenti che sanciscono la derogabilità delle leggi vigenti e del Contratto Nazionale e della libertà di licenziare in deroga all'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, fino alla proclamazione dello sciopero generale.
Maurizio LandiniSegretario generale Fiom-Cgil

sabato 6 agosto 2011

Le troppe rese del PD

di Alberto Burgio
su il manifesto del 06/08/2011
Forse non è utile banalizzare le prese di posizione del più grande partito dell'opposizione ostinandosi a considerarle frutto di sciatteria o di svagatezza estiva. Forse bisognerebbe capire le ragioni dell'ennesimo lasciapassare graziosamente offerto al governo dal segretario democratico in occasione del dibattito parlamentare sulla (disastrosa) situazione economica e finanziaria del paese. Perché mai il Pd dovrebbe affondare il colpo mentre il cane affoga? Va bene rimboccarsi le maniche, ma chi glielo fa fare al buon Bersani di dirigerla lui la macelleria sociale? Siam mica qui a tirare nuovamente la volata al cavalier bunga-bunga!
Si dice: avanzi l'opposizione una proposta seria, non si limiti a critiche scontate. Ma una proposta implica un'analisi delle cause della crisi. E una proposta diversa (non nel dettaglio) dalla manovra del governo suppone una lettura diversa della genesi dello stato di cose: una rilettura dell'ultimo trentennio, che finalmente punti il dito sull'anarchia finanziaria (libertà di movimento dei capitali) ed economica (libertà di delocalizzare le produzioni); sulla fine dell'intervento pubblico in economia (che non significa far produrre allo Stato il panettone, ma assumere la direzione della politica industriale e costringere le imprese a investire in ricerca e innovazione); sulla svendita del patrimonio pubblico; sull'impoverimento strutturale del lavoro dipendente, dato in pasto al mercato non regolato della forza-lavoro, privato di tutele giuridiche e colpito dallo smantellamento del welfare. Nel Pd si fa strada questa prospettiva (auto)critica? L'on. Fassina accenna qualche riflessione sui guasti del neoliberismo, ma le contromisure che invoca ne confermano la logica: ipotizza un piano europeo di investimenti per l'occupazione, ma immagina di finanziarlo con altro debito. Non vi è traccia di una piattaforma redistributiva.
Nell'immediato (assunti il funzionamento della finanza globale e i vincoli posti dalla Bce) si potrebbe fare agevolmente una manovra diversa, che non deprima la domanda e riduca il tasso di iniquità del paese. Basterebbe imporre una patrimoniale (non una tantum); accentuare la progressività del prelievo (per poi fare sul serio contro l'evasione fiscale); tagliare le spese militari e gli sprechi (a cominciare dalle opere faraoniche e distruttive, tipo Ponte e Tav); riattivare il turn over nel pubblico impiego e stabilizzare il precariato. Ma certo, questo implica rompere il tabù del trentennio reaganiano e rassegnarsi al fatto che la politica democratica ha il compito primario di redistribuire risorse e opportunità: di produrre equità. Il dogma che equipara pubblico e privato, generalizzando la logica aziendale, non causa soltanto iniquità, nega in radice la democrazia. Per di più, come dimostra la crisi strutturale che sconvolge tutto il mondo capitalistico, ostacola la crescita perché impedisce la messa a valore della produttività generata dallo straordinario sviluppo delle forze produttive sociali. Vogliamo cominciare a discuterne a sinistra?
Dopodiché, anche qualora misure del genere venissero adottate, si tratterebbe di ridisegnare la logica generale del sistema. Nessun dio impone che i capitali possano muoversi senza limiti né regole né costi, decidendo del valore delle monete e dello stato di salute dei bilanci pubblici. Non è affatto vero che la politica sia impotente. Al contrario: Stati e organismi sovranazionali scelgono questo modello (entro il quale la politica è impotente) perché esso permette (anzi impone) politiche economiche che scaricano sul lavoro i costi della crisi, a vantaggio del capitale. Proprio come la guerra, la crisi è un flagello per alcuni e una manna per altri.
Ma di nuovo: per assumere questa prospettiva occorrerebbe abbandonare l'ideologia neoliberale: rifiutare il dogma della razionalità del mercato (massimizzare il profitto non serve a tutelare i diritti né la coesione sociale) e restituire alla politica la decisione su come utilizzare la ricchezza collettiva. Soprattutto, bisognerebbe uscire dalla logica (dalla retorica) dell'interesse generale e guardare in faccia le contrapposizioni reali, peraltro emerse con palmare evidenza nel braccio di ferro tra democratici e repubblicani in merito al default degli Stati Uniti. Insomma, per cambiare davvero l'agenda economica bisognerebbe ricominciare a ragionare in termini di classe. È pronto il gruppo dirigente del Pd a riesumare questa venerabile categoria del pensiero politico novecentesco? Se sì, potrà candidarsi a guidare un cambiamento degno di questo nome. Se no - se è ancora convinto che si tratti di un'inutile anticaglia - continui così. Lasci tranquille le maniche della camicia e vada pure avanti con i minuetti: un passo indietro tu, un passo avanti io...

