venerdì 10 marzo 2017

“Clandestino” è discriminatorio e intimidatorio. Condannata la Lega Nord di Duccio Facchini — 23 febbraio 2017

Il Tribunale di Milano ha riconosciuto la “valenza denigratoria” dei manifesti affissi dal partito di Matteo Salvini contro alcuni richiedenti asilo a Saronno (VA) nella primavera 2016. Un punto fermo importante che giunge a quasi tre anni dalla legge delega al Governo che avrebbe dovuto depenalizzare il “reato di clandestinità”. Cosa che non è ancora avvenuta.
Definire “clandestino” un richiedente asilo non è soltanto “gravemente offensivo e umiliante”, non ha solo “l’effetto di violare la dignità degli stranieri”, ma “favorisce un clima intimidatorio e ostile nei loro confronti”. A riconoscere, ancora una volta, la “chiara e univoca valenza negativa” di una parola utilizzata come un manganello, è stata la prima sezione civile del Tribunale ordinario di Milano che, con un’ordinanza datata 22 febbraio 2017, ha condannato il partito della Lega Nord (“in persona del suo segretario nazionale pro-tempore”, Matteo Salvini) per 70 manifesti affissi per un mese a Saronno (VA) nella primavera 2016.
Le espressioni trascritte sui cartelli incriminati erano tristemente familiari: “Saronno non vuole i clandestini”“Renzi e Alfano vogliono mandare a Saronno 32 clandestini: vitto, alloggio e vizi pagati da noi”,“Nel frattempo ai saronnesi tagliano le pensioni ed aumentano le tasse”, “Renzi e Alfano complici dell’invasione”. A scatenare la protesta discriminatoria dei leghisti locali era stata l’intesa raggiunta tra una cooperativa e la Prefettura di Varese per l’accoglienza di 32 richiedenti asilo in una struttura di Saronno.
Grazie all’ASGI (Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione, www.asgi.it) e al NAGA (Associazione volontaria di assistenza socio-sanitaria e per i diritti dei cittadini stranieri, rom e sinti, www.naga.it), i responsabili politici dell’iniziativa sono stati chiamati a risponderne in tribunale. E l’ordinanza è una pietra miliare. “Il termine ‘clandestino’ -ha scritto il giudice Martina Flamini- ha una valenza denigratoria e viene utilizzato come emblema di negatività”. Una truffa lessicale che non merita la tutela dell’articolo 21 della Costituzione perché “veicola l’idea fortemente negativa che i richiedenti asilo costituiscano un pericolo per i cittadini”, e che non può nemmeno essere spacciata per “mera imprecisione terminologica”. Sostenere poi, come hanno fatto i leghisti saronnesi, che l’etichetta discriminatoria sia figlia di una prassi diffusa, scrive il Tribunale, non è una giustificazione “idonea”.

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