martedì 22 febbraio 2011

Gheddafi Traballa (e Berlusconi rimane un vigliacco)

IIntervista ad Angelo Del Boca storico del colonialismo italiano
di Tonino Bucci, su Liberazione del 22/02/2011




Tripoli a un passo dalla capitolazione. Fino a pochi giorni nessuno avrebbe scommesso sulla caduta di Gheddafi. La Libia - tanto per fare qualche numero - aveva un surplus di ricchezza tra i più alti in Africa. Nel 2009 le risorse disponibili per i capitoli di spesa ammontavano a 26 miliardi di euro. Il debito pubblico era fermo, ormai da anni, al quattro per cento del Pil. Un'utopia irraggiungibile per molti paesi occidentali. Perché allora questa rivolta? Lo chiediamo allo storico Angelo Del Boca, profondo conoscitore della Libia.




La rivolta libica ha sorpreso tutti. La Libia sembra un paese solidissimo. Cosa è accaduto?

Ho una mia tesi, diversa da quella sostenuta nei giornali. Se non si fosse mossa la Cirenaica difficilmente la sommossa sarebbe arrivata a Tripoli e non avrebbe causato la fine del regime. La Cirenaica è da sempre una regione non addomesticata agli ordini di Gheddafi perché è storicamente sotto l'influenza della Senussia. Non dimentichamo che è la regione dove Omar al Mukhtar ha fatto la sua guerra contro gli italiani ed è stato ucciso. Per tradizione la Cirenaica non ha mai obbedito molto al regime di Gheddafi, tanto è vero che già nel '96 il Colonnello dovette mandare addirittura l'esercito, la marina e l'aviazione per reprimere una sommossa. Non mi stupisce perciò quanto è accaduto a Bengasi. Mi sorprende, invece, che la rivolta si sia estesa anche alla Tripolitania, questo sì. In apparenza non c'erano motivi gravi perché si potesse prevedere una insurrezione del genere. E' vero che c'è un trenta per cento di giovani che non hanno un lavoro, ma i prodotti di prima necessità sono calmierati e la gente vive abbastanza bene. In Europa non abbiamo visto un libico andare per le strade a chiedere l'elemosina. Era un paese molto diverso da quelli confinanti. Credo che ci sia stato un input dall'esterno. Esistono alcuni gruppi di libici residenti all'estero, negli Stati Uniti, a Londra e a Ginevra, che hanno partecipato, dai blog e attraverso internet, all'organizzazione della sommossa. All'interno non conosciamo gli agitatori. Non ci sono personaggi noti o di spicco. Sappiamo però che le tribù delle montagne sopra Tripoli si sono associate alla rivolta. Tra loro ci sono i Warfalla e i Berberi. Le stesse tribù nel 1911 diedero filo da torcere agli italiani, sconfitti nella battaglia di Sciara Sciat. Il ruolo dei clan è stato determinante nel provocare di fatto la caduta di Gheddafi. Il Colonnello ha sottovalutato le tribù delle montagna. Lui pensava che con la sua teoria di una terza via, quella esposta nel suo Libro Verde, di avere smantellato la struttura tribale e di avere costruito uno Stato moderno. Si sbagliava. Ma, in fondo, lo aveva già confessato. Ricordo che in un'intervista che gli feci nel '96, confessò che il Libro Verde era stato un fallimento. Credeva di avere amalgato il paese e costruito una nazione. Quando ho pubblicato A un passo dalla forca, alcune copie sono entrate clandestinamente in Libia. Ho saputo poi che il ministero degli interni aveva bloccato il libro perché parlava bene della Senussia.

L'integrità nazionale e statale della Libia rischia davvero di disgregarsi?

Sì. Le tre regioni se ne potrebbero andare ciascuna per la propria strada. La Cirenaica, ad esempio, subisce ancora l'influsso della confraternita senussa e potrebbe darsi un proprio governo. Non credo che a guidare il paese possa essere il figlio di Gheddafi Saif al Islam, nonostante le sue dichiarazioni liberali. Se abbattono il padre, abbattono anche il figlio. I ribelli vogliono demolire un'intera epoca e dei Gheddafi non ne vogliono più sapere. A prendere il sopravvento potrebbe essere qualche capo dei clan della montagna.

C'è da tenere sott'occhio anche il ruolo dell'esercito, o no?

Non è un grande esercito, nulla di paragonabile ai 400mila uomini dell'esercito egiziano. E' un esercito di ottantamila uomini e in Cirenaica si sono schierati con gli insorti. E, in parte, anche in Tripolitania.