Cofferati: patto per la crescita, proposte vaghe ed inique. E la CGIL sbaglia.

intervista di Roberto Farneti (Liberazione del 6 agosto 2011) 
Sergio Cofferati, malgrado la manovra da 80 miliardi, l'Italia è nella bufera. Il differenziale di rendimento tra i titoli di stato italiani e quelli tedeschi ha toccato livelli record. L'economia è ferma: nel secondo trimestre 2011 il Pil è cresciuto appena dello 0,3%. Dopo avere negato la crisi, il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi annuncia adesso la sigla entro settembre di un patto con le parti sociali per la crescita. 
La presidente di Confindustria Emma Marcegaglia ha sottolineato come negli otto punti dell'agenda del governo siano presenti molte delle proposte avanzate congiuntamente da imprese e sindacati. Un accordo è perciò probabile. E' così che si esce da questa situazione?
 

Penso proprio di no. La situazione è drammatica perchè l'economia è ferma e la nostra credibilità sul piano internazionale è caduta verticalmente. La crescita del Pil prevista per quest'anno e per l'anno prossimo è del tutto insufficiente a garantire le risorse per, da un lato ridurre il debito e, dall'altro, creare le condizioni per attuare politiche redistributive a vantaggio della parte più debole della popolazione. In questo quadro, occorre definire interventi di emergenza capaci nel brevissimo periodo di ridurre la spesa e di migliorare i nostri conti e, al tempo stesso, utili per stimolare una crescita possibile. Di tutto ciò non c'è traccia nei provvedimenti del governo e negli annunci fatti nei giorni scorsi. Per quanto riguarda il rapporto con le parti sociali, se qualcuno si era illuso che per placare i mercati sarebbe bastato l'annuncio di un confronto su capitoli vagamente descritti e variamente interpretabili, purtroppo ora si deve ricredere. 


Nel 1992 ci fu un patto tra governo, imprese e sindacati per fare entrare l'Italia in Europa. Vista la gravità della situazione, ha senso oggi provare a ripetere un'operazione di quel tipo o al paese serve ben altro? 

La situazione di oggi ricorda molto il 1992 per la gravità, il contesto è però ben diverso. All'epoca non c'era l'euro, il paese doveva agire da solo. Inoltre il governo Amato e poi soprattutto il governo Ciampi avevano una forza e una credibilità, malgrado tangentopoli, che il governo Berlusconi neanche si immagina. Per questo credo che oggi la situazione sia peggiore. Nelle azioni del governo, ma nemmeno nelle proposte delle parti sociali, non si vede nulla di preciso. A cominciare da quella che dovrebbe essere la base di ogni ragionamento: una volta infatti che si dice che bisogna favorire la crescita - e vengono individuati settori di intervento come infrastrutture, opere pubbliche, reti materiali e immateriali - bisognerebbe immediatamente dopo, o addirittura un attimo prima, indicare dove si reperiscono le risorse necessarie per questi investimenti. Di ciò invece non si parla. Se il tutto si traduce in una generica intenzione di lotta all'evasione fiscale, è evidente che non si può essere credibili. In Europa si discute della creazione di Eurobond e della tassa sulle transazioni finanziarie, temi ignorati dal dibattito italiano. 


