mercoledì 13 aprile 2011

Questa Europa fa schifo / Sinistra Europea: un fondo sociale per cambiare l'Europa

QUESTA EUROPA FA SCHIFO


NO all'austerità: per l'Europa Sociale, per il lavoro e per salari giusti   
di Giorgio Cremaschi (Liberazione del 13 aprile 2011) Il ministro Maroni dice la verità quando afferma che questa Europa è capace di salvare le banche e di fare la guerra, ma non di fare solidarietà.
Ha ragione, ma questa è la sua Europa, quella delle Leghe, della xenofobia diventata mezzo per vincere le elezioni, dei governi di destra che la cavalcano e di quelli, pochi, di sinistra che si adattano e accettano. Gli abitanti dell’Unione Europea sono oltre 300milioni, 30mila migranti che giungono all’improvviso dall’Africa costituiscono lo 0,01 percento della popolazione europea. Che i principali governi europei e la Commissione dicano all’Italia ributtateli a mare perché non c’è posto è qualcosa di più di una vergogna sociale e morale, è la dimostrazione che l’Europa ha finito di esistere.
Non serviranno allora le battute di sapore razzista con cui il segretario del Partito democratico accusa il governo di voler uscire dall’Unione europea per entrare nell’Unione africana. Questo modo di parlare è un altro segno della crisi culturale e politica del Pd.
Il 9 aprile scorso una grandissima manifestazione di lavoratori convocata dalla tentennante confederazione europea dei sindacati, si è svolta a Budapest. In quella grande manifestazione rappresentanti del mondo del lavoro di tutto il continente hanno messo sotto accusa tutta la politica dell’Unione europea.
Quella politica che ha portato al massacro sociale della Grecia nel nome della stabilità dei conti delle banche tedesche, e che preannuncia analoga cura per l’Irlanda, il Portogallo, la Spagna e, domani, per l’Italia. Il nuovo patto di stabilità sottoscritto recentemente nel silenzio della politica italiana, ha stabilito una cura da strozzini per la rduzione del debito pubblico. L’Italia, se dovesse adottare davvero, a partire dal 2012, quelle misure di rientro dal debito, si troverebbe costretta a tagli sociali e civili di una dimensione mai vista e protratti nel tempo. Il che, con la follia in arrivo del federalismo, porterebbe alla frantumazione sociale, civile e forse anche politica del Paese.
Questa Europa pretende che tutti lavorino fino a 67 anni, ma non ha preso nessuna misura per tutelare l’occupazione e anzi ha sposato totalmente le più bieche ricette liberiste. Questa Europa auspica la distruzione dei contratti nazionali e il legame d’acciaio del salario con la produttività.
Questa Europa ha salvato le banche, ma vuole la concorrenza selvaggia fra i lavoratori per il posto di lavoro ed esige la privatizzazione di ciò che resta dei sistemi sociali. Questa Europa non è stata in grado di affrontare, come invece era stato fatto nel passato, con un disegno comune crisi industriali come quella dell’auto. Si è così dato il via libera alla concorrenza selvaggia tra le multinazionali, alle delocalizzazioni, alle politiche di potenza degli Stati più forti, prima di tutto la Germania. Questa Europa non esiste più da tempo con un disegno civile e sociale unitario: è diventata solo un’area di esercizio delle più stupide ricette del libero mercato. Con la crisi economica mondiale tutto questo si è accentuato e si è rafforzato il disegno dei poteri economici di far pagare tutta la crisi ai lavoratori e ai cittadini europei.
Così, mentre alimenta burocrazia e retorica, l’Europa si piega agli aspetti più brutali della globalizzazione e mette in discussione proprio i suoi beni e le sue conquiste più importanti, lo stato sociale, il diritto del lavoro e i contratti nazionali, i diritti civili e l’accoglienza. Questa Europa ha paura di 30mila migranti che vengono da quell’Africa che ha colonizzato e depredato per secoli perché ha paura di sé stessa, della propria democrazia, dei propri diritti. Per questo non serve a niente contrapporre al leghismo la vuota retorica europeista, così come a nulla serve l’improvviso riutilizzo della retorica risorgimentale. Non si afferma la solidarietà con l’ipocrisia. Bisogna invece riconoscere la crisi sociale politica e morale di questa Europa che ci chiede di buttare a mare i tunisini. Questa Europa fa schifo. Noi dobbiamo solo pensare a come metterla in discussione dal lato della democrazia e dei diritti sociali e civili. Altrimenti l’edificio europeo crollerà dal lato dell’egoismo e della barbarie per colpa della meschinità e delle politiche antisociali dei governi e delle classi dirigenti.