La Libia di Gheddafi, non sottovalutiamolo, è anche un impero finanziario con partecipazioni in tante banche e società occidentali. Non è così?

Berlusconi ha concluso un Trattato con Gheddafi con molta superficialità, a occhi chiusi, ben sapendo delle violazioni dei diritti umani. I libici hanno investito in Italia, ci danno un terzo del petrolio e del gas, hanno relazioni con Finmeccanica e con altre ditte che stanno lavorando in Libia. Avremo delle sorprese



Le rivolte in Nord Africa di Oliviero Diliberto, portavoce della Federazione della Sinistra

Le rivolte che si stanno susseguendo in tutto il Nord Africa hanno un tratto comune, ma ciascuna ha una propria specificità. Per quanto riguarda Egitto e Tunisia, la grande maggioranza dei manifestanti chiedeva innanzitutto pane, viste le condizioni di miseria totale in cui versavano decine di milioni di persone.


Intrecciato a ciò, vi era da un lato il desiderio di democrazia nelle parti più intellettualmente avanzate della popolazione, nonché anche pezzi di islamismo non necessariamente fondamentalista ma sicuramente cresciuto in misura potente negli ultimi decenni soprattutto in Egitto.
In particolare nella crisi egiziana sono stati colti alla sprovvista i due principali alleati: Usa e Israele (e anche l’Anp non ci ha fatto una gran figura…). Gli Usa hanno provato la carta di El Baradei che in Egitto, però, non conta, e non escludo che possano sotterraneamente tentare di trattare persino con i Fratelli Musulmani pur di mantenere il controllo essenziale del canale di Suez. Ma mi permetto di ricordare a tutti la storia dell’apprendista stregone che evoca forze che poi non riesce a controllare: basti pensare che Bin Laden e il Mullah Omar erano stati sostenuti, finanziati ed armati dalla Cia in funzione antisovietica. E poi si sa come è andata a finire…
Viceversa in Libia la situazione è parzialmente diversa. Il reddito pro capite è maggiore rispetto agli altri paesi, anche perché la Libia è più ricca di materie prime. Ancorché di quelle ricchezze ne godano in pochi.
Sicuramente anche in Libia si è sentita la crisi economica che ha scatenato la protesta di tutti i paesi del Nord Africa, in particolare l’impennata del prezzo dei cereali e il conseguente aumento del pane.
Io ho l’impressione che un pezzo del gruppo dirigente non fosse più d’accordo con la politica di Gheddafi, ormai non più antimperialista, com’era invece stato in passato (molti del gruppo dirigente vengono dalle fila dell’esercito e si sono formati proprio sul mito della resistenza anticolonialista ormai ridotta invece in Gheddafi a mero orpello retorico).
Depone a favore di questa ipotesi la dissociazione di importanti esponenti del governo e dell’esercito libico rispetto alla repressione di questi giorni: il rappresentante libico dentro la Lega Araba con sede al Cairo, Abdel Moneim al-Honi (personaggio importantissimo perché era uno degli undici ufficiali libici che insieme a Gheddafi deposero il re Idriss nel 1969 prendendo il potere), si è dimesso e unito agli insorti; il ministro della Giustizia si è dimesso; addirittura vi sono voci su un possibile arresto del ministro della Difesa.
La crisi libica ha dunque sbocchi oggi imprevedibili anche perché, contrariamente agli altri Paesi del Nord Africa, Gheddafi ha scelto la linea del massacro del suo popolo pur di rimanere al potere (ed uno dei motivi del crescente malcontento dei gruppi dirigenti era anche l’ipotesi di successione dinastica di uno dei figli di Gheddafi, che non a caso sono tra i protagonisti della repressione).
In definitiva in tutto il Nord Africa il ruolo chiave è rappresentato dagli eserciti. In Egitto e in Tunisia hanno il controllo del Paese. In Algeria vi è già una sostanziale giunta militare al potere che non a caso ha controllato meglio la situazione rispetto agli altri due Paesi.
Gli scenari sono imprevedibili. L’unica cosa certa è la figuraccia internazionale che sta facendo l’Italia per quanto riguarda la Libia ma non solo. Con un altro governo e un’altra classe dirigente noi potremmo giocare un ruolo chiave nel Mediterraneo per agevolare la cooperazione economica e lo sviluppo di istituzioni democratiche, senza alcuna forma di presunzione occidentale, perché ciascun popolo deve scegliersi le proprie forme di democrazia.


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