Inserire il pareggio di bilancio nella Costituzione, come propongono governo e parti sociali, è coerente con obiettivi di sviluppo? Gli economisti insegnano che gli investimenti si fanno anche in "deficit spending", tanto li recuperi con la crescita. 

Come dicevo prima, ci troviamo di fronte a una serie di "titoli", ma nessuno ha spiegato come realizzare gli obiettivi annunciati. E' facile immaginare che un avvicinamento anche cauto al merito di ogni singolo capitolo porterà a una divaricazione tra le stesse parti sociali. Sul fisco, ad esempio, la Cgil ha fatto una campagna per la patrimoniale. Faccio notare che nei testi di questo tema non c'è traccia, ma se verrà riproposto al tavolo, non credo che sarà ben accolto dalle associazioni imprenditoriali o dalle banche. Dunque siamo di fronte a un quadro confuso. Altra piccola considerazione: tutto ciò avviene mentre sta diventando operativa una legge finanziaria definita "macelleria sociale" persino dai commentatori più moderati. Degli effetti disastrosi di questa manovra in queste ore non si parla. Possono le parti sociali discutere di sviluppo prescindendo dagli effetti drammatici della manovra soprattutto sui più deboli, i poveri, le famiglie? 


La Cgil ha espresso forti critiche alla manovra. Poi però si è fatta rappresentare dalla Marcegaglia al tavolo con il governo. Che effetto le ha fatto vedere sui giornali la foto della presidente di Confindustria che parla anche a nome dei sindacati? 

Le critiche della Cgil alla manovra dovrebbero sfociare in iniziative di lotta molto diffuse e consistenti per arrivare allo sciopero generale. E' evidente che c'è un salto logico tra quelle critiche, il bisogno di mobilitazione per cambiare i contenuti più iniqui della manovra e la discussione alla quale la stessa Cgil partecipa. Una discussione che proseguirà a settembre su punti che evocano ulteriori provvedimenti destinati a colpire le fasce sociali già duramente penalizzate dal governo. E' difficile comprendere come si potrà discutere di ulteriori ridimensionamenti dello stato sociale e delle protezioni per milioni di persone e al contempo non dare uno sfogo rivendicativo e conflittuale alle esigenze di queste persone. C'è una contraddizione che la Cgil rischia di pagare pesantemente. 


Susanna Camusso ha precisato che l'unico punto che la Cgil non condivide del documento delle parti sociali è quello sulle privatizzazioni. Ciò ha provocato malumori in Corso Italia, persino nella maggioranza che sostiene il segretario generale. 

Le parti sociali avevano chiesto al governo discontinuità. Discontinuità che non c'è né nelle affermazioni del presidente del Consiglio e nemmeno nell'indicazione dei capitoli che il governo vorrebbe discutere con le parti sociali. Vedremo cosa succederà a settembre, quando la discussione entrerà più nel merito. Se le cose che il governo intende fare colpiscono ancora pensionati e lavoro dipendente, come può la Cgil assecondarle? 


In questo caso, si fa sempre in tempo a tornare indietro... 

Fermarsi non è mai impossibile, è chiaro che si rischia di pagare poi il prezzo delle proprie contraddizioni. Se la manovra presentata dal governo è stata giudicata negativa e lesiva delle condizioni materiali di tanta gente, è difficile poi rimuovere questo tema e cominciare una discussione che potrebbe addirittura produrre ulteriori danni per queste persone.