Un fondo sociale per cambiare l'Europa

Matteo Gaddi (Liberazione 10 Aprile 2011)
«In un Europa stretta tra pulsioni neocoloniali e piani di massacro sociale, la Sinistra Europea cerca uno spazio per costruire, da sinistra, una uscita dalla crisi»: presenta così, Giovanna Capelli dell'esecutivo della Se, la discussione milanese sulla campagna per il fondo sociale per lo sviluppo e la solidarietà.
Ad illustrare la proposta è Jean Francois Gau, del Pcf, sottolineando che si tratta di uno strumento di partecipazione popolare: l' «iniziativa di cittadinanza europea» che prevede la raccolta di un milione di firme a livello europeo.
Non a caso Gau la definisce «la più grande campagna politica lanciata dalla Sinistra Europea, resa ancora più urgente dal fatto che le politiche neo liberali peggiorano ogni giorno le condizioni delle classi popolari».
A partire dalla modalità di finanziamento del Fondo sociale si segna una forte discontinuità: tassazione dei movimenti di capitali, trasformazione delle finalità della Banca centrale europea, individuazione di risorse specifiche nel Bilancio europeo.
Le decisioni assunte dal Consiglio europeo del 24 e 25 marzo - incalza GAU - «rappresentano una svolta: con il patto per la competitività gli attuali squilibri sociali verranno aggravati e resi strutturali».
Il Patto per l'euro impone agli Stati la presentazione alla Commissione europea delle loro misure interne finalizzate a rendere ancor più precario e flessibile il lavoro, a comprimere i salari, a garantire con ogni mezzo possibile la competitività e la produttività delle imprese, l'ulteriore smantellamento dei sistemi di protezione sociale a partire da pensioni e sanità.
«Per rafforzare la disciplina di Bilancio - prosegue Gau - si espropriano i Parlamenti nazionali con un ulteriore attacco alla democrazia; noi a questo rispondiamo con una campagna di partecipazione del maggior numero possibile di movimenti sociali».
Per questo il Fondo, sostenuto da campagne popolari, deve rappresentare uno strumento in grado di introdurre elementi di controtendenza: offrire a tasso prossimo allo zero risorse per consentire investimenti pubblici per rispondere a bisogni sociali (servizi, infrastrutture, tutela del territorio) e creare occupazione, servizi, sviluppo, tutela territorio.
Per Heinz Bierbaum, vicepresidente della Linke, la crisi europea non è tanto monetaria, quanto economica e politica: «ricordate quando indicavano l'Irlanda della deregulation come il modello di riferimento? Bene, oggi quel Paese manifesta il pieno fallimento del neoliberismo e della speculazione finanziaria».
«In Europa - prosegue Bierbaum - il tasso di disoccupazione ufficiale è al 10%, ma quello reale è sicuramente superiore, per non parlare di quella giovanile che in Stati come Italia e Spagna si colloca tra il 30 e il 40%».
Nonostante i dati sulla ripresa in Germania siano diversi (più 4% Pil), anche «nel nostro Paese si registrano 5 milioni di disoccupati e la crescita di quel settore caratterizzato da salari che corrispondono alla metà di uno stipendio medio - argomenta Bierbaum - e a questo si aggiunga la peculiarità, in negativo, del modello tedesco: quello di essere totalmente dipendente dall'export».
Alla necessità di invertire questa tendenza si potrà far fronte, per il vicepresidente della Linke, soltanto se si riuscirà a introdurre una forma di controllo pubblico del settore finanziario anche attraverso la proprietà pubblica della principali banche. Roberto Musacchio di Sel richiama l'esistenza di altre coalizioni impegnate a sostenere ulteriori obiettivi sociali quali il Basic Income.
Nicolosi annuncia l'adesione della Cgil alla campagna per l'istituzione del Fondo anche alla luce del fatto che «l'azione sindacale non è sufficiente senza una sponda politica. Noi, come Cgil, da tre anni stiamo organizzando grandi iniziative che, tuttavia restano quasi prive di risultati concreti proprio per la mancanza di una rappresentanza politica del mondo del lavoro che non può che partire dalla unificazione della sinistra».
Paolo Ferrero muove all'attacco del dogma della banca Centrale Europa, che per Statuto ha solo l'obiettivo della stabilità monetaria, e determina ulteriori salassi per le classi popolari: aumento del costo dei mutui per la casa, taglio della spesa sociale, redistribuzione del reddito verso l'alto.
Per il segretario del Prc la proposta di Fondo rappresenta «la messa in discussione, da sinistra, dell'Europa liberista», anche in grado di rilanciare forme di costruzione di unità a sinistra, di un polo autonomo dal Pd, di cui la Federazione rappresenta un passo.» Ferrero individua tre filoni sui quali ricostruire la sinistra politica: la difesa dei beni comuni dai tentativi di mercificazione; la ripresa di capacità della democrazia di indirizzare il settore degli investimenti («le Banche devono essere pubbliche per natura»); la creazione di macro aree internazionali in grado di aumentare il potere dei movimenti operai contrastando lo strapotere del capitale nell'attuale globalizzazione.
 













 

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