sabato 14 maggio 2011

Applausi

APPLAUSI
di Dino Greco (Liberazione del 12 maggio 2011)
Il direttore di Confindustria, Giampaolo Galli, ha ritenuto di doversi scusare con i familiari delle vittime del rogo della Thyssen Krupp e con l'opinione pubblica che si sono sentiti «colpiti e offesi» per l'applauso (una vera ovazione) che l'assemblea generale di Confindustria ha riservato ad Harald Hespenhahn, amministratore delegato del gruppo industriale tedesco. Atto doveroso, non so dire se scontato, ma immediatamente bilanciato dall'affermazione successiva, che recita testualmente così: «Quell'applauso va capito, perché è spontaneo in una platea di imprenditori e perché le imprese sono preoccupate per l'estrema incertezza del diritto in Italia». Preoccupate di cosa? E perché proprio ora? Non risulta che la pressoché totale impunità garantita in questi anni agli imprenditori che si sono resi responsabili di gravissimi infortuni sul lavoro, abbia mai generato apprensione o «incertezza del diritto» nel padronato italiano. Questa angoscia che morde la vocazione imprenditoriale, sino a rischiare di comprometterne la propensione all'investimento, sarebbe invece provocata dall'applicazione, inconsueta quanto rigorosa, della Costituzione. La quale prescrive che l'iniziativa imprenditoriale non debba porsi in contrasto con la libertà, la sicurezza, la dignità dei cittadini. Se incertezza del diritto vi è sin qui stata e vi è, essa ha riguardato e riguarda le molteplici, colpevolissime amnesie con cui si continuano a tollerare condizioni di lavoro inaccettabili, subìte da lavoratori non in grado di opporvisi e che costituiscono una modalità ordinaria della prestazione di lavoro di tante persone. Ci chiediamo inoltre se le scuse in cui si è profuso Giampaolo Galli siano anche riferite alle parole, non meno inquietanti, che Emma Marcegaglia ha pronunciato, in perfetta sintonia con umori e istinti della platea in visibilio per Hespenhahn. Ci chiediamo cioè se, depurato dalle scuse, rimanga fermo l'attacco frontale all'esemplare inchiesta condotta dal procuratore Raffaele Guariniello e alla sentenza di condanna pronunciata dai giudici torinesi; se, cioè, nel nome della libertà di impresa si possa continuare a sacrificare l'incolumità fisica di chi in fabbrica ci va per vendere la propria forza lavoro, ma non la propria vita. Perché questa è la madre di tutte le questioni: il resto sono chiacchiere. Dunque quell'applauso, egregio direttore di Confindustria, non va affatto «capito», va soltanto condannato. E il pronunciamento del tribunale di Torino deve essere salutato come un sussulto di civiltà, un punto fermo, di non ritorno, nell'edificazione di una società in cui il valore del lavoro sovrasti quello del (vostro) denaro.

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