Trichet è il capo degli speculatori

di Paolo Ferrero (Segretario Nazionale del Partito della Rifondazione Comunista)

Nella vicenda della crisi italiana, in questi giorni siamo arrivati ad un punto di passaggio politicamente rilevante. Nelle settimane scorse è cominciata la speculazione sui titoli italiani, speculazione che proseguirà nelle prossime settimane per il semplice fatto che gli speculatori agiscono a fine di guadagno e fino quando pensano di poter guadagnare continueranno a speculare. Questa speculazione, come abbiamo detto più volte, ha origine nella deregolamentazione prodotta dalle politiche neoliberiste. In particolare, si verifica in Europa e non in altre parti del mondo perché l’Europa è l’unico aggregato economico in cui la banca centrale (la Bce) finanzia le banche private, ma non gli stati sovrani, finanzia gli speculatori e non coloro che sono colpiti dalla speculazione. Infatti la Bce non compra mai i titoli degli stati europei al mercato primario (cioè direttamente alla loro emissione e al tasso di interesse base) come invece fanno la Federal Reserve negli Usa, la Banca centrale d’Inghilterra, la Banca centrale giapponese e tutte le altre banche centrali. In pratica la Bce è all’origine della speculazione finanziaria sui titoli degli stati europei e, quindi, Trichet è, a tutti gli effetti, il capo degli speculatori, colui che dà i soldi agli assassini e non li dà alle vittime.
In questi giorni sentiamo però dire che la Bce comprerà i titoli di stato italiani. Peccato che lo farà sul mercato secondario (cioè al prezzo già definito dalle pratiche speculative) e a condizioni che l’Italia faccia un lavacro sociale pari a quello subito dalla Grecia. In pratica, la Bce si rifiuta di intervenire nella fase in cui è possibile impedire che si formi il meccanismo speculativo al ribasso (come fanno invece le altre banche centrali mondiali) e invece interviene nella fase successiva a garantire l’ossigeno al moribondo a condizione che esso accetti politiche di taglio drastico del welfare. Il ruolo della Bce è quindi completamente politico ed è un ruolo che utilizza la minaccia della speculazione al fine di obbligare gli stati europei a tagliare il welfare e i diritti dei lavoratori.
Come sappiamo, il taglio del welfare e dei diritti dei lavoratori non c’entrano nulla con la lotta alla speculazione finanziaria. L’unico modo serio per batterla è inibirla in radice, vale a dire attraverso l’acquisto diretto dei titoli di stato italiani da parte della Bce. Il taglio del welfare ha invece un effetto recessivo: se tagliamo welfare e diritti il Pil scenderà e con esso le entrate fiscali. In questo modo il deficit crescerà e peggiorerà il rapporto deficit/Pil.
Le politiche deflazioniste imposte dalla Bce non servono quindi a combattere la speculazione, ma a ridurre salario diretto e indiretto, cioè il costo del lavoro per unità di prodotto.
Questo è il vero punto politico: la speculazione finanziaria – presentata come un fenomeno naturale, come una maledizione degli dei – viene utilizzata dalla Bce, dalla Germania e dai governanti europei, come “vincolo esterno” per obbligare i paesi europei a minor produttività del lavoro a ridurre drasticamente i livelli di vita nei rispettivi stati. La speculazione non viene combattuta alla radice, ma viene usata per imporre – paese per paese - drastiche manovre antioperaie che non sarebbero altrimenti accettate socialmente.
In Italia questa operazione si sta realizzando alla grande, addirittura con la ciliegina sulla torta. Infatti, le cosiddette parti sociali hanno presentato una piattaforma in sei punti, che scavalca a destra il governo Berlusconi e si pone come l’interprete diretta della volontà della Bce in Italia.
Negli Stati Uniti sono i pazzoidi del Tea Party - quelli che fanno paura anche ai repubblicani moderati - a proporre di inserire nella Costituzione il vincolo di pareggio di bilancio. In Italia è la segretaria generale della Cgil in compagnia della Presidente di Confindustria. In Italia rischiamo quindi di avere una dialettica politica racchiusa in una rincorsa liberista tra un governo populista di destra e un’opposizione egemonizzata dai poteri forti connessi alle tecnocrazie europee.
In questo contesto, oltre alla drammatica posizione dei sindacati – gli unici in tutta Europa ad essere chiaramente schierati contro i lavoratori - è del tutto evidente la debolezza dell’opposizione parlamentare, che essendo subalterna alla vulgata neoliberista, non è in grado di proporre un proprio progetto alternativo, per cui sbanda tra la richiesta di elezioni, la proposta di governi tecnici e addirittura l’idea di un dialogo “costruttivo” con Berlusconi. Non a caso la strada che l’Italia sta imboccando a passi da gigante è proprio la strada Greca, quella del drastico peggioramento delle condizioni di vita e di lavoro di milioni di persone.
In questo contesto di grande caos e dove la gente non capisce letteralmente nulla di cosa sta succedendo, noi dobbiamo tenere un profilo chiaro e costruire una precisa posizione politica.
Innanzitutto la costruzione dell’opposizione alle manovre messe in campo da Berlusconi in raccordo con l’Europa. Si tratta di operare per l’estensione e la connessione del conflitto sociale. Con chi ci sta. Si tratta di fare un salto di qualità da settembre puntando chiaramente il dito contro il sistema finanziario: la Bce e il sistema delle banche sono i nostri avversari primi e vanno aggrediti con forza.
In secondo luogo, occorre produrre un enorme sforzo di demistificazione di quanto sta avvenendo sul terreno economico e finanziario. Il pensiero unico neoliberista tende a “naturalizzare”, a far credere oggettive, scelte che sono puramente politiche. La speculazione viene presentata come un fenomeno soprannaturale, per cu i mercati “si innervosiscono, si impauriscono, si arrabbiano”. Noi poveri umani dovremo evitare di far incazzare gli dei seguendo i consigli dei Santoni (gli economisti neoliberali), che ovviamente ci stanno portando al disastro. Il fatto che il neoliberismo sia fallito, ma il pensiero neoliberista sia tutt’ora egemone, rappresenta il principale ostacolo al conflitto. infatti noi ci troviamo nella condizione in cui la gente si lamenta per le misure del governo, ma in fondo pensa che il governo rappresenti gli interessi generali. Contestano Berlusconi, ma pendono dalle labbra di Monti e di Tremonti per sapere cosa succederà. Occorre aggredire consapevolmente questa ideologia dominante: per battere il neoliberismo occorre sconfiggere l’ideologia neoliberista, altrimenti risulteremo del tutto subalterni. Spiegare e studiare sono quindi punti fondamentali, più che in altre fasi della nostra azione politica. La lotta non è solo mobilitazione ma, come ci insegnava Marx, critica dell’economia politica.
Da ultimo, dobbiamo tenere ferma la barra sulla proposta del fronte democratico. Di fronte ai tentativi di uscita da destra dal berlusconismo, alla subalternità della Camusso e all’indeterminatezza del Pd, noi dobbiamo proporre con nettezza che il governo si  dimetta per andare subito alle elezioni. Nelle elezioni proponiamo la costruzione di un fronte democratico tra la sinistra e il centro sinistra, alternativo tanto a Berlusconi che alla Marcegaglia. Al popolo del centro sinistra, a livello di massa, deve essere posta chiaramente l’alternativa tra l’accordo con i poteri forti e l’accordo con la sinistra. Sono due strade opposte per chiudere la fase di Berlusconi e per affrontare la crisi.
La nostra proposta consiste in questo: allargare le lotte, far crescere la coscienza anticapitalista e prospettare un concreto percorso politico per superare il governo Berlusconi senza cadere in un governo Marcegaglia.

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